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Traiettorie sociologiche. La realtà è data da ciò che percepiamo: su "Dai corpi cibernetici agli spazi virtuali" di Linda de Feo

 
L’idea che “La virtualizzazione dell’esperire… costituisce un concreto del pensiero, una dimensione del reale…” (De Feo, 2009, p. 63) è un a priori necessario per qualsiasi ragionamento si voglia condurre sul rapporto che ci connette alle tecnologie dei new media (termine comodo per capirsi, ma neanche più tanto attuale…) Perché, in effetti, la realtà è data esattamente da ciò che percepiamo. Un tema attorno al quale la modernità si arrovella almeno dai tempi di La vita è sogno di Calderón de la Barca (2008): negli anni è cambiato il medium (meglio, l’universo) di confronto: il sogno, il mondo oltre lo schermo del cinema, la realtà virtuale, ma la sostanza non è cambiata: quanto di quello che percepiamo è vero? Ma forse la domanda è mal posta. Quella giusta è: dov’è l’interfaccia? La soglia fra ciò che per convenzione – ma solo per convenzione condivisa – chiamiamo reale e ciò che consideriamo immaginario nelle varie declinazioni possibili del termine?
 
Allora, alle giuste condizioni noi percepiamo come coerente, contigua, completa la realtà virtuale: questa è un sistema di oggetti che si offre ai nostri sensi, al nostro pensiero, alla nostra esperienza come territorio di transito ed esplorazione: e quindi è reale. Quindi – al di là della sua materialità oggettiva, fatta di elettronica e flussi elettrici, che rimane opaca, nascosta – l’universo digitale ha una materialità che percepiamo come manifesta che proviene dal suo essere un possibile – fra i tanti – ambienti per un possibile qui-ed-ora in cui si colloca il soggetto senziente e pensante. Per adesso, siamo ad un approdo che può apparire estremo nello sviluppo del rapporto dell’uomo con l’ambiente: un rapporto che è in grado di rendere esperibili mondi – universi – che fino a pochi anni fa potevano appartenere solo all’immaginazione, che presupponevano processi di simbolizzazione/codificazione/traduzione da praticare consapevolmente, dalla costruzione di un plastico in scala, al montaggio di un film.
 
Oggi, grazie alle tecnologie digitali, questo lavoro rimane opaco, nascosto, incorporato nella macchina: nell’hardware e nel software dei computer. Le interfacce che abbiamo a disposizione ci permettono di immergerci progressivamente di più in realtà seconde, coerenti come la prima. Basta indossare, interfacciarsi con le periferiche giuste, che si connettano ai nostri cinque sensi – e che sono tutte disponibili, a partire dai Data Gloves™, a cui diventa scontato aggiungere cuffie per il sonoro e lenti per la visione, tecnologie dall’origine addirittura arcaica, rispetto ai guanti digitali.
 
Questa condizione di esperienza, a vari gradi di mediazione fra i nostri corpi e le realtà dietro lo schermo, si espande progressivamente a colonizzare e ricombinare il nostro rapporto con tutto ciò che è fuori del corpo, ristrutturandone di conseguenza le modalità di percezione, azione, costruzione del mondo.
 
Come scrive bene la De Feo, “In seguito al declino dei tradizionali codici della rappresentazione, la loro riscrittura riconfigura sempre più l’esperienza del mondo come esperienza mediata, dipendente dal media landscape. (ibidem, p. 86).
Si diffonde ormai “… un’esperienza altra del reale” (ibidem), fondata sulla flessibilità delle tecnologie digitali, e su una friendlyness sempre maggiore, che rende sempre più fluido il transito dall’una all’altra dimensione.
 
Sul nuovo scenario aperto dagli sviluppi del digitale la sociologia – non solo quella della comunicazione – ha elaborato molto, utilizzando anche gli studi provenienti da altre direzioni di ricerca e fornendo materiali e strumenti utilissimi alla ricerca e alla riflessione.
 
In realtà, quella degli studi e delle ricerche – teoriche e applicate – che sono confluiti nel digitale è storia ormai “antica”, visto che in senso contemporaneo comincia subito dopo la seconda guerra mondiale, con la nascita della cibernetica di Norbert Wiener e William Ross Ashby, passando per la costruzione dei robot, per le ricerche di Alan Turing, uno dei pionieri dell’informatica, poi per i primi computer, fino ad arrivare allo scenario attuale. E le storie della tecnologia danno ben conto di questa evoluzione.
 
Quella che mancava era invece una trattazione sistematica dello sviluppo del rapporto fra corpo come sistema percettivo/pensante e tecnologie elettronico digitali, cui proprio il libro di Linda de Feo, che verrà presentato martedì 24 novembre alle 18.00 presso la Libreria Ubik di Napoli, pone riparo, sviluppando un discorso unitario, che, piuttosto che riportare uno per uno i punti di vista dei vari autori, si immerge e integra le linee di forza dei vari approcci e dei vari contributi in un flusso unico, omogeneo, che dà ragione degli elementi di continuità dei vari approcci su cui si è articolata la ricerca.
 
Densissimo come scrittura per la necessità di sintetizzare un materiale ormai considerevole, il saggio della sociologa napoletana ha come scopo di illustrare gli sviluppi della riflessione sociologico/filosofica su questa relazione, ma finisce per perseguire e raggiungere anche altri obiettivi.
 
Prima di tutto, mettere in luce lo snodo che si realizza nel passaggio dall’elettronica in senso stretto, tradizionale, al digitale – la progressiva smaterializzazione (apparente) delle tecnologie di base – il transito fondamentale dalla scienza dei robot, in cui il primato ancora appartiene al meccanico, alla materialità, alla logica del codice digitale, in cui il “rapporto di forza” fra le due dimensioni si ribalta.
La De Feo raggiunge questo scopo passando dalla materialità meccanica dei robot alle ricerche sull’Intelligenza Artificiale, ai vari gradi di ibridazione fra analogico e digitale, artificiale e organico, materiale e immateriale, concreto e virtuale, intrecciando il riferimento agli stadi di sviluppo della ricerca al commento dei punti di vista dei vari teorici che si sono cimentati col tema, da Marshall McLuhan a Alberto Abruzzese, a Jean Baudrillard, giusto per citarne alcuni: “Obiettivo primario del libro è una ricognizione critica della miriade di posizioni e di giudizi, sia di fatto sia di valore, eterogenei e spesso contaddittori…” (ibidem, p. 7), come eterogeneo e contraddittorio è il panorama che si dispiega agli occhi della ricerca.
 
Senza, peraltro, che l’autrice perda mai il senso della direzione in cui vuole muoversi, e che dichiara all’inizio della sua trattazione: “Il connubio tra naturale e artificiale, manifestazione della propensione umana alla contaminazione con l’alterità e alla costruzione di eteroreferenze, realizza innesti capaci di dispiegare le potenzialità di una liminalità rivelatasi, a volte, inquietantemente indefinita.” (ibidem). Né dimenticare di mantenere la distanza critica naturale al sociologo quando si occupa di fenomeni sociali – fra i quali sono da comprendere anche le elaborazioni teoriche…
 
 
Letture
De Feo L., 2009, Dai corpi cibernetici agli spazi virtuali, Rubbettino, Soveria Mannelli.
De la Barca C., 2008, La vita è sogno, Garzanti, Milano.

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