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La felicità? Ce la daranno i bloggers

No, non è una battuta questa. E’ invece il risultato di una ricerca contenuta nel saggio “Economia della Felicità” edito da Feltrinelli, scritto da Luca De Biase, giornalista, responsabile dell’inserto “Nova” del quotidiano Il Sole 24ore.
Ecco che cosa scrive in pratica De Biase: ci hanno detto che il lavoro è il sale della vita, che il successo personale sta nell’accumulo della ricchezza, che la felicità sta nel possedere tanto denaro da poter soddisfare ogni desiderio consumistico. Niente di più sbagliato. Infatti non siamo felici, stanno male anche coloro che apparentemente stanno bene, ci ammaliamo di depressione, costretti a tenere un ritmo che ripete ossessivamente: o ci stai ( a questo correre follemente non si sa dove) o esci dal giro e smetti di esistere.
 
E’ un’economia triste questa, ci dice De Biase ma…con il passare degli anni abbiamo creato gli anticorpi. Cioè i bloggers. Si tratta di quella folla che abita un mondo dove le relazioni umane, il principio della gratuità, del dono delle proprie emozioni ad altri che come noi cercano un contatto umano, si ritrovano intatte.
In questa intervista l’autore approfondisce il suo pensiero.
Il modello di sviluppo lavoro-denaro-consumo si rivela un fallimento e compromette l’idea di “felicità” così come è prevista nella Costituzione americana. Quali sono le debolezze di tale modello?
 
I padri fondatori della Repubblica americana che hanno scritto la dichiarazione di indipendenza ritenevano che un popolo deve organizzarsi in modo tale da garantire ai cittadini la ricerca della felicità. Ma certo non potevano obbligare le persone a darsi da fare sul serio in vista di tale obiettivo... E’ chiaro che nessuna costituzione può impedire ai cittadini di affidare le loro speranze a una spirale di dipendenze, chimiche o consumistiche. Ma è anche chiaro che una riforma della cultura economica è matura. E la stessa scienza economica si sta aprendo da tempo ai temi dello sviluppo non solo quantitativo ma anche qualitativo. Indagando con sempre maggiore intelligenza su ciò che ha grande valore e non ha prezzo, come le relazioni tra le persone, l’ambiente, la cultura.
 
Nel libro “Economia della Felicità” lei auspica un nuovo umanesimo, un senso da dare alle nostre vite che non sia soltanto quello dell’accumulo di ricchezze. Quale senso dunque? E come?
 
Il recupero del valore delle relazioni tra le persone, dell’equilibrio ambientale, del senso dei beni culturali è un compito avviato dalla nuova scienza economica e molto sentito dalle persone. Per il quale manca un progetto comune. Nell’epoca dello sviluppo industriale, il progetto comune era la crescita quantitativa della disponibilità di prodotti e la conquista del benessere materiale. Oggi, all’avvento dell’epoca della conoscenza, il progetto comune non è ancora abbastanza chiaro, anche se sappiamo che dovrebbe andare nella direzione del miglioramento qualitativo della vita, dell’ambiente, della cultura. 
 
Lei sostiene che da tempo si sarebbe dovuto intravedere nella rete dei bloggers il bisogno di cambiamento. Che cosa ha impedito di cogliere questo messaggio?
 
Per avere un racconto condiviso di un progetto che rigeneri il valore delle relazioni tra le persone, della cultura e dell’ambiente, occorre evidentemente anche una rigenerazione del sistema dei media. E i blog, i social network, le piattaforme di condivisione, adottate con entusiasmo da milioni di persone, possono aiutare il sistema dei media a rigenerarsi. In un primo tempo, i media tradizionali hanno reagito con un atteggiamento di rifiuto in chiave difensiva. Oggi forse sono più aperti. Anche perché sono costretti a innovare. E certamente sono in molti a comprendere che la definizione di un nuovo rapporto simbiotico con il pubblico attivo è una questione strategica.
 
Il World Economic Forum che si è“celebrato” in questi giorni a Davos ha cercato, per uscire dalla crisi, nuove strade che non siano quelle finora battute. E’ riuscito?
 
I dibattiti seri sono sempre importanti per la consapevolezza. E la consapevolezza è la premessa dell’azione ragionevole. Ma le condizioni che portano l’azione nella direzione giusta non si trovano certo soltanto nei dibattiti. E’ peraltro chiaro che si è aperta, a partire dagli Stati Uniti, la possibilità di una nuova stagione. 
 
Riuscirà la “blogosfera”, il popolo di internet, a dare un’impronta umanistica al sistema economico? Se si, in che modo?
 
Il popolo di internet non è altro che il popolo attivo. Al suo interno ci sono tutte le tendenze culturali. E non necessariamente solo quelle umanistiche. Ma la testimonianza di un grande insieme di persone che si esprimono e si connettono donando il proprio tempo e le proprie idee agli altri è destinata, secondo me, a lasciare un segno profondo nel modo in cui la società concepisce se stessa.
 
 
 
 

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