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Lettera ad un mercato mai nato

Il vento della restaurazione statalista gonfia ancora una volta le vele dell’ideologia tremontiana. Oggi siamo in modalità amarcord, con le rimembranze dei bei tempi andati:

“Una volta c’erano le Bin (banche d’interesse nazionale, cioè Comit, Credit e Banco di Roma, ndPh.) che magari avrebbero fatto diversamente e mi sembrava andassero molto bene”.

Così il Ministro dell’Economia nel corso di una conferenza stampa a margine del direttivo di Assolombarda.

Tremonti non spiega in cosa si sarebbe sostanziato quell’”andare molto bene” che egli attribuisce alle Bin, né ricorda le performances di altri istituti pubblici, come il Banco di Napoli, che venne salvato dal Sanpaolo un minuto prima che implodesse sotto il peso dei bad loans, ma probabilmente soffre di amnesie selettive.

Non pare ricordare, inoltre, che le tre banche d’interesse nazionale furono privatizzate sia per l’esigenza di avviare la convergenza dei conti pubblici verso Maastricht sia per promuovere l’adeguamento del sistema creditizio italiano, non a caso all’epoca definito “la foresta pietrificata”, verso standard europei, sul piano dimensionale e dell’efficienza.

Tremonti imputa al sistema creditizio italiano un ipotetico eccesso di concentrazione (”due banche hanno il 30 per cento del mercato, è un sistema troppo asimmetrico e lontano dalle realtà locali”) dimenticando che le nostre banche non hanno fatto altro che seguire la tendenza e gli incentivi globali alla concentrazione, anche perché ignorare ciò avrebbe aggravato il deficit competitivo dei nostri istituti e del più generale sistema-paese. Ma Tremonti è da sempre specialista in decontestualizzazioni, inutile sperare che se la faccia passare proprio in questa congiuntura.

A ben vedere, questa posizione del Ministro ricorda la lotta contro la globalizzazione, contro la “fretta” di voler fare entrare la Cina nella WTO, come se fosse stato realmente possibile scegliere, e le recriminazioni contro questi impuniti di cinesi e indiani che osano pure consumare, proprio come noi occidentali con le nostre brave radici cristiane. Cose da pazzi, signora mia.

Una delle dichiarazioni odierne di Tremonti è tuttavia condivisibile nelle premesse, anche se non nelle conclusioni, ed è questa:

“Avete voluto il libero mercato, avete voluto spacchettare Enel, avete visto i risultati in bolletta, fantastici. Avete voluto privatizzare Telecom, ecco i risultati, le autostrade…Vi dò l’indirizzo, rivolgetevi agli ingegneri dell’industria e della finanza”.

A parte che i maggiori costi della bolletta elettrica derivano da una cosina chiamata CIP6 e non dalla separazione tra produzione e distribuzione (buono a sapersi per quando toccherà a Telecom Italia, in caso Tremonti fosse coerente con sé stesso), la critica del Ministro è condivisibile. Nel senso che è ormai storia che le privatizzazioni, gestite dal governo Prodi, furono semplicemente il trasferimento del titolo di proprietà da monopoli pubblici a monopoli privati. Nessuna seria liberalizzazione dei mercati di riferimento, solo rendite parassitarie per i nostri “capitani coraggiosi”.

Solo che in Italia, ultimo bastione del socialismo, la narrativa finale diventa quella tremontiana, un non-mercato viene gabellato come mercato, e si tenta di far passare questi bizzarri messaggi neo-statalisti, una specie di “si stava bene quando si stava male”.

Non stupisce che, anziché compiere un serio sforzo per verificare la possibilità di accrescere il grado di competizione nel sistema bancario, Tremonti preferisca la “public option” di una fantomatica ed anacronistica “Banca del Mezzogiorno“, con coinvolgimento di un operatore come le Poste, che da sempre agisce fuori da logiche competitive, in qualunque segmento di mercato entri.

L’aspetto più triste della stagione italiana delle (finte) liberalizzazioni è proprio l’aver prodotto questa “egemonia culturale” del tremontismo, che oggi appare la prosecuzione del marxismo con altri mezzi: la critica ad un mercato che questo paese non ha mai realmente conosciuto.

