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Nuovo anno a Il Cairo

In giro per le strade affollate de Il Cairo, parliamo di Gaza, dell’Afghanistan, dell’Iraq con gli stanchi abitanti delle metropoli. L’Egitto ha perso appeal internazionale. La gente è un più stanca dell’inossidabile Mubarak.

Che ci faccio qui? Siamo incolonnati come sempre, tranne il venerdì, nelle strade de Il Cairo. Ci avvolge la nebbia mattutina formata da escursione termica e smog (al-Qaira è fra le città più inquinate del pianeta). Un sacco di gente in giro (anche di notte) qui vivono oltre 20 milioni di persone.
 
Donne sunnite coperte fino ai piedi, donne sciite con il solo velo, cristiane a testa scoperta, un po’ il simbolo dell’Egitto. Certo, mi racconta Jasmine, io non posso andare a ballare (solo le ragazze dell’alta borghesia vanno nelle costose discoteche degli alberghi), tante ragazze sono obbligate in casa a vedere tutto il giorno la televisione ma nei posti di lavoro e nelle scuole stiamo cambiando e obbligando le nostre famiglie a farlo. Tanti uomini soli che girano a gruppi ma anche qualche coppia giovane che s’abbraccia nascosta nelle ombre del lungo Nilo. Centri commerciali enormi che spingono per cambiare costumi e modi di vita (almeno nele grandi città), un paese, come scrivono gli esperti, in transizione. 

 

Capodanno, tutti in giro. Ahmed mi racconta che furono gli egiziani a organizzare le prime feste di inizio anno (secondo lui tutto è stato inventato da loro, pane, carta, esplosivi, pizza, caffè). Altri tempi e altra stagione. Il Nilo saliva, sempre più o meno alla stessa data, e la gente festeggiava l’anno (gli egizi inventarono il calendario di 12 mesi lunari), Opet e i molti dei del sole, della Luna, della Vita e della Morte, venivano portati sul fiume da un corteo di barche. Così mi racconta è scritto in un antico documento.

Il traffico, in questi giorni, è stato bloccato anche dai 1300 membri della Gaza Freedom March, a cui il governo egiziano, per evitare problemi con Israele, ha impedito di raggiungere Rafah e da qui Gaza. Della tragedia dello scorso anno si è parlato solo per queste manifestazione, davanti all’ambasciata USA, francese oggi Israeliana (quattro gatti) e per gli scontri con la polizia (leggeri). Alla fine s’è mossa Suzanne Mubarak che ha concesso a 80 manifestanti (palestinesi con famiglie a Gaza) di raggiungere il confine. Sorte peggiore per il Palestina Convoy (una decina di camions con aiuti umanitari) che è dovuto tornare in Siria e raggiungere la Palestina via mare. I cairoti sono rimasti indifferenti.

Ahmed (di mezza età) ricorda con orgoglio Nasser, Sadat, la guerra d’Ottobre (che permise la riconquista della sponda di Suez). Altri tempi, in cui il suo paese esercitava una grande influenza non solo nel mondo arabo ma fra tutti i paesi non-allineati e quelli africani. Questa influenza l’Egitto l’ha persa nella faticosa ricerca di mantenere ed estendere il relativo benessere, di costruire grattacieli e superstrade che hanno cambiato la fisionomia de Il Cairo rimpiazzando le vecchie case, assalendo le piramidi. Niente di male, però la crisi internazionale (come per altri paesi marginali) ha colpito poco ma solo nelle classi più povere, diminuiti gli investimenti internazionali, aumentata la disoccupazione. E Mubarak governa da 28 anni, a suo merito il consolidamento della pace con Israele. Il 2009 è stata l’anno in cui sono morti meno israeliani per scontri o attentati, la metà dello scorso anno (15 contro 36 nel 2008) e nessuna autobomba.

Il Rais (81 anni) nel suo discorso di fine ha ribattuto sulle “grandi ambizioni e aspirazioni” del suo paese, ha assicurato che l’Egitto difenderà il mondo arabo “dai tentativi d’egemonia” ma anche promesso riforme nell’opaca democrazia, e un sistema d’amortizzatori sociali (pensioni, sussidi di disoccupazione) per il suo popolo un po’ stanco del suo controllo totale. L’economia funziona (crescita del 4,5% nel 2009), si sta preparando la successione di Mubarak con il figlio Gamal (tecnocrate bancario, virato in politica), i Fratelli Musulmani (e il resto dell’opposizione) sono stati con le buone e le cattive marginalizzati, ma la burocrazia controllata dal governo è onnipotente, il ricambio politico nullo (vedremo alle prossime elezioni presidenziali nel 2010) e il 30% della popolazione vive ancora brancolando intorno alla “poverty line”. La classe media nata nell’ultimo ventennio, è quella che sta soffrendo di più per salari bassi e disoccupazione intellettuale.

Non vi è più il traino del Grande Egitto, il cui ruolo è nullo nelle grandi questioni che hanno scosso il mondo arabo. Ahmed dice che ora sono i cinesi che stanno diventando la prima potenza (anche in Africa), poi Brasile, South Africa e addirittura Nigeria sembrano più influenti delle terra dei Faraoni. Ma sono i cinesi, turismo dilagante in Egitto, che più sorprendono Ahmed, abituato a considerare gli americani onnipotenti. 

Gli USA spendono miliardi di dollari per combattere guerre, tentare di sconfiggere il terrorismo (ma Al Queda non è stata ancora decapitata) mentre i cinesi fanno affari. In Afghanistan, nel 2007, hanno firmato un accordo con Kabul di USD 3,4 miliardi, appropriandosi di miniere di rame (ad Aynak) in grado di soddisfare 1/3 dei loro consumi.

Suscitando un pò’ d’invidia gli dico che Pakistan, Iraq ed Afghanistan sono diventati i paesi più corrotti del mondo grazia alla malagestione degli immensi fondi internazionali. Ora gli USA spenderanno USD 5 miliardi per ricostruire una parte di Bagdad. La burocrazia egiziana è fatta da dilettanti al confronto. Bé, ci saranno ancora più cinesi e iracheni nei nostri alberghi, sorride, Ahmed.

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