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Nepal e la crisi: squatters, droga e migranti

Poveri senza terra o a cui è sottratta, migranti frastornati dal botto degli Emirati, disperati a vendere droga. Continuiamo il viaggo nei paesi neo-globalizzati che cercano di affrontare l’uscita dalla crisi.

Prima partiamo con gli aggiornamenti della situazione che ha rischiato di precipitare in Nepal. Fortunatamente i maoisti hanno sospeso lo sciopero generale proclamato dal 10 dicembre. All’ultimo minuto sembra abbia prevalso un po’ di ragione e il primo ministro, Nepal, e il leader maoista, Prachanda, hanno ripreso il dialogo, dopo le tensioni e i blocchi seguiti agli scontri di Kailali. Io resto ottimista e credo (spero) in un coinvolgimento dei maoisti nel governo e nelle decisioni strategiche (forma dello stato, sistema elettorale, etc.) che dovrebbe, prima o poi, prendere l’Assemblea Costituente (bloccata). Già, per questa, si parla di un prolungamento dei termini. Nei prossimi giorni Nepal volerà in India per avere l’assenso dal grande fratello a una soluzione negoziata. Scuole chiuse e studenti che protestano in giro per il Nepal, vorrebbero studiare ma fra feste e scioperi vola via quasi 2/3 dell’anno scolastico.
 
Oggi brutta storia, un’altra giornalista è stata ferocemente picchiata a Rukum ed è in fin di vita. Si tratta di Tirtha Bista che scrive per un giornale vicino al partito di governo UML che esprime anche il Primo Ministro (Unione Marxista Leninisti-ex comunisti moderati). Durante le elezioni fu ucciso il marito Yadu Gautam candidato per lo stesso partito. La causa del pestaggio e dell’abbandono della donna creduta morta in una foresta sono le critiche scritte contro alcuni esponenti maoisti locali. Ne riparleremo.
 
In Nepal siamo in perenne bilico fra default e ripresa, situazione che coinvolge speranze e vita di milioni di persone. Anche qui, come in Cambogia, le conseguenze della crisi hanno ridotto i posti di lavoro, chiuso molte fabbriche (e le poche multinazionali).
 
In Nepal, più che altrove, la totale assenza dello Stato sta pesando sui più poveri e sulla situazione sociale e di sicurezza del paese. Come scritto nell’altro articolo su questo piccolo viaggio fra i neo-globalizzati pesa la differenza con quanto sta accadendo fra i protagonisti della crisi stessa: banche, borsa, società finanziarie che non se la passano tanto male. Se uno digita “banche speculano” sul Web si ritrova una bella mattonata di articoli che riportano dichiarazioni ufficiali (banche centrali e governi) su manager (sempre all’ingrasso), derivati tossici (diffusi negli enti locali italiani per fare cassa e beccare provvigioni), Bad Banks con i soldi della collettività per salvare le banche dei privati. Insomma il sistema resiste e si mantiene ben in piedi, ai suoi margini, più fuori che dentro, la gente si barcamena come può. 
 
Pensiamo per esempio a 4 milioni di persone senza terra in Nepal(i mitici Sukhumbasi sempre citati in progetti e reports delle NU e ONG da oltre trent’anni), confratelli nella sfiga dei contadini cambogiani che si vedono sfilare via la terra da sotto il naso (land grabbing) da multinazionali in cocca coi governi. Pensiamo che il loro numero aumenta per calamità naturali, sociali (come la guerra civile in Nepal) o crisi economiche. Cosa fareste, non spacchereste tutto, visto che nessuno vi sta a sentire. Qualcuno sta cercando di farlo.
 
Aggiorniamo sul villaggio di Kraya nella Cambogia centrale (famoso per il riso) è diventato uno dei simboli della lotta contadina contro il furto di terra da parte di multinazionali (in questo caso vietnamita, che rende la tensione più alta visto i non buoni rapporti storici con i Khmer). E’ una storia che va avanti dal 1994, quando a un gruppo di reduci furono date queste risaie (in cambio della pensione) e che si conclude, dopo proteste, botte, arresti, petizioni e altro, con l’intervento in forze della polizia che, a suon di bastonate, stanno cercando di convincere le oltre 50 famiglie a cedere la proprietà in cambio di qualche spicciolo. Però, ed è bello, i giornali cambogiani hanno scritto di questa gente, hanno creato un caso che, forse, servirà a rendere più consapevoli e forti le migliaia di poveracci che nelle città e nelle campagne si vedono portare via il loro lavoro di anni.
 
I loro colleghi di Kailali (profondo Nepal occidentale) hanno cercato di fare lo stesso occupando parte di una foresta statale. Scontri con sei morti, sciopero a Kathmandu e blocco della città con 60 arresti, tensione altissima fra maoisti e governo. Accuse ai maoisti e alla loro associazione All Nepal Squatters di aver strumentalizzato ed esacerbato le proteste, che, fra l’altro si stanno estendendo non solo ai poveri e dimenticati distretti vicini (Kanchanpur e Doti) ma anche al resto del Terai più centrale (Rupandehi, Nawalparasi e Kapilvastu). Kailali e i distretti vicini sono noti solo per le frane, inondazioni e diarrea che li colpisce. Saranno i maoisti o la disperazione di gente in cerca di qualche sicurezza, visto che senza terra si lavora a giornata per euro 2 o 3 al giorno (semina e raccolti). Le alternative del passato erano le fabbriche del Terai (in gran parte chiuse) o quelle indiane anch’esse ferme.
 
