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La nuova grande potenza è l’India

Fin dall’esplosione della prima bomba atomica, le vicende che riguardano la proliferazione nucleare hanno sempre avuto una rilevanza diversa a seconda del momento storico e delle identità dei paesi impegnati nella ricerca della capacità bellica non convenzionale. La storia ci consegna l’esempio della corsa agli armamenti tra USA ed URSS, durante la quale furono compiuti nel silenzio centinaia di test atomici, mettendo a rischio l’integrità del pianeta, ma anche l’esempio delle corse al nucleare di altri paesi, per lo più svoltesi nel silenzio e nell’indifferenza dei media e delle diplomazie. Segreti e incontestati sono così arrivati alla meta i programmi atomici di paesi quali Francia, Gran Bretagna, Israele e Sudafrica (che vi rinunciò con la fine del regime segregazionista), così come ben poco rumore ha destato l’accesso alla bomba di Cina, India e Pakistan.

Per gli ultimi due paesi in realtà si è spesa qualche parola di più, forse necessariamente dato anche il livello altamente polemico e apertamente verbale del confronto tra i due arci-nemici, a lungo gli unici due paesi che potevano far temere l’esplosione di un conflitto atomico. Poco interesse per il programma della “bomba atomica islamica” pachistana (benvenuta ufficialmente anche da Bin Laden) e ancora meno interesse per il programma nucleare indiano, nonostante i due paesi abbiano compiuto il loro cammino al di fuori del Trattato di Non Proliferazione e nonostante il Pakistan si sia distinto come il principale attore della proliferazione nucleare condividendo investimenti e tecnologie con stati non propriamente democratici quali Arabia Saudita, Iran e Libia.

L’India non-allineata, a lunga ritenuta da Washington inaffidabile e troppo vicina a Mosca, ha goduto di ancora maggior riservatezza, riuscendo a costruire numerose centrali atomiche e a dotarsi di un arsenale nucleare senza che nessuno avesse da ridire. Allo stesso modo è passato sotto silenzio e senza particolari obiezioni e proteste (se non quelle pachistane) anche il recente varo del primo sommergibile nucleare a propulsione nucleare, varo che ha permesso l’ingresso dell’India nel novero ridottissimo dei paesi che possiedono questo genere di arma. L’entrata in scena del “Distruttore di nemici”, com’è stato battezzato il primo esemplare della nuova classe di sommergibili, non costituisce in effetti un’evoluzione in grado di alterare gli equilibri esistenti: non nei riguardi del Pakistan - verso il quale la superiorità strategica indiana è già soverchiante - e nemmeno nei confronti delle altre potenze nucleari; ma in prospettiva rappresenta un segnale che meriterebbe più attenzione. Come già per la missilistica indiana la costruzione del sommergibile si è avvalsa della collaborazione della Russia, collaborazione di antica data, ma implementata notevolmente dall’avvento di Putin al potere, senza che la circostanza abbia smosso una foglia a Washington.

L’indifferenza è più che giustificata dal nuovo atteggiamento americano nei confronti della potenza indiana. A lungo legato da accordi preferenziali al Pakistan, nel 2006 il governo Bush stupì gli osservatori siglando quello che venne definito “l’accordo di Babbo Natale” con l’India. Accordo in base al quale Washington ha assicurato alle multinazionali statunitensi l’accesso preferenziale al mercato indiano offrendo in cambio l’accesso incondizionato alle proprie tecnologie militari, anche alle più sensibili strategicamente, quali appunto quelle nucleari. Accordo che l’amministrazione repubblicana ha fatto di tutto perché venisse approvato prima dello spirare del mandato di Bush e che consente all’India di proiettarsi nel futuro come potenza militare seconda solo agli Stati Uniti, consentendo agli indiani di superare anche la Russia nel giro di un paio di decenni, qualora questa volontà politica si concretizzi e il governo indiano decida di affrontare le inevitabili spese che comporta.

