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Prego signora si accomodi, all’Hotel Italia

L’articolo che segue è stato scritto da Vincenza Perilli sul suo blog Marginalia: Storia di una donna migrante, dalla Costa D’avorio al Cie di via Mattei.

Non aggiungo nulla, invito solo a leggere il testo , è breve, ti strozza la gola: non a chi respinge, come uno sputo, un esubero umano dalla Famiglia. Invio anche un video, da vedere o rivedere Living Darfur, questo segnalatomi da Maddalena Celano: musica dall’Africa , donne che giocano a palla, attese degli aiuti umanitari…Tra sacro e profano, il panorama di un deserto.

Era il 2007, continuano a palleggiare, con l’esistenza di chi rimane su questa Terra.

 

Storia di una donna migrante, dalla Costa D’avorio al Cie di via Mattei

Si chiama Salmata Bamba ed è arrivata dalla Costa D’Avorio in Italia chiedendo lo statuto di rifugiata. Al suo posto in agosto le viene notificato un mandato di espulsione. Parla poco l’italiano, non riesce o non può far valere i suo diritti. Continua a cercare lavoro. Finalmente lo trova, un posto come badante presso una famiglia di Napoli. Qualche settimana fa si reca in questura per ultimare le pratiche di regolarizzazione ma qui “succede l’impossibile, ciò che non avrebbe mai creduto potesse succedere in un paese democratico”: viene arrestata e portata nel Cie di via Mattei a Bologna. Così, su due piedi. Non le viene neanche permesso di poter portare con sé qualche oggetto personale. Tramite la figlia di coloro che sarebbero dovuti diventare i suoi datori di lavoro, apprendiamo che non ha neanche il sapone per lavarsi e che porta ancora addosso gli abiti che indossava al momento dell’arresto. Un po’ poco per quello che è stato definito “hotel di lusso per migranti”. Nell’unico articolo che ho trovato su di lei (una storia così non fa notizia) – nel sito di Peacelink.
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– si dice che Salmata è una donna “semplice, umile e troppo vulnerabile per affrontare la crudele realtà di questo Paese”. Ma chi può affrontarla tutta sola? Ci auguriamo che Salmata abbia trovato all’interno la solidarietà e l’appoggio delle sue compagne di prigionia. E che fuori trovi presto la nostra.
 
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