I più intraprendenti (e con almeno un migliaio di euro per pagarsi visti, intermediari e viaggio) se ne andavano negli Emirati, dove la speculazione e riuscita a beccarli anche lì. Ma anche lì, specie nel Dubai, gira male per le decine di migliaia di nepalesi, parte degli oltre 3.000.000 di migranti in giro per il mondo. Lì guadagnavano euro 200-300 al mese (più vitto e alloggio, per così dire), quasi tutti impegnati nella costruzione dei grattacieli rotanti, piste da sci, immensi supermarket, hotels subacquei. Oggi molti sono obbligati a lasciare le palazzine-pollaio nel deserto e tornarsene a casa o imbarcarsi in qualche altra avventura sfruttata.
 
C’è chi si organizza in altro modo strutturando una delle più fiorenti industrie locali (almeno nel passato), quella della droga. In Nepal, fino alla fine degli anni ’70, la droga era di fatto libera e trafficata in lungo e in largo, poi aiuti internazionali, turismo e criminalità hanno indotto il governo ad intervenire con decisione contro l’uso e lo spaccio di eroina. Nei primi anni ’80 sono stati espulsi, con retate notturne, gran parte dei variopinti freakettoni che vivevano e morivano con questi traffici, ripulita Kathmandu, accontendando i paesi occidentali (che vedevano scomparire tanti giovani), tour operators e qualche cittadino stufo di essere rapinato. Sul terreno qualche migliaio di eroinomani nepalesi, che importarono il vizio del buco dagli occientali.
 
L’hashish ha resistito ancora un po’. Cresce naturalmente in quasi tutto il Nepal tant’è che un tempo le piante più grosse erano utilizzate per segnalare i buchi nelle strade, anche nel centro di Kathmandu. Nel Dolpo è curato e raccolto e viene prodotto una delle migliori qualità mondiali, a Kathmandu si riempivano sculture, sederi, stupa di legno per esportare il mitico polline. I sadhu continuano a fumarselo normalmente, anche se sono stati chiusi i localini che lo vendevano all’ingrosso e al dettaglio e, durante lo Shiva Ratri, sono imitati da migliaia di gaudenti.
 
Tutto era un po’ improvvisato ma ecco che, oggi, salta fuori un’organizzazione nepalese ben strutturata, internazionale, ramificata che non sta subendo la crisi ma solo qualche arresto o uccisione. Anche qui la manodopera arriva dai villaggi e ai migranti più disperati. Non per niente i cognomi più ricorrenti sono Ghale, Tamang, Gurung, quelli dei contadini delle colline nepalesi. Due di loro sono stati condannati a morte da un tribunale malese e si sospetta che them might be linked to drug syndicates operating with the involvement of or led and fostered by Nepali nationals in foreign lands secondo la United States Drug Enforcement Agency (USDEA).
 
Si racconta di una mafia, la Crescent Moon, in cui i nepalesi sono utilizzati per spostare eroina dal triangolo d’oro verso i mercati consumatori. Uno dei manovali di punta era Man Singh Ghale di Nuwakot, ucciso dalla polizia nel 2005 ma ben presto rimpiazzato da altri compaesani. A Karachi opera la madrina Gopi Tamang, (proveniente dal distretto di Dhading) che è riuscita ad allargare il giro al contrabbando di rupie indiane false (forse procurategli dai servizi segreti pakistani di cui si racconta riuscirono a rubare carta e stampi orginali dalle stamperie ucraine). La 50enne donnina è riuscita ad estendersi fino alla Tanzania e alla Nigeria. Nel suo giro i numerosi africani che giocavano (prima dell’arresto o espulsione) tutte le mattine a pallone nello spiazzo di Lainchour. Giri simili a Bangkok. Gruppi organizzati sono operativi a Bangkok "so far as we know Nepali drug traffickers have spread out as much as the Chinese, Japanese, Afghan and Burmese traffickers" raccontano i rapporti dell’USDEA. Non per niente l’India è un po’ preoccupata delle migliaia di chilometri di confine, praticamente senza controllo.
 
E non soprende che la crisi faccia aumentare, come sta accadendo a Kathmandu e a Phnom Penh, gente disperata disposta a tutto per sopravvivere. Specie se i governi sono indifferenti (Cambogia) o inadempienti (Nepal) e se qualcuno di questi disperati, poi, fosse in grado di leggere gli articoli di giornale. Come quando si leggono le esortazioni dei principali responsabili dello sfascio come il sempre eterno ex pluri primo ministro e presidente del Congresso nepalese, Girija Prasad Koirala, che, con le tasche strapiene, per la millesima volta dichiara: "We need to intensify efforts in the mountains to eradicate poverty and promote basic and primary health, education and economic development programmes". E, poi, subito dopo: "Copenhagen carnival is in full swing that more than 600 Nepali are headed to Copenhagen this week including members of the donor agencies, non-governmental organisations, media and the government. Hopefully, they can all take care of Koirala’s concerns." 

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