Commenti all'articolo

  • Di Maxks (---.---.---.90) 13 ottobre 2009 11:25

    un chiarimento... il CIP6 concerne in un aumento del 6/7% sulla bolletta e non del 15% (escluso il CIP6 ovviamente) com’è avvenuto dall’arrivo del tanto sognato euro che ha inginocchiato + di mezza Italia sui consumi ed arricchito i soliti noti.

    • Di Renzo Riva (---.---.---.190) 13 ottobre 2009 13:38

      Ecco cosa scriveva, a proposito di liberalizzazioni, il mio Presidente (C.I.R.N. Comitato Italiano Rilancio Nucleare) Ing. Paolo Fornaciari responsabile di ATN-Attività Nucleari dell’Enel, mancato il 31 Luglio di quest’anno.
      Questo intervento in omaggio alla sua statura tecnica ed umana.

      Mandi,

      Renzo Riva
      C.I.R.N. Sezione F-VG

      [email protected]
      349.3464656

       

      Articoli pubblicati su L’Opinione do Arturo Diaconale

      Le liberalizzazioni di Rutelli, un danno per il settore energetico

      di Paolo Fornaciari


      Edizione 247 del 16-11-2006

      Sorprende e meraviglia che il professor Mario Monti, già commissario europeo per la Concorrenza, nell’editoriale pubblicato domenica 12 novembre su "Il Corriere della Sera", copra di elogi il programma Rutelli sulle liberalizzazioni, arrivando a definire la rifondazione comunista "una meta legittima, che può anche essere considerata nobile". Il mercato e la concorrenza non si addicono al settore elettrico: le liberalizzazioni non bastano, non servono, possono anzi esser controproducenti, come è accaduto in California nel 2000/2001. Ma come si fa a pensare che con il libero mercato e la concorrenza sia possibile ridurre le bollette elettriche, quando il costo di generazione dell’energia termoelettrica nel nostro Paese dipende per l’80 per cento da combustibili (idrocarburi) il cui prezzo soggetto a "cartello" e non a "mercato" non è contendibile? E quale affidabilità ci può essere quando gli operatori privati, non avendo certezza sul numero dei clienti a cui vendere l’energia, non sono propensi a fare investimenti? Non casualmente gli imprenditori privati ante Enel – ingenerosamente definiti 50 anni fa "baroni elettrici" – si erano ripartiti il territorio nazionale in zone di competenza, evitando accuratamente di farsi concorrenza tra di loro.

      Dopo la illusione della "nuova era" a bassi prezzi del petrolio di fine anni ’90 – eravamo allora reduci da un periodo eccezionale e fortunato durato oltre un anno (da gennaio ‘98 a marzo ’99) di petrolio a bassi prezzi e quella sull’ottimismo sulle risorse, è subentrata la terza illusione, con l’improbabile fiducia nei benefici conseguibili attraverso il completamento del processo di liberalizzazioni e privatizzazioni: idea già proposta nella precedente legislatura dal ministro dell’Industria Marzano, progetto ripreso poi dal suo successore, Bersani, con liberalizzazioni a 360 gradi, facendo infuriare tassisti, farmacisti, avvocati e commercianti, ed ora fatto proprio dal vicepremier, Rutelli. Ma cosa dice sull’energia il Manifesto Rutelli? Indipendenza delle reti, guerra alle posizioni dominanti, crescita dimensionale delle imprese, ma non una sola parola sulla diversificazione delle fonti. Quello che si dimentica è che negli ultimi anni c’è stato un drammatico cambiamento nel settore energetico mondiale: ci sono state per fino guerre (Cecenia e Iraq) per il controllo e/o il possesso delle fonti energetiche, il prezzo del barile di petrolio è schizzato da 10 ad oltre 70$ e quello del gas da 2 a 14$/Mbtu e noi, che siamo eccessivamente "idrocarburi dipendenti" nella generazione elettrica (80% contro una media Ue del 20%), ne subiamo le peggiori conseguenze con bollette elettriche doppie di quelle francesi, triple di quelle svedesi e del 60 per cento più elevate della media europea.

