• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > Processo Stato Mafia. Parla Riina

Processo Stato Mafia. Parla Riina

Riporta Repubblica di Palermo del 13.11.2013, che il “capo dei capi”, Totò Riina, dopo l’ultima udienza del processo “Stato Mafia” finalizzato a dipanare le fila di una ancora presunta trattativa, si sia lasciato andare a inquietanti affermazioni: “Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire". "Quelli lì devono morire, fosse l'ultima cosa che faccio", avrebbe urlato il capo di Cosa nostra a un compagno di carcere, e le minacce sarebbero state raccolte da un agente della polizia penitenziaria.
 
L’impeto di rabbia di un uomo come Riina fa paura, da qualunque spinta sia scaturito. Si alza l’allerta sulla necessità di tutelare i P.M. impegnati nelle indagini. Si riaccendono i riflettori su un processo che ha visto tremare le sue fondamenta con l’assoluzione di Mori e Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano (sentenza impugnata dalla Procura di Palermo che ne ha chiesto la riforma). Un processo che vede alla sbarra uomini di mafia, Riina, Bagarella, Cinà sepolti dagli ergastoli, e Provenzano, quasi sepolto in senso letterale, e uomini di stato, l'ex ministro Nicola Mancino, l’ex senatore Pdl Marcello Dell'Utri e gli ex vertici del Ros dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex colonnello Giuseppe De Donno (tutti ex). Tra gli imputati anche Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia dal 1996, ex componente della Cupola mafiosa, e Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo che nel 2008 ha aperto con le sue dichiarazioni l'inchiesta sulla trattativa, condannato dal Gup di Palermo Daniela Cardamone a tre anni di carcere e 20 mila euro di multa per detenzione e cessione di esplosivo.
 
Una riflessione però si impone: un agente percepisce lo sfogo di Riina che esprime una minaccia atroce ("fosse l' ultima cosa che faccio...") e ne fa una relazione di servizio. Che possibilità c'era che la minaccia si traducesse in pratica se lo sfogo fosse rimasto isolato nelle pareti di un carcere di massima sicurezza? Come avrebbe raggiunto Riina i sodali cui rivolgere l'ordine di morte? Non era forse una notizia da mantenere strettamente riservata? Ora, se si tratta di un volere, quanto avrebbe detto il "capo dei capi" è noto a tutti.
 
E’ del 23 novembre, l’articolo del Fatto Quotidiano in cui si dà conto di una lunga attività captativa che avrebbe raccolto in carcere tutte le esternazioni di Riina, centinaia di pagine di trascrizioni, e altre decine di ore di conversazioni non ancora trascritte: “Questi cornuti… (i pm di Palermo, ndr), se fossi fuori gli macinerei le ossa”; “Sono stati capaci di portarsi pure Napolitano”. Il boss è seduto su una panchina; accanto a lui c’è Alberto Lorusso, personaggio di spicco della Sacra Corona Unita, la mafia pugliese: “Quello venne per i tonni – dice alludendo a Falcone che nel maggio del ’92 era stato invitato a Favignana ad assistere alla mattanza – e gli ho fatto fare la fine del tonno”.
 
Ancora, riguardo al processo sulla trattativa Stato-mafia. Dice: “Mi fa impazzire”; “Questi pm mi fanno impazzire”. Ce l’ha in particolare con Nino Di Matteo: “Ma che vuole questo? Perché mi guarda? A questo devo fargli fare la fine degli altri”. E, ancora: “Io avrei continuato a fare stragi in Sicilia, piuttosto che queste cose in Continente, cose ambigue… dovevamo continuare qui”; “Queste cose i picciotti di Cosa Nostra non dovranno saperle mai”. Alcuni “misteri fittissimi” Riina dice di averli condivisi solo con un altro uomo d’onore, il boss poi pentito Totò Cancemi.
 
Ulteriore riflessione: la relazione dell'agente penitenziario era una bufala? Ci sono intercettazioni in carcere delle quali nessuno sa a parte il Fatto? Sono depositate in Procura rispetto a un processo ancora in fase di indagini? A carico di chi? Come entrano in possesso dei giornalisti? Sono la prova che Riina decise le stragi? Sono anche la prova che Riina non volle la strage di Via dei Georgofili (“queste cose in continente… cose ambigue”)? Che il solo Totò Cancemi, capo-mandamento di Porta Nuova che prese il posto di Pippo Calò, il “cassiere” della mafia, collaboratore di giustizia ormai defunto, era a conoscenza dei “misteri fittissimi” connessi alle stragi? Che, dunque, le stragi furono decise, come sempre affermato da Brusca Giovanni, nell’ambito di riunioni ristrette cui solo pochi irriducibili erano ammessi a partecipare? (controesame Brusca, C. Assise Appello di Catania, del 19.03.2004).
 
Davvero Riina non sa di essere intercettato? Non lo immagina? Sono messaggi? E rivolti a chi? Direttamente alle Procure? Chi potrebbe far uscire la voce di Riina dal carcere? Perché il processo sulla trattativa lo fa “impazzire”?
 
Una risposta possibile a tale ultimo interrogativo, riportata dal Fatto parafrasando ipotesi attribuite agli inquirenti, è che ove il processo dimostrasse che Riina ha trattato, che si è fatto utilizzare, che ha esposto i suoi soldati alla rovina, la sua fama di “purosangue” sarebbe oscurata con una grave perdita di prestigio tra gli affiliati di Cosa Nostra.
 
Il teatro dell'assurdo, “deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. La struttura tradizionale (trama di eventi, concatenazione, scioglimento) viene rigettata e sostituita da un'alogica successione di eventi, legati fra loro da una labile ed effimera traccia” (Wikipedia, Teatro dell’assurdo).
 
Riina si spaventerebbe che si sappia che ha trattato e poiché la trattativa lo ha portato in carcere in isolamento definitivo, ci farebbe una gran "malafigura" con i suoi sodali, anche loro devastati dalle condanne a partire dalla nota sentenza del “Maxi uno”.
 
Riina è così preoccupato della “malafigura” che non vuole che si sappia che ha trattato. Uno dei suoi legali, dice che fu oggetto e non soggetto della trattativa. Che sia questo il motivo della sua ira? Mah.
 
Certo il covo di Riina rimase senza osservazione per molti giorni dopo il suo arresto, nessuno perquisì la sua abitazione che fu totalmente ripulita, le pareti imbiancate, la cassaforte asportata. Il processo contro gli uomini di Riina che avrebbero svuotato la casa è iniziato appena in tempo perché fosse dichiarato prescritto. Riina dentro. Fuori la pace. Chi doveva essere protetto dalla diffusione del materiale contenuto in quella cassaforte? Nessuno lo sa.
 
 
 
 

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.239) 1 dicembre 2013 20:57

    E’ una gran bella collezione di domande che non avranno risposta: si scoprirà qualche retroscena, si faranno delle ipotesi convincenti, ma in sostanza il sistema, e cioè lo stato e la mafia, continuerà - continueranno a coprire tutto.
    Ma a forza di coprire, sempre di più verrà confermata la oscena alleanza.

    Al momento un sola cosa è chiara: tutte queste "esternazioni" di Riina servono a far sì che, se verranno colpiti i magistrati che indagano e processano, la colpa verrà data alla mafia.
    In parole semplici, Riina ha detto: voi colpiteli pure, che la responsabilità me la prendo io.

    GeriSteve

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares