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Obama lavora per la pace in Medio Oriente, Israele per lo status quo

Gli scandali sessuali di Berlusconi rischiano di far passare in secondo ordine la visita del premier israeliano Netanyahu a Roma, prima tappa di un tour diplomatico che lo vedrà nei prossimi giorni presso le principali cancellerie europee. La conferenza stampa congiunta alla fine del vertice, al netto dei melensi convenevoli tra Bin e l’amico Silvio, chiarisce gli obiettivi della missione israeliana in questa delicata fase della crisi medio orientale.

Netanyahu, con l’approvazione di Berlusconi, ha ribadito il contenuto del suo discorso del 14 Giugno in risposta a quello di Barack Obama all’Università del Cairo del 4 Giugno. L’incontro con la stampa israeliana, a cui la diplomazia di Gerusalemme aveva chiesto di non porre domande al Primo Ministro italiano sulle vicende scandalistiche che lo vedono protagonista, si è concluso con la “sparata” populista di Berlusconi che ha riproposto il suo “piano Marshall” per lo sviluppo dell’economia palestinese. Ovviamente nel suo delirio B. non ha spiegato con quali mezzi finanziari, con quali strumenti amministrativi e di gestione né come una fantomatica massa di denaro potrebbe essere gestita in uno stato di occupazione militare come quello che vive l’Autorità palestinese.

Ma cerchiamo di ricostruire quanto accaduto dal 4 Giugno. Mantenendo fede ad un preciso impegno assunto durante la campagna presidenziale, Barack Obama si è recato al Cairo e nell’Università ritenuta dagli arabi la massima autorità accademica per lo studio della religione musulmana, ha pronunciato uno storico discorso affermando, tra l’altro, che - è venuto il tempo della pace in Medio Oriente – e, per la prima volta di un presidente americano, ha accettato l’ipotesi di due stati per due popoli che vivano in pace uno accanto all’altro. Il 14 Giugno, dopo un approfondito dibattito politico nel governo e nella maggioranza di destra, Ben Netanyahu, in un clima di grande nervosismo, annunciava che Israele è pronta ad accettare l’esistenza di due stati ma pone alcune condizioni: la prima che lo Stato Palestinese sia smilitarizzato dunque poco più che un protettorato, la seconda che i palestinesi riconoscano lo stato ebraico d’Israele, dunque uno stato confessionale. Le reazioni degli arabi, compreso il Presidente egiziano Mubarak e Jimmy Carter potente negoziatore americano ritenuto assai vicino al Presidente Obama, sono state durissime. L’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) per bocca del suo negoziatore Saeb Erekat ha criticato aspramente l’atteggiamento israeliano come un tentativo di proseguire la politica di Sharon e Olmert di mantenimento di un sostanziale status quo. In pratica la creazione di uno stato palestinese a sovranità limitata (una specie di Porto Rico mediorientale) fronteggiato da uno stato sionista confessionale che non rappresenterebbe il milione e mezzo di arabi e la minoranza cristiana che in esso vivono. Inoltre l’ANP non ha bisogno di nuovi riconoscimenti dello Stato d’Israele avendo già compiuto questo atto dopo gli accordi di Oslo.
 
Gli stessi intellettuali israeliani ed i movimenti pacifisti hanno criticato il capo del loro Governo rimarcando che nel suo discorso Netanyahu dichiarava che gli insediamenti continueranno come del resto confermato proprio dalla firma apposta dal Ministro della difesa Barak sulle autorizzazioni per nuovi insediamenti di coloni a Talmon nella Cisgiordania occupata. Le organizzazioni pacifiste ricordano che nonostante il trasferimento delle popolazioni da parte degli occupanti sia espressamente vietato dalla Convenzione di Ginevra, i coloni israeliani in Cisgiordania sono passati da 100 mila a 300 mila e quelli a Gerusalemme est da 80 mila a 200 mila. La giustificazione dei nuovi insediamenti con la “naturale crescita demografica” è poi risibile se si considera che i coloni hanno costruito decine di migliaia di nuove case contro le poche centinaia autorizzate dalle autorità israeliane agli arabi. In realtà gli insediamenti hanno lo scopo di non garantire, né ora né mai, la continuità territoriale dello stato palestinese. Un’altra delle condizioni dettate da Netanyahu è stata la lotta più incisiva che l’ANP dovrebbe attuare contro il terrorismo. Una strana richiesta per un territorio stretto da uno rigoroso controllo militare tale da costringere lo stesso Presidente Abu Mazen a dover richiedere un permesso alle autorità militari israeliane per spostarsi dalla sua sede di Ramallah.
 
L’Europa e gli USA hanno giudicato il discorso del leader israeliano un “passo in avanti” che in linguaggio diplomatico significa un piccolo fallimento viste le premesse del discorso di Obama al Cairo. Il rischio che intravedono i dirigenti dell’ANP ed il Presidente Abu Mazen è quello di subire pressioni per tornare, senza garanzie, al tavolo delle trattative con il rischio, in caso di rifiuto, di rimanere diplomaticamente isolati. Per questa ragione Abu Mazen ha annunciato di essere intenzionato a liberare 200 detenuti di Hamas di cui cerca un appoggio dopo la guerra civile con Fatah. Dal canto suo Netanyahu, con il viaggio in Europa, cerca di guadagnare consensi prima di tutto da Roma e Parigi, diplomazie da tempo più vicine a Gerusalemme, isolando al tempo stesso i palestinesi perchè rigidi sulle proprie posizioni.

 

Lontano dalle schermaglie diplomatiche, il vero volto dell’occupazione israeliana è quello della drammatica realtà quotidiana dei palestinesi fatta di difficili spostamenti, di premeditata burocrazia e di acqua. Sì, perché una delle ragioni sottaciute di questa contesa è la disponibilità d’acqua in una terra che ne è povera. Un articolo del “Manifesto” a firma Marina Zenobio ha raccontato recentemente la vicenda del villaggio di Faqua nel distretto di Jenin. Il muro costruito dall’esercito israeliano divide il villaggio palestinese di 5000 abitanti da un insediamento di coloni religiosi di 400 abitanti. Faqua in arabo significa - fonte delle bolle d’acqua - . Invece Faqua non è collegata alla rete idrica e dipende dalle autobotti israeliane che vendono a caro prezzo il prezioso liquido agli abitanti del villaggio. Le sorgenti sotterranee che danno il nome a Faqua sono sotto il controllo israeliano perché Faqua è sì in Cisgiodania, dunque formalmente territorio palestinese, ma nella zona C quella sotto il completo controllo israeliano. A 500 metri dal villaggio, oltre il muro, i coloni israeliani di Maala Gilboa possono scavare pozzi, innaffiare giardini e coltivazioni senza limitazioni perché dispongono di 100 litri di acqua a testa al giorno contro i 30 litri che i palestinesi possono acquistare al prezzo fissato dal mercato. Questa è l’occupazione, questa è la libertà che Israele concede agli arabi nel loro stato “sovrano”.

Commenti all'articolo

  • Di Marco (---.---.---.152) 30 giugno 2009 16:58

    non credo che in Siria o in Iran i cittadini possano vantare gli stessi diritti garantiti agli arabi-israeliani: non credo che possano votare liberamente e ambire a cariche pubbliche (un arabo in Israele è membro del parlamento), o esercitare in piena libertà un’attività commerciale, o (è anche quella civiltà...) vedere una donna prendere il sole in spiaggia senza che sia linciata a sassate.
    Il fatto che le azioni di Israele, una democrazia moderna e civilizzata, siano equiparate a quelle di chi sgozza in diretta altri uomini è solo ipocrisia.
    Da quando Gaza è autonoma e indipendente le condizioni di vita sono solo peggiorate. La capacità di autogoverno palestinese è stata dimostrata sul campo: in tre anni Gaza è diventata una teocrazia (quella sì senza diritti per alcuno, ebrei o cristiani che siano) dominata da sanguinari terroristi.
    Dovrei aver detto solo verità inconfutabili... 

  • Di pint74 (---.---.---.31) 30 giugno 2009 19:05
    pint74

    Ti sei dimenticato di dire che le condizioni di vita dei palestinesi sono peggiorate anche a causa di qualche tonnellata di bombe di vario genere (fosforo incluso) piovute dal cielo e "gentilmente "donate dal popolo della "civilissima" e "democratica" Israele durante l’operazione piombo fuso.
    Operazione che portò morte e distruzione a Gaza ed uccise ben 1500 "pericolosissimi" terroristi,fra cui donne e bambini.
    Che incredibile opera "pacificatrice" ha fatto Israele.
    Anche questa è incontestabile verità.
    La propaganda io la lascio ad altri.

  • Di pint74 (---.---.---.31) 30 giugno 2009 19:08
    pint74

    Ottimo articolo Fabio,completo e bilanciato.
    E se non si fosse capito ,la risposta sopra era per Marco,forse un pò troppo di parte.

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