      Esistono settori nei quali l’incidenza del prezzo dell’energia elettrica sul prezzo del prodotto finito non è affatto trascurabile, dalla siderurgia al tessile, dalla ceramica al vetro e alla plastica l’incidenza del costo dell’elettricità sul prezzo del prodotto finito può andare dal 30 al 50%. In questa situazione le nostre imprese difficilmente possono competere. Ma non è finita: oggi si profila una nuova sbornia collettiva per il gas naturale e per i rigassificatori di Lng. Assistiamo, infatti, a un rinnovato, inspiegabile interesse per le nuove e più efficienti centrali a gas e ciclo combinato, una alternativa che poteva essere intelligente quando la proponevano Reviglio e Cagliari, Presidenti Eni negli anni ‘80 e ‘90, ma allora il prezzo del gas era di 150 lire/mc, oggi è sette volte tanto e sono previsti aumenti ulteriori! Il progetto, poi, di costruire rigassificatori di Lng, chi ne vuole tre, chi quattro, chi (Antonio Di Pietro) addirittura undici, non pare una proposta né conveniente, né ecologica, né intelligente. Anche questa è una emerita sciocchezza: sul trasporto

      del gas naturale liquefatto via mare si deve osservare che tale alternativa rispetto all’importazione via gasdotto é "inutile", "costosa" e "pericolosa". Inutile perché il fabbisogno italiano è sufficientemente coperto dalle importazioni via tubo da Russia, Olanda, Algeria e in futuro da Libia. (Semmai si dovrebbe ridurre l’impiego nella produzione di energia elettrica a favore del carbone). Costosa perché le attrezzature necessarie al trasporto del Lng (stazioni di liquefazione, navi frigorifere, porti attrezzati e rigassificatori), circa 6/7 miliardi di Euro, possono far aumentare il prezzo del gas al consumo del 40%.

      Sarebbe interessante sapere quanto costerà il rigassificatore in costruzione a Rovigo, peraltro messo sotto sequestro: una impresa faraonica in cemento armato delle dimensioni di un campo di calcio, affondata a meno 30 metri offshore. Pericolosa: il numero di morti per esplosioni di gas liquefatto é significativo della pericolosità di questi impianti. Il gas naturale liquido é un "gingillo" assai delicato da trattare. A una temperatura di meno 160 gradi °C ogni minimo errore comporta rischi altissimi considerata l’altissima infiammabilità e la facilità con la quale il gas esplode. Tra gli ultimi incidenti vanno ricordati quelli del 2004 a Skikda (Algeria) e in Belgio. Il primo ha causato 27 morti e 74 feriti, il secondo 15 morti e 200 feriti. Ricordo anche che nei più gravi incidenti convenzionali, avvenuti nel 1984 in Messico a Ixhuatepec (esplosione di serbatoi di gas liquido) morirono 550 persone, 7000 furono i feriti e 300.000 gli evacuati (135.000 evacuati a Chernobyl) e, nello stesso anno, a Bophal (esplosione in un impianto chimico) morirono 2500 persone. E’ poi, quanto meno opinabile che, una volta realizzati i rigassificatori, si trovi un fornitore/trasportatore pronto e disponibile ad inviarci il gas liquefatto, quasi tutti impegnati in contratti di lungo termine, così come sono vincolate a contratti 189 navi metaniere delle 191 esistenti.

      I rigassificatori potranno andar bene per quei Paesi che difficilmente possono rifornirsi tramite gasdotti (Usa, Giappone, Nigeria, Indonesia o Australia) perché separati da oceani rispetto al fornitore, ma non per l’Italia, sufficientemente rifornita dai gasdotti con Russia, Algeria e Olanda, e in futuro con Libia. Caso mai si dovrebbe ridurre l’impiego del gas nella generazione elettrica: la "riconversione" - termine caro all’On. De Mita - di 5 o 6 centrali termo-elettriche da gas a carbone consentirebbe di liberare agli usi civili e industriali non elettrici 8 miliardi di metri cubi di gas evitando qualsiasi rischio di crisi invernale. E’ opinione generalmente condivisa che il trasporto via mare sia competitivo con i gasdotti solo per distanze superiori ai 2500/3000 km. Ciononostante sono in molti ad essere innamorati dei rigassificatori. Pare che l’Italia si prepari a realizzare rigassificatori per 80 Mld di mc di gas, quasi la metà del mercato mondiale. Da Luca Cordero di Montezemolo, a Sergio Pininfarina, da Alessandro Ortis ad Antonio Catricalà, da Mario Monti ad Altero Matteoli, tutti si sono innamorati dei rigassificatori. Romano Prodi li giudica "una cosa seria". Il costo del trasporto via mare del Lng corrisponde a 6 mld di Euro per trasportare 8 mld di mc di gas all’anno, cifra superiore del 30/40% al prezzo del gas trasportato via tubo.

      Il poco brillante risultato sarebbe pertanto un aumento del prezzo del gas al consumo che non favorirebbe certo la concorrenza. Con la spesa per realizzare 4 linee complete di trasporto, inclusive di stazioni di liquefazione, navi frigorifere, porti attrezzato, rigassificatori e distribuzione, pari a 24 mld di Euro, si potrebbero realizzare 20 centrali nucleari da 1000 MWe! Concludiamo con una proposta: anziché continuare nell’opera vandalica dello "smantellamento accelerato" delle centrali nucleari dimesse di Caorso e Trino Vercellese, una operazione contraria alla normale prassi internazionale - generalmente si attendono 50 o più anni (per Calder Hall il Regno Unito ha deciso di farlo tra 100 anni), comportante maggiori dosi di radiazione al personale, inutilmente costosa, impossibile da eseguire in assenza della identificazione del sito nazionale in cui sistemare le scorie radioattive, ma soprattutto illegittima in assenza di preventiva autorizzazione formale. Il famigerato decreto Letta dell’8 maggio 2001 è infatti, stato emanato 18 mesi dopo l’inizio delle attività di smantellamento, limitate fortunatamente, alla sola parte convenzionale. Il ministro Bersani farebbe meglio ad occuparsi dello smantellamento accelerato delle centrali a gas e ciclo combinato, il cui costo di produzione dell’energia elettrica, causa l’intervenuto aumento del prezzo del gas (600% negli ultimi 5 anni), non è più competitivo, essendo da 3 a 4 volte maggiore di quello di carbone e nucleare.
       

  • Di Renzo Riva (---.---.---.190) 13 ottobre 2009 13:40

    Edizione 273 del 19-12-2006

    Politica energetica, la strategia che non c’è

    di

    Dopo 17 mesi di "esilio" al ministero dei Trasporti e della Navigazione, Pierluigi Bersani è ricomparso, sette anni dopo, come ministro allo Sviluppo, già Industria, nel secondo governo Prodi. Il suo ritorno al Dicastero non gli ha consentito di ottenere l’auspicata riduzione delle nostre bollette elettriche, le più alte in Europa. Al contrario, tra lo "smantellamento accelerato" delle centrali nucleari dismesse di Caorso e Trino Vercellese, liberalizzazioni a 360 gradi, peraltro con discutibile successo, l’entusiasmo per il tutto a gas e i rigassificatori, l’invio in Francia di 235 tonnellate di combustibile nucleare, non ha indovinato una sola iniziativa! Sette anni fa, il 14 dicembre 1999, allora ministro all’Industria nel primo Governo D’Alema, Pierluigi Bersani, in una conferenza stampa, annunciava alcune decisioni, gratuite e sorprendenti:

    - che l’Italia, dopo aver intrapreso negli anni passati un impegnativo programma nucleare, ha deciso di interromperlo e non più proseguirlo (decisione che non risulta affatto presa);

     che l’obiettivo da perseguire è quello della disattivazione accelerata di tutti gli impianti nucleari dismessi, saltando la messa in custodia protettiva passiva in base al principio etico di non trasferire sulle future generazioni gli effetti delle onerose scelte effettuate;

