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La ’ndrangheta (ottava parte): omicidio di Stato nei confronti di Ilaria Alpi

Era il 20 Marzo del 1994: Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin si trovavano a Mogadiscio quando, all’improvviso, sbucò un commando di persone che li trivellò di proiettili. Sangue, tanto sangue.
 
Ci sono anche immagini dei due corpi privi di vita accasciati dentro l’abitacolo del loro fuori strada. Furono girate da un giornalista dell’ABC, una trasmissione americana. Anche questo operatore morì in circostanze poco chiare, fu ucciso qualche mese più tardi a Kabul, in una stanza d’albergo. Ma morì in un incidente stradale anche un altro operatore svizzero che girò le immagini dei corpi di Ilaria e Miran.

Muoiono tutti.

Alcuni mesi prima fu ucciso, sempre in Somalia, anche un certo Vincenzo Li Causi. Era un maresciallo che apparteneva ai Servizi Segreti ed era il componente principale della struttura Gladio operante a Trapani, in Sicilia.
 
Il SISMI aveva inviato ripetutamente in Somalia Li Causi dal 1991, e il 12 novembre 1993 morì in un agguato dalla strana dinamica, compiuto da "banditi" somali. Proprio come accadrà qualche tempo dopo alla povera Ilaria. Come mai?

Stando ad alcune testimonianze raccolte dagli inquirenti italiani, Li Causi si sarebbe interessato all’operazione Urano (un grosso progetto di smaltimento di rifiuti tossico-nocivi e di scorie nucleari, in Somalia e in altri Paesi africani) e avrebbe manifestato una crescente inquietudine. Sappiamo che Ilaria Alpi stava conducendo un inchiesta proprio sullo smaltimento illegale dei rifiuti radioattivi che coinvolgeva il nostro Bel Paese, il nostro Stato.

Ilaria Alpi aveva come informatore proprio un maresciallo del SISMI operante in Somalia. E se fosse proprio quel Li Causi? Ebbene, secondo il maresciallo dei Carabinieri Francesco Aloi, che prestò servizio presso il comando della missione Ibis in Somalia, i due si conoscevano.


Muoiono tutti, e quando dico tutti mi riferisco perfino al grande Rostagno che si batteva con coraggio contro la mafia: secondo quanto dichiarato ai magistrati da Carla Rostagno, sorella di Mauro, il fratello avrebbe visto e filmato l’arrivo a Trapani, in un aeroporto abbandonato (già usato da un gruppo di Gladio), di velivoli militari italiani da trasporto che scaricavano aiuti umanitari per imbarcare armi e ripartire.

Rostagno morì prima di tutti: fu ucciso il 26 settembre 1988.

Ma tutto riconduce in Somalia, nel triste periodo in cui operavano i militari della Tuscania, reparto speciale che si vantava di operare violenze terrificanti nei confronti della popolazione somala. Due ufficiali di quel tempo hanno operato pure a Genova durante il G8, durante il quale morì Carlo Giuliani.

Parliamo di morte teste di capra, e sono tutti omicidi di Stato. E in mezzo a tutta questa porcheria non poteva mancare la più grande montagna di merda: la ’ndrangheta. Per farvi capire bene il ruolo che ha avuto in tutto ciò, come ha operato con lo Stato stesso che dovrebbe reprimerla, vi trascrivo alcuni passi del memoriale di un Boss pentito della ’ndrangheta:
"Il primo capo della ’ndrangheta a capire l’importanza del business dei rifiuti tossici e radioattivi è stato Giuseppe Nirta. Nel 1982 era il responsabile del territorio di San Luca e Mammasantissima, ossia il vertice supremo dell’organizzazione. Per questo aveva contatti a Roma con personaggi dei servizi segreti, della massoneria e della politica. Nirta era un lontano cugino di mia madre, e per questo avevo una corsia preferenziale con lui, il quale più volte mi assicurò che il business dei rifiuti pericolosi avrebbe portato tanti soldi nelle nostre casse".
"Nirta mi spiegò che gli era stato proposto dal ministro della Difesa Lelio Lagorio, col quale aveva rapporti tramite l’ex sottosegretario ai Trasporti Nello Vincelli e l’onorevole Vito Napoli, di stoccare bidoni di rifiuti tossici e occultarli in zone della Calabria da individuare".
"Musitano mi diede la disponibilità del genero, Giuseppe Arcadi, il quale mi aiutò a trovare i camion e gli autisti per il trasporto
dei rifiuti.Calcolammo che per 600 fusti ci sarebbero voluti circa 40 mezzi, i quali dovevano prelevare i bidoni dai capannoni a Rotondella, trasportarli nel porto di Livorno e caricarli su una nave che sarebbe partita per la Somalia. Sembrava tutto pronto".
"La famiglia di San Luca ricevette in cambio 250 milioni di lire, e non fu un episodio sporadico. Lo stesso Comerio mi raccontò che già negli anni Ottanta aveva avuto diversi contatti con la ’ndrangheta, e in particolare con Natale Iamonte, capo dell’omonima famiglia di Melito Porto Salvo, che lo aveva aiutato riguardo all’affondamento di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi in acque internazionali davanti alla costa ionica calabrese."
"So per certo che molti altri affondamenti avvennero in quel periodo, almeno una trentina, organizzati da altre famiglie, ma non me ne occupai in prima persona."
"In seguito sono stato arrestato, ma i rapporti tra servizi segreti e la mia famiglia della ’ndrangheta sono continuati, come d’altronde sono sempre stati costanti quelli con la politica. Cito per esempio l’incontro che ebbi nel dicembre 1992 al ristorante Villa Luppis a Pasiano di Pordenone con l’ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis, che come ho spiegato alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria già conoscevo bene."

In poche parole lo Stato pagava la ’ndrangheta per smaltire i rifiuti radioattivi, alcune navi le affondavano direttamente, altre le facevano arrivare in Somalia. Proprio lì dove Ilaria Alpi stava appurando tutto questo.

Dire omicidio di Stato, oppure omicidio mafioso è dire la stessa identica cosa. Non trovo altra conclusione.
 
Pubblicai questo articolo il 10 settembre scorso, due giorni dopo fu ritrovata una di quelle cosidette "navi dei veleni", riportando così l’attenzione sulla ’ndrangheta, Ilaria Alpi e tutte le morti "collaterali".

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