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Nepal: guerriglieri immaginari

Dopo tre anni è iniziato il processo di smobilitazione degli ex-guerriglieri maoisti. Un segnale positivo per un ritorno alla normalità. Tanta povera gente che spera in un lavoro o in una sistemazione. Qualche ragazzino, infilato all’ultimo, per aumentare il numero dei guerriglieri e prendere più soldi dai donatori internazionali.

Qualche bella notizia. Uno dei principali nodi politici sembra in via di soluzione. I partiti, compresi i maoisti, hanno raggiunto un accordo per smantellare in 112 giorni, l’Esercito Popolare (PLA) e iniziare a rimettere il paese in sesto e dare un futuro a qualche migliaio di veri e finti ex-guerriglieri. Il barometro politico gira al bello.

Dimenticato il video di Shaktikhor (da uno dei cantonment in cui sono ospitati i solati maoisti) in cui il leader Prachanda prendeva in giro l’UNMIN dicendo che, in realtà, i suoi soldati erano 8.000 e non 35.000 come riconosciuto dal confusionario e costosissimo ente delle Nazioni Unite. Ragione del truffone, spillare i soldi stanziati dai donatori internazionali per mantenere i combattenti a favore del partito. Una serie d’interessi convergenti hanno fatto restare 19.602 persone nei campi, in condizioni non brillanti, isolati, con la sola speranza d’entrare nello stato. Gli ex-combattenti sono povera gente (i più furbi si sono già sistemati nel partito), usati come manovalanza quando c’è da fare casino e come giustificazione per avere finanziamenti dalle varie organizzazioni internazionali (UNMIN, UNHCR e adesso anche UNICEF).

Forse qualcosa ora si è sbloccato. Lo Special Committee on Supervision, Integration and Rehabilitation of Maoist Army Personnel ha redatto un bel documento in cui si definisce il processo d’integrazione. Una parte dei combattenti (circa 15.000) saranno arruolati nel Nepal Army, Armed Police Force, Nepal Police and National Investigation Department (national intelligence), portando le forze di sicurezza a sfiorare le 100.000 unità in un paese di 20 milioni di persone, tanto pagano i donatori internazionali. Qualcuno ha riproposto anche il modello cambogiano: 70% dei diversi gruppi armati - stato della Cambogia, gruppi di Som Saan, Prince Norodm Ranariddh and Khem Rouge - dovevano essere riabilitati socialmente e il restante 30% arruolato in una nuova forza armata. Modello fallito perché nessuno disarmò e gli scontri proseguirono per anni. Chi non entrerà nelle forze di sicurezza (le uniche che ospiteranno i maoisti saranno quelle di polizia) riceveranno Rs 10,000 (euro 100 dall’UNMIN) e Rs 22,000 (euro 200) dai maoisti, più un set d’abiti civili e la promessa di training o scuola. Visto quello che è successo per le vittime e displaced del conflitto c’è il rischio che chi accetterà questa soluzione dovrà migrare o andare a rubare negli appartamenti di Kathmandu.

Per adesso, fra gran fanfare e discorsi, è iniziato il processo di allontanamento dai campi dei finti combattenti, cioè quelli inseriti per far numero e soldi come descritto nel video. A Sindhuli (Campo di Dudhauli) dove fra gran fanfare e discorsi sono tornati civili 372 finti combattenti (di cui 170 se n’erano già andati a casa prima). Sono una parte dei 4008 (fra cui circa 500 sotto i 18 anni) arruolati, più di nome che di fatto, al termine del conflitto per aumentare il numero e fregare l’UNMIN.

Qualche giornalista occidentale male informato ha fatto un po’ di spettacolo sul ritorno alla vita civile dei “bambini soldati” è la solita grande bufala, nessuno li obbligava a stare nei campi e ci stavano solo per portare a casa qualche soldo (Rs 800 al mese) e sperare in qualche lavoro. Alcuni di questi hanno dichiarato (e sperato) di poter continuare a fare i militanti maoisti, magari stipendiati. Sarebbe una soluzione, per non trovare altre 4008 persone senza lavoro e senza speranze, magari costrette a finire nelle bande che saccheggiano il Terai. Mentre le fanfare suonavano a Sindhuli tre attivisti maoisti sono stati uccisi a Bara (nel Terai) in scontri fra bande politico-criminali, un altro ex comandante del PLA s’è suicidato in uno dei campi. Il problema sociale e politico resta.

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