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Rapporto annuale Istat: Il 22% delle famiglie in difficoltà

Oggi è stato presentato nella Sala della Regina di Montecitorio il rapporto annuale dell’Istat.

Il quadro complessivo che risulta del "sistema Italia" non è affatto tranquillizzante: impennata della disoccupazione, calo dell’export ed aumentano le difficoltà delle famiglie per arrivare alla fine del mese.

Il 22% delle famiglie italiane è vulnerabile, di queste il 6,3% non riesce ad arrivare a fine mese, mentre il 41,5% si può definire agiato.

Quindi circa 10 milioni di famiglie non hanno problemi economici: 1,5 milioni dichiarano di arrivare a fine mese con "facilità", mentre le altre 8,5 milioni di famiglie hanno difficoltà sporadiche, legate soprattutto allo stile di consumo che ai vincoli di bilancio.

Naturalmente le differenze si accentuano e si rivelano più marcate tra il settentrione ed il sud del paese.

Per la prima volta dal 1995, secondo il rapporto, la crescita degli occupati nel 2008, pari a 183 mila unità, è risultata essere inferiore a quelli dei disoccupati, pari a 186 mila unità.

Luigi Biggeri, presidente dell’Istituto di Statistica, parla di "focolaio di infezione" che <<si è inserito in un più ampio contesto di fragilità del sistema finanziario, e soprattutto economico, del paese: anche se le condizioni affinchè esso potesse propagarsi rapidamente si sono gradualmente accumulate nel tempo>>.

Vanno male anche le esportazioni, ma le ragioni sono da ricercare in un deficit strutturale delle nostre aziende, incapaci di avanzare nuove prospettive nel campo della ricerca e della progettazione: in poche parole, non si investe nel fattore umano che è causa prima dello sviluppo.

Per la verità il calo dell’export per le aziende italiane è iniziato gia a cominciare dall’inizio del 2008, quando si era ancora in un periodo di espansione.

Si ferma anche l’economia tedesca, "motore d’Europa", che nel primo trimestre del 2009 ha fatto registrare un calo del Pil pari al 3,8%: non si registravano valori simili dal 1970.



Ma ciò che preoccupa, a mio avviso, è l’aumento della disoccupazione che, secondo i dati, investe soprattutto gli uomini in una fascia d’età compresa tra i 34 ed i 54 anni: si tratta di persone che avevano anche un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

La situazione non sembra essere migliorata nel corso del 2009, ma il ministro alla Funzione Pubblica Renato Brunetta, secondo quanto riportato oggi dal quotidiano "La Repubblica" sembra voler minimizzare.

Secondo il ministro, il quale risponde all’appello della Chiesa Cattolica per "Tutelare i lavoratori licenziati come zavorre": <<negli ultimi quattro trimestri l’incremento della disoccupazione ha riguardato circa 350-400 mila unità di lavoro a tempo indeterminato>>. 

Quasi a voler considerare esigue tali cifre, alla domanda del giornalista in merito alla situazione dei precari, Brunetta da una risposta sconvolgente: <<Sui precari non ci sono dati. La tesi secondo cui sarebbero stati i primi a pagare la crisi non ha ancora evidenza empirica>>.

Allora non ci sono i dati, quindi il problema non esiste.

Notiamo come i ministri di questa Repubblica, prendendo a modello il loro Presidente del Consiglio, neghino tutto ciò su cui non sia stato fatto un "sondaggio", negano l’esistenza di tutto ciò che viene tenuto nascosto, che non viene pubblicizzato.

Se questa è la situazione allora i consumi dovrebbero riprendere, ma ancora una volta il ministro ripropone la "solita minestra": <<La gente ha paura, preferisce risparmiare e non investe>>.

Gia l’abbiamo sentito dire troppe volte.

Brunetta afferma che la crisi ha colpito soprattutto i lavoratoti autonomi, ma non sa neppure dire quanti di essi hanno perso reddito, però le battutacce le sa fare: <<Non si vedono artigiani, commercianti o piccoli imprenditori in fila per un pasto alla Caritas>>.

Di questi tempi abbiamo proprio bisogno di gente che ci fa ridere.

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