    - che per reperire i fondi necessari, indicati in 7000 miliardi in 20 anni, si attingerà a "due salvadanai", lo specifico fondo accantonato dall’Enel di 1300 miliardi e il sovrapprezzo, che secondo il ministro Bersani sarà nell’ordine di una lira per kWh (con il 5/6% dell’importo complessivo, le due centrali potrebbero essere riavviate). Affermazioni sorprendenti per gli oneri inutili e rilevanti che ne deriverebbero: ove l’importo di 7500 miliardi dovesse, come probabile, essere scaricato essenzialmente sulla utenza domestica (60 TWh/anno) esonerando i grandi consumatori e la fascia sociale, l’aumento della bolletta sarebbe più vicino a 10 lire che a una lira per kWh. E le nostre tariffe sono già doppie di quelle di altri Paesi europei. Una decisione, quella del ministro Bersani, contraria alla normale prassi internazionale - generalmente si attendono 50 o più anni, in contrasto con precedenti deliberazioni del Parlamento (moratoria di 5 anni) e del Governo (messa in custodia protettiva passiva), comportante maggiori dosi di radiazione al personale, inutilmente costosa (7500 miliardi delle vecchie lire secondo lo stesso ministro Bersani), impossibile da eseguire in assenza della identificazione del sito nazionale in cui sistemare le scorie radioattive, ma soprattutto illegittima in assenza di preventiva autorizzazione formale.

    Il famigerato decreto Letta dell’8 maggio 2001 è stato emanato, infatti, 18 mesi dopo l’inizio delle vandaliche attività di smantellamento, fortunatamente limitate alla sola parte convenzionale. La spesa per il riavvio può essere stimata in 200 milioni di Euro e l’energia elettrica prodotta, sufficiente ad alimentare la città di Milano e le industrie siderurgiche del Bresciano, verrebbe generata ad un costo di un centesimo di Euro per kWh, quando a noi costa 10 o 12 volte tanto produrla con gas od olio combustibile. Non è assolutamente vero, come erroneamente si dice, che il referendum del 1987 impedisce di tornare al nucleare nella generazione elettrica del nostro Paese, che si sono perse le competenze, che occorrerebbero 20 o più anni, che il nucleare è una tecnologia costosa e obsoleta o che non sia possibile riavviare dopo molti anni, le centrali nucleari dismesse, ma ancora agibili di Caorso e Trino Vercellese. E’ stato fatto anche in altri Paesi (es. Browns Ferry negli Usa, fermata dodici anni fa per un incendio e Medzamor, in Armenia, fermata dieci anni fa per un terremoto) di riavviare centrali nucleari dopo molti anni.

    A Caorso e Trino Vercellese non ci sono stati né incendi né terremoti, anzi, ai sensi della delibera CIPE del 26 luglio 1990, VII governo Andreotti, sono state tenute in "custodia protettiva

    passiva", cioè in buona manutenzione, per circa dieci anni. Ma chi avrebbe deciso l’uscita dell’Italia dal nucleare? E chi ha autorizzato l’inutile spesa? A conferma della situazione kafkiana in cui si assumono decisioni di spesa rilevanti, non autorizzate, inutili e tecnicamente errate, citiamo il fatto che per iniziativa di alcuni Senatori della Cdl (Baldini, Basini e altri) in data 5 gennaio 2000 veniva presentato al Parlamento un disegno di legge (n.3735) per "la messa in servizio delle centrali di Caorso e di Trino Vercellese" e che il successivo decreto interministeriale Industria/ Tesoro fa riferimento agli oneri per la disattivazione delle centrali nucleari senza peraltro indicarne tempi e modalità. Per una legge, dice la nostra Costituzione, occorre la copertura finanziaria. Qui non c’è la legge e neppure la copertura finanziaria, che dovrebbe essere assunta dagli utenti. E cosa ne pensano l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas e la Corte dei Conti? Che cosa ne pensano soprattutto i cittadini? Dopo la illusione della "nuova era" a bassi prezzi del petrolio di fine anni ’90 – eravamo allora reduci da un periodo eccezionale e fortunato durato oltre un anno (da gennaio ‘98 a marzo ’99) di petrolio a bassi prezzi e quella sull’ottimismo sulle risorse – "di gas ne abbiamo tanto che non si sa neppure dove metterlo" (Mincato), "il mondo continua a galleggiare nel petrolio" (Maugeri) – è subentrata la nuova illusione con l’improbabile fiducia nei benefici conseguibili attraverso il completamento del processo di liberalizzazioni e privatizzazioni.

    Quello che si dimentica è che negli ultimi anni c’è stato un drammatico cambiamento nel settore energetico mondiale: ci sono state guerre (Cecenia e Iraq) per il controllo e/o il possesso delle fonti energetiche, il prezzo del barile di petrolio è schizzato da 10 a 70$, quello del gas da 2 a 14 $/MBTU, e noi, che nella generazione elettrica siamo eccessivamente "idrocarburi dipendenti" (80% contro una media Ue del 20%), ne subiamo le peggiori conseguenze. Esistono, infatti, diversi settori industriali nei quali l’incidenza del prezzo dell’energia elettrica sul prodotto finito non è affatto trascurabile, dalla siderurgia al tessile, dalla ceramica al vetro, dalla carta alla plastica, l’incidenza del costo della elettricità sul prezzo del prodotto finito può andare dal 30 al 50%. In questa situazione le nostre imprese difficilmente possono competere. Dopo un esilio temporaneo al ministero dei Trasporti e Navigazione, nei governi D’Alema 2 e Amato 2 (dal 23.12.99 al 10.06.01), Bersani rientrato al ministero Industria, ora denominato dello Sviluppo Economico, 7 anni dopo con il governo Prodi 2, lancia un grande piano di liberalizzazioni a 360 gradi, facendo infuriare tassisti, farmacisti, avvocati, commercianti e baristi.

    Al Convegno dei giovani imprenditori di Confindustria, svoltosi a Santa Margherita Ligure il 10 giugno 2006, il ministro Bersani annuncia che "sarà presto definito un piano con gli strumenti di politica industriale". E poi, altro tema caro agli imprenditori, "ci sarà qualcosa anche sulle liberalizzazioni" promette il ministro. Entrando nel dettaglio gli obiettivi del "pacchetto energia", il ministro afferma che si vuole completare il processo di liberalizzazione del mercato, aumentare la concorrenza e, in prospettiva, ridurre i prezzi per famiglie e imprese; garantire maggiore sicurezza sul fronte dell’approvvigionamento; rilanciare il risparmio, l’efficienza e le fonti di energia rinnovabili. Ma come si fa a sostenere che le liberalizzazioni del settore energetico possano consentire la riduzione delle nostre bollette elettriche ? Dispiace che molti, da Prodi a Montezemolo, da Monti a Catricalà, da Ortis a Bersani, siano convinti che liberalizzando e privatizzando il settore energetico si potranno ridurre le bollette di elettricità e gas. Sorprende e meraviglia che anche il professor Mario Monti, già Commissario europeo per la concorrenza, nell’editoriale pubblicato domenica 12 novembre su "Il Corriere della Sera", copra di elogi il programma sulle liberalizzazioni, arrivando a definire la rifondazione comunista: "una meta legittima, che può anche essere considerata nobile".

    Ma quale mercato e quale concorrenza possono esservi quando, come nel nostro Paese, il costo di generazione dell’energia termoelettrica dipende per l’80 per cento dal costo di degli idrocarburi, il cui prezzo soggetto a "cartello" e non a "mercato" non è contendibile? E quale affidabilità ci può essere quando gli operatori privati, non avendo certezza sul numero dei clienti a cui vendere l’energia, non sono indotti a fare investimenti? Non é possibile! Il mercato e la concorrenza non si addicono al settore elettrico: le liberalizzazioni non bastano, non servono, possono anzi essere controproducenti, come è accaduto in California nel 2000/2001. Non a caso il ministro dell’Economia francese Laurent Fabius dice: "Molte privatizzazioni di aziende pubbliche e molte aperture del mercato in Europa, sono state fatte senza tenere in debito conto la clientela, tanto che sovente le tariffe e le bollette sono aumentate". E, come diceva Luigi Einaudi: "La gestione da parte dello Stato dei servizi pubblici assicura risultati che non si possono sempre concretare in moneta, ma sono vantaggi indiscutibili per la civiltà delle nazioni".

    (1 - continua)
     

    Paolo Fornaciari

  • Di Renzo Riva (---.---.---.190) 13 ottobre 2009 13:41

    Edizione 274 del 20-12-2006

    Politica energetica, la strategia che non c’è

    di

    Oggi si profila una nuova sbornia collettiva per il gas naturale e per i rigassificatori di Lng (gas naturale liquefatto): l’interesse per le nuove e più efficienti centrali a gas e ciclo combinato, una alternativa che poteva essere opportuna quando la proponevano Reviglio e Cagliari, presidenti Eni negli anni ’80 e ’90, ma allora il prezzo del gas era di 150 lire/mc, oggi è sette volte tanto, non pare economicamente vantaggiosa per il futuro. Assistiamo, infatti, ad un rinnovato, inspiegabile interesse per i rigassificatori: dopo lo "smantellamento accelerato" e l’entusiasmo per le liberalizzazioni, il ministro Bersani si allinea alle posizioni di Montezemolo e Scaroni in tema di rigassificatori, come soluzione magica per rompere il monopolio. Anche questa non pare una proposta né conveniente, né ecologica, né intelligente, anzi è una emerita sciocchezza. Sul trasporto del gas naturale liquefatto via mare, si deve osservare che tale alternativa rispetto all’importazione via gasdotto é "inutile", "costosa" e "pericolosa". Inutile perché il fabbisogno italiano è sufficientemente coperto dalle importazioni via tubo da Russia, Olanda, Algeria e in futuro da Libia(semmai si dovrebbe ridurre l’impiego nella produzione di energia elettrica a favore del carbone). Costosa perché le attrezzature necessarie al trasporto del Lng (stazioni di liquefazione, navi frigorifere, porti attrezzati e rigassificatori), circa 6/7 miliardi di Euro, possono far aumentare il prezzo del gas al consumo del 40%. Pericolosa: il numero di morti per esplosioni di gas liquefatto é significativo della pericolosità di questi impianti.

    Il gas naturale liquido é un "gingillo" assai delicato da trattare. A una temperatura di meno 160 gradi ogni minimo errore comporta rischi altissimi considerata l’altissima infiammabilità e la facilità con la quale il gas esplode. Tra gli ultimi incidenti vanno ricordati quelli del 2004 a Skikda (Algeria) e in Belgio. Il primo ha causato 27 morti e 74 feriti, il secondo 15 morti e 200 feriti. E’ poi, quanto meno opinabile che, una volta realizzati i rigassificatori, si trovi un Fornitore/Trasportatore pronto e disponibile ad inviarci il gas liquefatto, quasi tutti impegnati in contratti di lungo termine, così come sono vincolate a contratti 189 navi metaniere delle 191 esistenti. I rigassificatori potranno andar bene per quei Paesi che difficilmente possono rifornirsi tramite gasdotti (Usa, Giappone, Nigeria, Indonesia o Australia) perché separati da oceani rispetto al Fornitore, ma non per l’Italia, sufficientemente rifornita dai gasdotti con Russia, Algeria e Olanda, e in futuro con Libia. Caso mai si dovrebbe ridurre l’impiego del gas nella generazione elettrica: la "riconversione" – termine caro a De Mita – di 5 o 6 centrali termo-elettriche da gas a carbone consentirebbe di liberare agli usi civili e industriali non elettrici 8 miliardi di metri cubi di gas evitando qualsiasi rischio di crisi invernale.

    E’ opinione generalmente condivisa che il trasporto via mare sia competitivo con i gasdotti solo per distanze superiori ai 2500/3000 km. Ciononostante sono in molti ad essere innamorati dei rigassificatori. Chi ne vorrebbe tre, chi quattro o cinque, chi (Antonio Di Pietro) addirittura undici! Pare che l’Italia si prepari a realizzare rigassificatori per 80 Mld di mc di gas, quasi la metà del mercato mondiale. Da Luca Cordero di Montezemolo, a Sergio Pininfarina, da Alessandro Ortis ad Antonio Catricalà, da Mario Monti ad Altero Matteoli, tutti si sono innamorati dei rigassificatori. Romano Prodi li giudica "una cosa seria". Con la spesa per realizzare 4 linee complete di trasporto, inclusive di stazioni di liquefazione, navi frigorifere, porti attrezzato, rigassificatori e distribuzione, pari a 24 Mld di Euro, si potrebbero realizzare 20 centrali nucleari da 1000 MWe ! Scrive Sabina Moranti il 6 settembre su "Liberazione": "Caro ministro Bersani complimenti. Con consumata abilità è riuscito a trasformare i rigassificatori in una soluzione al problema dell’approvvigionamento del gas e qualsiasi critica in una rivendicazione di campanile. Davvero abile considerando che, nel mezzo, ci si è messo anche la multa dell’antitrust europea comminata all’Eni che lo scorso inverno, mentre fomentava l’allarme scarsità, stoccava il gas per venderselo altrove. Ma non è che i colleghi della stampa si siano fatti in quattro per diffondere la notizia. Così, oggi, non deve temere il ridicolo quando presenta gli impianti di rigassificazione come la soluzione per evitare che nel prossimo inverno si ripeta la crisi del gas (che non c’è stata) sorvolando sul fatto che occorrono una decina d’anni per costruire un singolo impianto e che le navi refrigeranti che servono a trasportare il gas liquido non sono nemmeno in cantiere".

