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La Siria e il manicomio del diritto internazionale

Ricapitoliamo: il regime siriano sembra effettivamente responsabile dell’uso di armi chimiche, anche se non è dimostrabile il diretto coinvolgimento di Assad, cosa peraltro poco probabile e logica date le premesse in una situazione simile.

L’uso di armi chimiche è vietato da diverse convenzioni internazionali, tra cui le più importanti Ginevra (1925) e Parigi (1993) cui gli Stati potevano volontariamente aderire o meno, e a cui la Siria non ha mai aderito.

La supposta violazione dovrebbe essere punita secondo complicate e assurde procedure giuridiche dal Tribunale Penale Internazionale (la Corte dell’Aia), a cui gli Usa non hanno mai sentito necessità di aderire.

Secondo l’odierno e confuso diritto internazionale qualsiasi atto di guerra è illegale, a meno che non sia accettato dall’Onu a votazione; è una cosa che non capita quasi mai per via dei veti incrociati nel Consiglio di Sicurezza, cui fanno parte Nazioni con interessi legittimi ma diversi e alcune “potenze” europee ormai ammuffite che ci si chiede cosa ci facciano lì in mezzo nel 2013.

Va da sé che, in sostanza, questo eventuale attacco sarebbe un’azione illegale – anche se magari legittimata in qualche modo da considerazioni morali o di interesse nazionale o di reputation (la “linea rossa”) - volta a punire un atto riconosciuto legale da chi l’ha compiuto – non avendo la Siria aderito alle convenzioni di cui sopra – e punibile “legalmente” solo da una Corte non riconosciuta da chi quell’atto vorrebbe punire: gli Usa.

La parola “diritto” significa “giusto”, “dritto”, “esatto”, “legale”, legittimo”, dal latino “iusto”, in latino antico secondo Vico “ious” (da “Giove”) da cui “ius”, diritto, “right” in inglese, che vuol dire “destro”, “ragione” e a cui la lingua marinara si rifà con “dritta”, cioè destra, ma anche consiglio – una “dritta” -, eccetera eccetera.

Sbaglio o questo diritto internazionale è completamente folle e tutt’altro che esatto, giusto, ragionevole e dritto?

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