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Le dinamiche del corpo e la metamorfosi dello spazio. Il contributo di Traki Zannad Bouchrara

Esiste una relazione tra il proprio corpo, le dinamiche ad esso associate e lo spazio domestico ed urbano? In sostanza lo spazio nel quale viviamo fa riferimento e si costruisce sulla base di pratiche, convenzioni o regole sociali?
 
Interessanti in proposito sono gli studi compiuti in questi ultimi anni dalla sociologa tunisina, Traki Zannad Bouchrara. In essi vengono evidenziate ed argomentate, con le dovuta sensibilità, le relazioni tra le dinamiche corporee, la memoria collettiva e la costruzione degli spazi urbani.
 
Fenomeni che assumono particolare rilievo in considerazione che lo scenario dell’analisi di questa studiosa sono i luoghi nei quali, nel corso dei secoli, la cultura araba, ed in particolare il suo aspetto religioso, ha fortemente caratterizzato le vicende della costruzione delle città.
 
Prendiamo come punto di partenza le dinamiche del corpo. Queste interagiscono con lo spazio circostante, quando non lo costruiscono, e modellano la materia che lo riempie. Infatti, quando pensiamo di arredare un appartamento o una stanza cerchiamo d’immaginare, di solito, come ci muoveremo al loro interno, non solo, ma adattiamo questi spazi in base a più o meno precise regole personali e sociali.
 
La costruzione e ripartizione dello spazio dipenderà, così, dalle nostre esigenze personali e/o da quelle delle persone con le quali viviamo, dal fatto che siano adulti o bambini, ecc. Le forme a cui diamo vita sono in grado influenzare e propagarsi in altre forme, suggerendo e confrontandosi, nell’immaginario, con una forma ideale, la forma simbolica.
 
La vita delle forme non è affatto vuota. Essa appare l’immagine di un’altra immagine, lontana e desiderabile. Ecco ciò che le dà senso. Il contenuto delle forme diviene in questo modo contenuto formale in un rapporto di continua reciprocità tra corpo e spazio.
 
Qui veniamo al corpo. Un argomento per nulla neutro, tant’è che sovente nella cultura giudaico-cristiana appare come un tabù, in quanto fonte di peccato. Un corpo negato è anche quello di alcune versioni più integraliste di molte religioni, anche di quella musulmana. Molte pratiche religiose sono, poi, legate al corpo ed alle sue posture, all’accesso od all’esclusione dello stesso da alcuni spazi sacri.
 
Al di là dell’aspetto religioso, nel caso dell’area del Maghreb, la tradizione nomade dei gruppi di beduini arabi, e la conseguente mobilità dei corpi nello spazio geografico, ha finito per definire una sorta di architettura itinerante, nello specifico quello della tenda.
 
In proposito occorre notare che J. Duvignaud ha messo in relazione il nomadismo e la non città con la tradizione orale del racconto, cioè la parola errante, in una interessante concatenazione tra il percorso, lo spazio vago e la parola. Le suggestioni intorno al crearsi della città araba aumentano se si mette in risalto il fatto che “l’Islam è sostanzialmente un spazio e non un tempo; il tempo per l’Islam non è altro che deterioramento dello spazio”. “Non ci sarà epoca – ha predetto il Profeta – che non sia peggiore di quella precedente”.
 
La tradizione è invariabile, lo spazio assume in sé le caratteristiche della mutazione che in altre civiltà appartengono al tempo. Questo punto ci appare di fondamentale importanza, e qui inseriamo le nostre riflessioni, a latere di quelle della Zannad Bouchrara, nel considerare il rapporto spazio temporale di alcune culture.
 
Se dunque il tempo è immutabile, se si predilige l’immanenza, la cronologia, il passato ed il presente non possono che esprimersi attraverso il mutare delle forme. La memoria del passato, che in tutta la modernità si esprime attraverso la tradizione, la sua rielaborazione se non la sua invenzione ex novo, non può che dar luogo a metamorfosi spaziali.
 
La forma muta stante la fissità del tempo. La città sembrerebbe esprimere, non solo nella tradizione arabo-mussulmana, forme e riferimenti alla memoria. Ne sono una prova gli interventi, urbanistico architettonici, che vengono messi in atto nelle città occidentali, dove spesso le forme s’inseriscono come esemplari fratture di senso negli spazi quotidiani.
 
Cosa ben diversa sono gli spazi urbani, e non, nei quali si fa sentire il fenomeno migratorio. In questi ultimi gli immigrati tendono a riprodurre, nell’hic et nunc, gli spazi-senso che hanno impressi nella loro memoria. Ricordiamo in proposito che le moderne architetture verticali urbane hanno espresso un forte contrasto con la cultura contadina italiana. L’urbanizzazione di una gran parte del nostro Paese ha per decenni evidenziato, negli spazi e nei luoghi del vissuto, un conflitto nella gestione degli spazi domestici.
 
Essi hanno teso, e tendono per altri versi, alla riproduzione, in ambito urbano, degli spazi rurali d’origine. In fondo è ancora attuale l’utilizzo di spazi condominiali o comunali per la coltivazione di erbe aromatiche, ortaggi, o piccoli alberi da frutto. Ed, in carenza di ogni altra possibilità, il terrazzo (o le scale) diventano in ultima analisi la sede per piccole testimonianze di una memoria che ancora non si arrende alla diversità esteriore.
 
Per ritornare alle tesi della sociologa tunisina occorre notare che secondo quest’ultima “esiste un legame tra il pensiero islamico e l’architettura musulmana, un legame che la calligrafia araba stessa riproduce nel viluppo permanente della cura e della linea angolare, e di cui il corpo, a partire dal vissuto, potrebbe esserne il perno. I fenomeni di mutamento sociale e di resistenza culturale sono in primo luogo vissuti”.
 
Forme di resistenza culturale che vanno dal particolare uso dell’acqua negli spazi domestici al forte legame col suolo di molte pratiche quotidiane, come prendere il tè. Lo spazio urbano, poi, è per sua essenza bivalente ed ambiguo. Esso è luogo di perdizione, come Babilonia, ma anche di elezione, come Gerusalemme o La Mecca.
 
Il vissuto individuale e collettivo determina forme di resistenza e di adattamento con gli spazi urbani i quali esprimono attraverso la propria metamorfosi, ufficiale e programmata (spesso fallimentare) o ufficiosa e quotidiana, un confronto continuo tra il presente ed la memoria del vissuto individuale e collettivo anteriore.
 
Bibliografia minima:
 
Zannad Bouchrara, Traki, Les lieux du corps en Islam, Publisud, Paris, 1994
 
Zannad Bouchrara, Traki, La ville mémoire, contribution à une sociologie du vécu, Méridiens Klincksieck (Paris), 1994
 
Schuon Frithjof, Comprendre l’Islam, Editions du Seuil, Paris, 1976
 
Eliade Mircea, Il mito dell’eterno ritorno, Rusconi, Milano 1975

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