    Leggo nell’articolo "Sull’energia promesse di disgelo" a firma Federico Rendina pubblicato su "Il Sole 24 Ore" di sabato 25 novembre 2006 che "proprio ieri è stato firmato l’accordo, già imbastito a gennaio, sul trattamento in Francia delle nostre scorie più pericolose che ci tiriamo dietro dalle vecchie centrali atomiche chiuse con il referendum del 1987". Avevo già scritto al riguardo (L’opinione delle Libertà del 22 settembre 2006). "E’ opinione generalmente condivisa che il riprocessamento costituisca una alternativa più costosa, di un fattore 4 o 5, rispetto al ’dry disposal’. L’Italia negli anni ‘80 e ‘90 aveva scelto il riprocessamento del combustibile di Latina e Garigliano a Sellafield (Uk) per poter inviare la quota di plutonio di propria competenza al reattore franco-italo-tedesco Superphoenix di Creys Malville". La decisione italiana poi non avrebbe avuto più alcun senso dopo la decisione del Primo ministro francese, Lionel Jospin, di chiudere il Superphoenix nel 1996 ed io, come responsabile della Attività Nucleare dell’Enel (ATN, oggi SOGIN) mi sono opposto con successo a ulteriori invii di combustibile in Gran Bretagna per il riprocessamento.

    Anche la Germania ha disdetto il contratto con Bnfl. Ci sono almeno tre buone ragioni per non inviare il combustibile irraggiato esistente a Caorso, in Francia: il costo, 5 volte maggiore rispetto al dry disposal; il volume delle scorie radioattive di ritorno sarebbe superiore al volume del combustibile inviato; in sostanza paghiamo per trasportare rifiuti, paghiamo per far aprire le barre e recuperare uranio e plutonio (facile e attraente obiettivo per gruppi di terroristi), e paghiamo anche perché qualcuno se li prenda, per poi rimpatriare nuovi rifiuti nucleari da smaltire da capo. In entrambi i casi, è una stupidaggine che costa centinaia di milioni di euro. Il Bersani, tristemente famoso per aver inventato lo "smantellamento accelerato" delle centrali nucleari dismesse di Caorso e Trino Vercellese, lungi da inviare il combustibile irraggiato in Francia, dovrebbe occuparsi dello "smantellamento accelerato" di tutte le centrali a gas e ciclo combinato in costruzione, autorizzate o previste, dato che l’aumentato prezzo del gas naturale (600% negli ultimi 5 anni) produce un costo del kWh per il solo combustibile, 4 o 5 volte maggiore di quello complessivo da fonte nucleare. Sarebbe, invece, opportuno che il ministro, se non se ne intende - cosa normale per un politico - si facesse dare consigli e suggerimenti da chi ne sa più di lui. Apprendiamo invece (v. Staffetta Quotidiana del 25 novembre 2006), che il ministro Bersani ha dato il "benservito" al prof. Sergio Garibba, direttore generale Energia del Ministero, il maggior esperto energetico di cui disponeva, sostituendolo con la sua vice, Sara Romano, responsabile dell’ufficio C1, coordinamento del settore elettrico della Direzione Generale Energia. Tra laureati in filosofia, ex leader sindacali o professori di letteratura italiana, c’è poco da sperare.


    (2 - fine)
    Paolo Fornaciari

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