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L’imprenditoria oggi: il problema del passaggio generazionale

Alcuni anni fa, ad iniziativa del Gruppo Giovani Imprenditori della locale Confindustria, si è svolto a Lecce un interessante convegno dal titolo «Il passaggio generazionale – Nord/Sud, stesse difficoltà?», vivificato dalla partecipazione di autorevoli esperti, numerosi imprenditori ed esponenti del mondo politico e, soprattutto, dalla presenza di un cospicuo auditorio.

Avendo anch’io avuto l’opportunità di assistervi e trovandomi, purtroppo, a constatare che le realtà allora delineate sono a tutt’oggi sul tappeto e sostanzialmente irrisolte, desidererei, in questa sede, pormi sulla scia dello specifico tema e delle tesi e riflessioni ascoltate, cercando di addurre qualche contributo, tratto dal personale bagaglio di esperienze e dall’osservazione dei tempi e dei contesti in cui, nel concreto, ci si trova a vivere ed operare.

1) L’impresa (nel senso e nel suo valore più pieno) di per se stessa non si eredita: il viatico da una generazione all’altra, e poi ancora alle successive, può, semmai, risultare afferente alla proprietà, alle azioni, alle strutture.

2) Il concetto di imprenditore, inteso come figura unica che esercita una sorta di dominio sulla organizzazione aziendale, è errato: in realtà, egli detiene un ruolo diverso, ben più alto ma articolato.

3) L’autorevolezza, il prestigio e la leadership del capitano d’impresa scaturiscono sia dalla capacità di fare, di costruire, di produrre e di espandere, sia dalla capacità, quando è necessario, di attorniarsi di validi stretti collaboratori provenienti dall’esterno, manager a loro volta autorevoli che lo sappiano affiancare efficacemente, responsabilmente e illuminatamene.

4) L’imprenditore che tenda ad essere l’unico ad apparire, a «figurare», come si dice da queste parti, oggigiorno non trova più spazio: anzi, così facendo, egli pone un pesante limite a se stesso e, soprattutto, all’azienda. Dovrebbe avere costantemente presente l’esempio della famiglia di imprenditori italiani più conosciuta, non solo nel nostro paese, ma in tutto il mondo.

5) Al momento opportuno, dopo l’iter scolastico, universitario ed eventualmente specialistico, gli «adulti» dovrebbero darsi la ferrea regola di inviare in missione presso un’azienda terza, magari all’estero, coloro che prenderanno il loro posto, lasciarli a formarsi sul campo, a fare gavetta ed irrobustirsi fra estranei e poi, una volta completato il tirocinio, di immetterli nell’impresa di famiglia rigorosamente per gradi, a cominciare da incarichi modesti e sino a compiti di responsabilità e di guida dell’azienda.


6) In alternativa, i genitori, nella prospettiva del loro congedo dal lavoro attivo, dovrebbero sempre affiancare, ai figli, manager capaci assunti da fuori, i quali li formino e li forgino sino alla maturazione della capacità e della sicurezza di numero uno, così da renderli, in tal modo, addirittura più completi, preparati e idonei della generazione precedente.

7) Si nota che non pochi imprenditori, specie nel meridione, sono soliti accentrare al massimo le funzioni, senza rendersi conto che finiscono con l’avocare solo sulla carta e non nella realtà, essendo del resto e comprensibilmente privi della competenza effettiva per poter fare tutto; per di più, si circondano di figure appena normali, se non mediocri, le quali, al loro cospetto, si limitano ad assentire e basta.

8) Invece, il collaboratore capace e valido, la vera risorsa, dovrebbe possedere il prestigio e il coraggio, al caso, di alzare il dito e, pur con la dovuta forma, far notare all’imprenditore che, a suo avviso, si sta sbagliando e, quindi, è bene apportare dei ritocchi, se non cambiare del tutto, senza temere la reazione immediata, l’eventuale “cazziatone”: a freddo, l’imprenditore ci penserà su e, se riscontrerà giustezza nell’osservazione, non mancherà di tenerne conto.

9) L’attuazione del passaggio generazionale è più difficile al Sud e certamente meno al Nord, dove si vantano maggiori esperienze in merito. Però, il gap può essere fronteggiato e colmato grazie alla presenza, in mezzo a noi, di intelligenze giovanili più vive, più spiccate ed illuminate, come ripetutamente osservato - è accaduto anche pochi giorni fa - dai mass media: mi viene in mente, in particolare, un editoriale del «Corsera», in cui si leggeva addirittura che, nei confronti di siffatte individualità eccelse, le prestigiose università (del nord), dove questi giovani si recano a studiare, devono porsi prioritariamente l’obiettivo di «non guastare» tali straordinarie intelligenze.

Le istituzioni del nostro territorio, le quali, nel corso del richiamato convegno, si dichiararono disponibili a fare concretamente la loro parte al fine di affiancare il problema del ricambio generazionale oggetto della discussione, sarebbero sempre in tempo, a parere di chi scrive, a promuovere la creazione in Puglia, se non proprio nel Salento, ovviamente in aggiunta e ad integrazione dei validi poli già esistenti, di qualche scuola, universitaria e/o di specializzazione (in atto si citano solo Milano e Pisa) di particolare eccellenza, e ciò per coltivare, e poi lasciar mettere a frutto localmente, le intelligenze che, come anzi detto, ci vengono invidiate e che, al presente, finiscono in prevalenza con l’emigrare altrove.
Un’idea: a maggior garanzia di competenza e serietà, non sarebbe male pensare alla istituzione di un apposito «Albo degli imprenditori», in cui poter essere iscritti solo dopo severi percorsi e a seguito di opportuni esami e valutazioni. Esercitare il ruolo di imprenditore non è forse impegnativo e delicato almeno quanto esercitare determinate professioni?

Per concludere, restando sempre sul tema del Convegno in riferimento, ricordo che, agli inizi del 2004 o sul finire del 2003, un altro editoriale, stavolta del «Corriere del Mezzogiorno», titolava: «Speriamo che la Befana ci porti in dono dei manager», un auspicio tuttora pienamente di attualità e perciò da continuare a formulare e ad alimentare.
 

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