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Non esiste libertà politica senza libertà economica

Quando il capo dei sacerdoti del sinedrio si straccia le vesti, perché raggiunge l’apice dello scandalizzarsi nell’udire l’affermazione di Cristo sulla sua missione terrena, esprime con enfasi recitatoria la reazione del dominio terrestre del convenzionale, che è “anacronismo-crazia” in foia moralizzante.

Il capo dei sacerdoti intuisce subconsciamente il pericolo che il principio della fraternità affiori mediante l’io umano, di cui il Cristo è luminoso involucro (l’“unto”, l’unzione non è altro che espressione simbolica di tale luce) nel mondo, e che il potere terreno dell’io giuridicamente asservito alla terrestrità, il potere temporale, possa essere scosso dal vero io.
 
Non diversamente gli asceti vedici trasformati in maiali mediante incantesimo, quando Indra manifesta l’idea di farli tornare uomini, reagiscono, sentendo il terrore di dover rinunciare alla beatitudine della “maialità”. E devono tornare uomini, per rendersi conto della maialità con cui si identificano.

 

Lo stesso capita oggi ai politici, quando avvertono l’abiezione della smarrita umanità che è il vero tema di oggi.
 
Uno di questi è per esempio il professor Antonio Martino, economista di scuola friedmaniana, che ha recentemente scritto su Libero un articolo (venerdì 15/01/2010, pag. 1) intitolato “Non vogliamo tenerci il Fisco del signor Visco” in cui accenna a Giulio Tremonti non come al “superministro delle Finanze” decantato dai media, ma come al “commercialista più pagato d’Italia”, e ciò proprio grazie al “vergognoso e vessatorio sistema tributario che ricorda Vincenzo Visco e le sue 67 orribili gabelle, imposte nel 2006” (Leonardo Facco, “Lettera aperta al professor Antonio Martino”).
 
In tale articolo Martino scrive che “la riforma tributaria è sempre stata un impegno solennemente assunto e ampiamente sbandierato da Berlusconi”, e che tale programma politico ha invece a che fare ora col dietrofront di Berlusconi.
 
Infatti sostiene Martino che “le platealmente false giaculatorie sulla crisi” non sono altro che l’ennesima plateale scusa per la “vergognosa ed ingiustificata inadempienza del nostro amato presidente del consiglio” che d’altra parte ama apparire “convinto che quella riforma sia necessaria ed utile all’economia italiana”.
 
Così Martino critica Tremonti, in quanto Tremonti non sembra interessato ad alcun cambiamento, soprattutto da quando si maschera col “patto Segni” per giustificare veti di ogni sorta mediante le solite elucubrazioni astratte.
 
Domanda: il prof. Martino fa il furbino? Oppure è davvero convinto di ciò che afferma su Libero? Infatti è molto facile scrivere su Libero certe cose, dato che Libero ha preso il posto de L’Unità, ed oggi è diventato il giornale in cui gli individui interiormente più emotivi ed agitati possono dire ciò che poi tacciono a Porta a porta. Una storia antica! Ed è facile la vita del fagno a ventimila euro al mese.
 
Certamente, affermando che “non esiste un articolo della Costituzione vigente che reciti che in caso di governo di centro-destra tutti i poteri economici devono essere affidati a Giulio Tremonti”, Martino fa chiaramente capire che se fosse per lui caccerebbe via Tremonti.
 
Però cosa fa poi nel concreto Martino? Egli sa bene che se si va avanti di questo passo si arriva solo a ballare il tango argentino, dato che è abituato ad affermare che “non esiste libertà politica senza libertà economica”.
 
Ma non lo diceva forse già anche Marx? Che senso ha ancora oggi tale retorica sulla Costituzione?
 
Già l’art. 5 della Costituzione non sarebbe forse un ottimo programma politico? La storia però insegna che nessun programma governativo si è mai veramente attuato, e da duemila anni ad oggi nessun programma politico si è attuato in modo favorevole all’individuo.
 
Da millenni è sempre più evidente - ma nessuno lo vuol vedere - che ogni programma politico continua a strutturarsi comicamente nel medesimo rapporto in cui il popolo “sovrano” è padrone di assumere la funzione di avere fame, ed il governo quella di mangiare in rappresentanza del popolo.
 
Dunque non la discussione su un’idea di un programma può avviare qualcosa di buono ma solo una polarizzazione di persone vive, la cui indipendenza sia riconoscibile senza riserve. Cosa voglio dire?
 
Più invecchio e più devo constare la difficoltà della gente a capire l’antilogica dominante: si vorrebbe la pace nel mondo, e si prepara la guerra in nome della pace. La logica è questa. Né più, né meno. Ciò dimostra che rarissimi si accorgono che il problema della pace mondiale è, più di ogni altro, un problema di vita interiore.
 
Invece sono tutti subito pronti ad agitarsi i nostri politici in nome di qualsiasi bene. Parlano di famiglia ed hanno l’amante, parlano di economia e rubano, parlano di educazione e sono pederasti, parlano degli orrori della droga e della guerra e drogandosi mostrano di commuoversi ogni anno di fronte al milite ignoto.
 
Così, togli l’ICI e metti un tichet, mandi via Fazio e metti il drago, via i partiti cattivi che viene quello buono, mentre il solo piano che potrebbe concretamente armonizzare non solo l’Italia ma tutto il pianeta è per sua natura immateriale, e corrisponde a ciò che fu anticamente il protocristianesimo. Ma chi può e come si può oggi attuare una forza epicheica come quella di protomartire Stefano? Col confronto delle idee non si può, dato che già l’idea di confronto evoca il fronte e la guerra frontale fra un portatore di pensiero debole e un altro portatore di pensiero debole.
 
L’unico metodo possibile è quello dell’interesse, anzi del disinteresse, nel senso dell’interessarsi o no alle cose. Infatti ogni individuo avrebbe un’arma potentissima in sé stesso: l’interesse, dato che non si può dire a qualcuno “interessati di questo o di quello”, oppure “non interessarti di questo o di quello”. E qui sta il bello. Ogni individuo dovrebbe arrivare da sé al suo vero interesse. Spendere parole per creare finti legami, o consensi, per sottomettere i propri simili con giochetti faziosi, settari o linguistici, o creando schemi etici, magari schemi etici di mercato “equo e solidale”, è anacronismo dannoso per tutti. Su questo retaggio il politico, che è il vero mafioso, ha costruito la sua particolare forma di misoneismo.
 
E poi c’è l’interesse economico. Una volta lessi in un libro sull’hallesismo che “è giunta l’ora di prendere coscienza della indivisibilità del benessere. Chi pensa solo ai casi suoi e crede di poter separare il bene proprio da quello degli altri, dimostra di non saper fare il proprio interesse”. Quante volte ho trascritto questa frase? Ma non c’è niente da fare. Neanche se sei ben disposto verso qualcuno oggi non puoi che ricevere pesci in faccia. Sono perle ai porci. Con certa gente è impossibile ogni confronto ed ogni dialettica, in quanto si odia il logos e la logica, e la dialettica che può instaurarsi è solo quella degli insulti.
 
Dunque il confronto dialettico non è raccomandabile. E allora che fare?
 
Oggi occorre solo imparare a “schallarsi” (per usare un termine del Verga): l’io ha un’azione efficace e viva solo grazie alla propria irradiazione personale. Ed è questa che bisogna anzitutto suscitare. Non la discussione dell’una o dell’altra idea. E meno ancora l’organizzazione basata sull’adesione a un programma politico.
 
Ieri Caligola faceva senatore il cavallo ed oggi siamo arrivati ad affermare che un cavallo non può diventare senatore, e ci crediamo perciò sani di mente?
 
Che qualcuno possa invertire la rotta di questo stato di cose è assolutamente impossibile, e non in quanto siamo in una democrazia malata, ma in quanto è la democrazia stessa ad essere assolutamente fallimentare e portatrice di malattia.
 
Sono rarissime mosche bianche coloro che si accorgono di questo. Hans Hermann Hoppe in “Democrazia: il dio che ha fallito” smaschera la democrazia del consenso nella quale viviamo, dimostrando con fatti che il mutamento sostanziale dello Stato è impossibile a chiunque: si chiami pure Berlusconi, Tremonti o Martino. Prova ne è, che le leggi fiscali e tutto l’apparato vessatorio sono esclusi dai referendum popolari. Ci sarà stato pure un motivo per scriverlo nella costituzione 60 e passa anni fa! Occorre svegliarsi dal torpore della democrazia semmai. Azioni mirate di disobbedienza civile! Epicheia alla Fidenato!
 
Tra 60 milioni di persone ci sarà pure qualche decina di coraggiosi alla Fidenato. È auspicabile una dittatura dell’individuo. Non si dovrebbe temere la parola dittatura. Basterebbe intenderla come antropocrazia. L’antropocrazia non è prerogativa di alcuno e non significa fascismo, ma solo armonia dell’organismo sociale ed autodominio individuale, individualismo etico. Votare? Basta. Non mi interessa. Fidenato? Sì. Mi interessa. E lo cerco nel web per sapere cosa sta facendo. La gente che lavora e che crede nella libera creatività può prendere coscienza dell’oppressione cui siamo sottoposti solo tramite epicheia. Cos’è? Non ne parlo. Cercatela. Basta satrapi che ti dicono cosa fare! E non c’è neanche bisogno di prenderli a pedate. Basta rifiutarsi di “collaborare”.
 
Questa è l’unica lotta per liberarci dai parassiti. Al massimo si rischia una multa che poi non si paga. E poi non si possono multare milioni di individui creativi. Ed intanto il segnale di libertà si diffonde su tutto il pianeta. Occorre questa nuova coscienza. Essa incomincia nel 2012 secondo le scritture. Ma chi se ne frega. È già incominciata.
 
Un cambiamento connesso al cambio della direzione politica dopo una votazione elettorale non ha senso se in cima alla piramide vi è un inamovibile gruppo Bilderberg mirante al potere territoriale, dato che dei soldi non sa che farsene, creandoli esso stesso dal nulla. Dico Bilderberg per dire una ragnatela così ampia e articolata da consentire il progressivo condizionamento planetario di qualsiasi attività: la Trilateral Commission, il Council on Foreign Relations, il Club de Paris, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Camera di Commercio Internazionale, l’Institute of International Finance, il Forum di Davos, il Comitato di Bali per la supervisione bancaria; l’IOSCO (International Organisation of Securities Commissions) per la supervisione delle Borse e dei mercati di capitali; l’ISMA (International Securities Market Association); l’IAIS (International Association of Insurance Supervisors) per la vigilanza sulle compagnie di assicurazione; e l’ISO (International Standard Organisation), a cui è addirittura demandato l’incarico di definire gli standard industriali, tanto per citarne i più noti e importanti gruppi di parassiti.
 
Le chiacchiere di Berlusconi rimarranno dunque chiacchiere se egli non chiarirà la sua assurda posizione keynesiana.
 
Quindi senza epicheia, senza equità generata da civica disubbidienza ci sarà sempre cinica obbedienza a lato di chi lucrerà onorari da capogiro, di chi furbescamente eluderà la tagliola normativa, e di chi farà la grana con consulenze improbabili.

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