• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca Locale > Lecce. Ricominciano gli sbarchi di clandestini dall’Albania

Lecce. Ricominciano gli sbarchi di clandestini dall’Albania

Ora le rotte dei negrieri del terzo millennio non attraversano più il Canale d’Otranto ma fanno rotta verso Sud e doppiano il Capo di Santa Maria di Leuca per approdare sulle coste dello Ionio.

Da tempo i Ministri degli Interni Giuliano Amato, quando al governo c’erano Romano Prodi e l’Unione, e Roberto Maroni, Lega Nord attualmente titolare in carica del Viminale, vanno dicendo a destra ed a manca che grazie all’accordo stipulato dall’Italia con l’Albania ed al costante pattugliamento delle nostre coste nel Canale d’Otranto, si è interrotto il traffico di clandestini nello stretto che separa Valona dalla Puglia.
 
Due sbarchi avvenuti a distanza di quindici giorni l’uno dall’altro nel mese di Novembre sulle coste ioniche della provincia di Lecce invece sembrano voler clamorosamente contraddire quanto affermato ripetutamente dai due politici italiani.
 
L’ultimo giorno del mese scorso, infatti, sulla spiaggia di Nardò, a Porto Selvaggio per la precisione, cinquanta disperati curdi ed oppositori tibetani, tra cui una donna incinta, sono stati sbarcati da un veloce motoscafo che è riuscito a sfuggire ad ogni manovra di intercettazione da parte della Marina militare italiana. I due scafisti, moderni negrieri che speculano sulle disgrazie altrui, si sono resi uccel di bosco riparando nella natia Albania.
 
Le nuove rotte, percorse l’altro giorno come già il 13 Novembre, data del precedente sbarco, abbandonano lo Stato d’oltre Adriatico da una delle tante calette site a sud di Valona per fare rotta verso Sud ed una volta doppiato il Capo di Leuca, cioè l’estremità del “ Tacco d’Italia” , risalgono la costa sino a gettare in mare a pochi metri dalla riva il loro carico di umanità dolente, costituito in gran parte da profughi curdi che fuggono dalle discriminazioni sofferte nelle loro terre occupate da Turchia, Iran od Iraq, giovanissime adolescenti romene, rapite in patria e schiavizzate da bande appartenenti alla mafia kossovaro- albanese che le porta in Italia con il chiaro intento di destinarle alla prostituzione od all’accattonaggio, e da ultimo da profughi tibetani che sfuggono alla repressione cinese.
 
Il lungo giro tra Basso Adriatico e Ionio, compiuto dai negrieri albanesi tutti affiliati alla mafia di Tirana, è giustificato dall’intento di sfuggire alle motovedette italiane che pattugliano il Canale d’Otranto. A proposito è interessante la testimonianza di una ragazza romena nata in un piccolo e povero paese della periferia di Costanza, il maggior porto della nazione danubiana sul Mar Nero.
 
Claudia, nome ovviamente di comodo, ha narrato ad un giornalista italiano di essere stata rapita in patria da alcuni criminali di bassa lega del suo paese che al confine tra Romania e Serbia l’hanno ceduta alla mafia serba che dopo averla traghettata, con la complicità della polizia di Belgrado, sulla sponda occidentale del Danubio l’ha sottoposta ad indicibili sevizie. Il tutto è accaduto nella città di Pozarec patria natale del dittatore Milosevic.
 
Qui i suoi nuovi padroni le hanno rivelato che all’occidente si sarebbe dovuta prostituire. Dopo averla resa loro succube i mafiosi serbi l’hanno venduta agli albanesi che l’hanno prima segregata nella città industriale di Elbasan e poi l’hanno traghettata in Italia. Purtroppo per loro Claudia si è liberata, ha denunciato il tutto alla Procura di Roma ed, una volta rimpatriata, alla polizia del proprio paese che ha arrestato i suoi sequestratori romeni, il primo elemento della catena di montaggio. Il padre non ha retto alla vergogna e si è suicidato. 
 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares