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Petrolio e ripresa

Crisi e petrolio, petrolio e crisi.

Il calo del prezzo del greggio a cavallo tra l’estate 2008 e gennaio 2009 ha senz’altro favorito una parziale ripresa economica nei primi 3 mesi di quest’anno. Ma adesso la valutazione del petrolio torna a salire e la domanda sorge spontanea: potrebbe arrestare il faticoso rilancio dell’economia globale?

Se il prezzo scende, ci guadagnano i Paesi consumatori, in caso contrario, i produttori; è palese.

Secondo l’analista Morris Goldstein, per i consumatori il calo del prezzo del petrolio equivale a un nuovo pacchetto di stimoli. Ogni diminuizione di 10 dollari al barile abbatte per esempio l’esborso annuale degli Stati Uniti di circa 70 miliardi.

Il punto è che invece tra febbraio e l’inizio di maggio, il prezzo del greggio è cresciuto di oltre il 70%: siamo a circa 60 dollari al barile. L’Opec vorrebbe attestarlo intorno ai 75 dollari e per questo motivo ha tagliato la produzione nelle ultime settimane.

L’Ocse ha fatto un calcolo immaginando un boom dei prezzi fino a 120 dollari al barile (l’anno scorso si era raggiunto il prezzo record di 147 dollari). Tale ipotetica valutazione potrebbe ridurre la produzione americana del 4 e quella europea del 2%, abbassando il Pil Usa di 0,2 punti percentuali.

Tuttavia gli Stati Uniti sono un Paese sia consumatore sia produttore che potrebbe in parte anche beneficiare dell’aumento dei prezzi. L’Europa e il Giappone no, sono due aree che importano quasi tutto il proprio fabbisogno di petrolio.

L’effetto macroeconomico dell’aumento del prezzo è invece distorto in quei Paesi, specialmente asiatici, in cui persistono i sussidi. Qui il rischio non ricade tanto sulla testa dei consumatori, quanto soprattutto sul bilancio fiscale dello Stato.

E’questo il caso della Cina - il secondo consumatore di energia al mondo dopo gli Usa - che ha tuttavia già operato un taglio dei sussidi nell’estate del 2008. Per limitare la dipendenza dall’estero ed impedire che l’andamento dei prezzi infici il proprio piano di rilancio, il Dragone sceglie la strada della diversificazione: finanziare progetti strategici in giro per il mondo, al fine di moltiplicare i fornitori.

PetroChina investirà per esempio 150 miliardi di yuan (circa 22 miliardi di dollari, 16 miliardi di euro) in progetti nelle valli dell’Erdos e del Tarim, in raffinerie nelle zone costiere (una da 9 miliardi di dollari nel Guandong), in oleodotti e gasdotti e nell’espansione oltremare.

Il fatto è che il pacchetto di stimoli comincia a dare i primi risultati e in parallelo il fabbisogno di risorse energetiche aumenta. Aprile ha visto infatti il primo aumento del 2009, su base mensile, delle importazioni di greggio.

Commenti all'articolo

  • Di uno (---.---.---.126) 14 maggio 2009 01:31

    il petrolio è aumentato a causa del rialzo delle aspettative inflazionistiche, queste causate a loro volta dalla consapevolezza che il mercato dei bond non riuscirà mai ad assorbire la mole dell’offerta.

    • Di Cristiano Fantinati (---.---.---.141) 15 maggio 2009 12:14

      Credo che le aspettative inflazionistiche siano errate, nonostante l’enorme mole di liquidità immessa, perchè le masse delle economie mature sono state davvero depredate negli ultimi anni, non si tratta solo di psicosi collettiva e quindi i consumi non riprenderanno nè quest’anno e nè l’anno prossimo, di conseguenza nemmeno l’inflazione.

      Secondo me, sia le banche centrali, che il fondo monetario internazionale hanno questa consapevolezza, si è notato perchè oltre a prestare a tassi bassissimi recentemente hanno anche aumentato le duration, questo significa che non prevedono un aumento dell’inflazione a breve, ma è più probabile un ipotesi di crisi a L come dice Roubini, con ripresa lentissima.

      Secondo me il prezzo del petrolio dovrebbe presto ritracciare e/o al massimo rimanere nel medio termine su questi valori, anche perchè l’OPEC a forza di tagliare la produzione raggiungerà il suo obiettivo.

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