La motivazione strategica statunitense è quella di permettere l’emersione di un contrappeso asiatico alla potenza cinese e di costituire insieme a Giappone e Corea del Sud (che potenzialmente sono in grado di entrare nel club in breve tempo, quando lo decidano) una cintura di contenimento in funzione anti-cinese. Nella realtà il disegno appare quantomeno dubbio e non solo per i rapporti relativamente buoni di questi paesi con la Cina, ma anche perché la Cina non sembra affatto interessata a distrarre i suoi investimenti in favore di una corsa gli armamenti che non sembra proprio essere nei piani dei dirigenti cinesi. L’india inoltre sembra offrire poco a Washington, a meno di accordi sottobanco relativi ad alleanze militari, che Delhi ha sempre rifiutato per mantenersi libera da vincoli.


Il pacco dono comprende infatti l’accesso a condizioni di tale favore al Trattato di Non Proliferazione da risultare una farsa, dato che l’India vi aderirebbe consentendo le ispezioni dell’Agenzia Atomica Internazionale solo agli impianti nucleari che vorrà e; come dimostra la collaborazione con la Russia che continua; non comporta alcuna esclusiva in grado di generare una dipendenza dalle forniture americane. L’India inoltre partecipa a pieno titolo la conferenza strategica asiatica della SCO insieme a Cina, Russia e altri paesi asiatici e non sembra minimamente intenzionata a prenderne le distanze.

Più solide sono invece le motivazioni economiche, perché oltre ai benefici per le grandi aziende americane c’è anche in arrivo una pioggia di denaro per la costruzione di quelle centrali nucleari che negli Stati Uniti non vuole più nessuno e per il complesso militar-industriale che nell’India ha trovato sicuramente un ottimo cliente. Ottimi motivi che giustificano la decisione dell’amministrazione Bush e anche la sostanziale indifferenza delle cancellerie occidentali nei confronti della corsa indiana agli armamenti nucleari e che illuminano ancora di più la sostanziale ipocrisia con la quale si suona la tromba dell’allarme per la possibilità che, ad esempio, l’Iran si doti dell’arma nucleare. Ipocrisia comunque già implicita nel sorvolare completamente la natura strettamente “difensiva” del possesso di un deterrente nucleare, che è definito deterrente proprio perché inutilizzabile in uno scenario nel quale sia assicurata la mutua distruzione (MAD) a chi avesse l’ardire di lanciare per primo un attacco nucleare.

Non per niente tutte le fatiche di chi rincorre il nucleare sono concentrate nel costruire la possibilità di una risposta nucleare ad un attacco (second strike) e nessun paese si è mai interessato semplicemente alla possibilità di colpire per primo il nemico. Una dottrina che ha funzionato durante il lungo confronto tra USA e URSS (che infatti si facevano al guerra a colpi di test), ma anche nel conflitto molto meno “freddo” tra la stessa India e il Pakistan. Le bombe nucleari servono a garantirsi dagli attacchi, convenzionali e non certo alla distruzione del nemico, che spesso è destinata a coinvolgere anche paesi vicini e che in ogni caso assicurerebbe anche l’annichilimento dell’attaccante. Una possibilità che nemmeno il capo di governo più folle penserebbe mai di percorrere e che, anche qualora se ne trovasse uno abbastanza squilibrato, sarebbe rifiutata dall’elite militare e civile di qualsiasi paese.

Sotto questo punto di vista la corsa indiana all’armamento nucleare non desta allarme (come non dovrebbe destarne quella iraniana), ma forse sarebbe il caso di riflettere sull’emergere dell’India come potenza a tutto tondo, capace non solo di costruire armi atomiche, ma anche di lanciarle con estrema precisione e a grande distanza e di schierare satelliti, aerei, missili e navigli di quantità e qualità seconde solo a quelle americane, forse anche più di quanto molti si stiano preoccupando per la crescita della stessa potenza cinese, destinata a rimanere a lungo a parecchie distanze dagli indiani in mancanza di clamorosi cambiamenti nella politica di Pechino.



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