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 Home page > Tribuna Libera > Ricominciare dal silenzio

Ricominciare dal silenzio

È accaduto. Contro ogni razionale resistenza semplicemente mi è accaduto. E io adesso non riesco più a vedermeli davanti. Nessuno di loro, indistintamente.
La mia amica astrologa dice che è l’effetto di Saturno, pianeta severo e intransigente. Sarà, ma a guardare bene lo scollamento non poteva non avvenire. L’ostinato scarto tra il quotidiano vissuto e il fondale di cartapesta spacciato per la nostra vita non poteva alla lunga che diventarmi evidente a meno di una lobotomia bilaterale.
È che io li ho visti accadere, per esempio, i 15 anni di emergenza rifiuti, costati alla comunità oltre 32 miliardi di euro, ed equamente suddivisi tra le parti in campo in quanto a responsabilità politica. Io c’ero e ci sono, e con ogni mio senso faccio ogni giorno esperienza di una realtà diversa da quella ogni giorno raccontata. So per certo, continuando con l’esempio, che la mia regione è già dotata di 7 impianti di vagliatura e trattamento dei rifiuti costati 270 milioni di euro e al momento inutilizzati.
So che tali impianti sarebbero in grado, con un veloce lavoro di ristrutturazione, di ricevere tutta la produzione della regione e di realizzare il trattamento meccanico (senza combustione) di recupero fino al 99% della materia. Che basterebbero allo scopo (sì, basterebbero) 20 milioni di euro. Inoltre sono a conoscenza di autorevoli studi che attestano che nei pressi degli impianti di incenerimento aumenta la mortalità per tutti i tipi di tumore e so che dalle mie parti lo stiamo già provando terribilmente coi fatti. 
Al tempo stesso so, però, che il piano rifiuti per la Campania - ovvero la soluzione politica pensata per noi - prevede l’imposizione di 11 discariche e 5 inceneritori dove si potrà seppellire e bruciare il tal quale. So che tale piano ci costerà centinaia e centinaia di milioni di euro (500 ne è già costati Acerra, 350 sono previsti per il solo sito di Salerno) e che la sua totale realizzazione potrebbe trasformare la nostra gente nella razza più ammalata e deforme del pianeta (http://www.youtube.com/watch?v=qt56Mv7wKXk).
La degenerazione del mio ambiente di vita e la totale sconfitta del nostro diritto di cittadinanza è avvenuta e avviene sotto i miei occhi, e oggi dalle mie parti si declina in zolle avvelenate e riarse al posto dell’antica Campania Felix, facce stupite e umiliate, cittadini indistintamente manganellati sulle barricate del dissenso.
Intanto nel paese virtuale, dove la realtà corrisponde ormai al racconto che se ne fa, la nostra classe politica, squalificata nei fatti, qualifica spensierata sé stessa con le parole, e ti può capitare di sentir dire per bocca di uno di loro in Parlamento da 8 legislature (non è davvero importante sapere di quale sedicente parte): “Noi siamo figli di una generazione in cui la politica era sinonimo di grande cambiamento […] avevamo la volontà utopica di cambiare il mondo” senza nemmeno cogliere la contraddizione col presente e l’evidente fallimento delle loro vite. E si può anche udirli continuare con: “Vorrei che questi ragazzi che oggi hanno 20 anni si innamorassero dell’idea di cambiare la società attraverso l’impegno politico” senza il minimo senso del ridicolo nella pretesa di voler segnare per il futuro un esempio.
Siamo gente comune, cittadini semplici. Gente che torna a casa tutte le sere sconfitta nel corpo e nello spirito. Suppongo che contino su questo. Sullo scivolamento lungo il piano inclinato della fatica di vivere per poter continuare a ucciderci il presente. Perciò ho deciso di farli tacere. Io li faccio tacere tutti e ricomincio dal silenzio.
Ho spento il televisore, archiviato i talk show. Annozero per quanto mi riguarda è già un vecchio film di fantascienza che chissà se ho visto mai o me l’hanno solo raccontato. Porta a porta è una raccolta a domicilio per reduci del secolo scorso. Ballarò un futuro sicuramente sgrammaticato.
Voglio il silenzio. Non come resa ma come ritorno alla realtà. Un silenzio che sia riposo. Spazio vuoto. Nuovo inizio. Dal quale estromettere il clamore delle parole inconsistenti. Un silenzio in cui tacciano tutti i servi e si possa tornare a distinguere, a vedere. Un luogo chiaro dove riaprire gli occhi sul presente, tornare a toccare con mano la nostra realtà e riconoscerci irreversibilmente abbastanza grandi da poterci fidare di noi stessi e di null’altro.
Voglio uno spazio lindo, tornato vergine, sgombro dalla sozzura dell’inutile dove farmi daccapo le domande fondanti di ogni nuovo tempo: che cosa ha senso per noi, quali sono i nostri più autentici bisogni, cosa manca a questo tempo per corrispondervi. Voglio l’unico spazio possibile da cui provare a muovere verso il paese che manca.
Infine il silenzio, perché mai più qualcun altro mi spieghi chi è il mio nemico. Noi fuori dallo show siamo abitanti dello stesso luogo, uniti dallo stesso destino, mangiamo, beviamo e respiriamo lo stesso veleno fabbricato da altri. Non voglio su di me alcuna maglietta di squadra che mi impedisca di vedere le cose come stanno e la pulita umanità di chi mi sta davanti. E di riconoscere il mio vero nemico unicamente in chi mi indica un nemico lanciandomi all’inseguimento del vuoto per riattizzare lo spettacolo e continuare ad esistere.
Io li faccio zittire tutti per ridiventare capace di guardare la realtà, e soprattutto l’altro, senza scorie. Io torno ad ascoltarmi e ad ascoltare.
Io ricomincio dal silenzio, e poi da me e da colui che ho di fronte.

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