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Ipse Dixit: gli Inti Illimani, dal Pueblo Unido ad Agora Vox

Intervistando gli Inti Illimani è come se per un attimo fossimo entrati dentro la storia o, meglio, se la storia fosse entrata dentro la nostra testata. Quella in cui vi stiamo accompagnando (tenendovi per mano perché si rischia di perdersi) è una curiosa introspettiva di come è cambiato il mondo della musica, delle case discografiche, della globalizzazione, della politica e persino della rivoluzione, attraverso alcune semplici e schiette domande fatte al popolare gruppo cileno. L’intervista è stata realizzata grazie alla redazione di Repubblica Palermo che ci ha concesso di incontrarli nei loro uffici (dove c’è una piacevole aria condizionata e dove offrono anche il caffè) e di farci raccontare che...

 

La musica è uno degli elementi che unisce popoli e culture, affronta lunghe distanze e supera il tempo e lo spazio. Essendo una cosa che riesce a raccogliere tantissima gente sotto delle stesse parole o sotto un motivo orecchiabile è sempre in balia di grossi gruppi commerciali e mostruose case discografiche. Voi come la vedete?

Si. E’ vero... la musica coinvolge molta gente. Noi siamo un gruppo molto alternativo, ma lavoriamo anche con le grandi case discografiche. Abbiamo lavorato con etichette come la Warner Music, ci lavoriamo ma non ci facciamo assorbire, siamo noi a dettare le regole. Anche se purtroppo non possiamo fare più quello che facevamo quando eravamo giovani, ma la memoria aiuta a vivere, la nostalgia no. Prima suonavamo per le strade e dove ci permettevano, ci esibivamo in zone dove la situazione politica era molto effervescente. Ammiravamo cantanti con un impegno sociale forte e con una militanza attiva. Oggi però non si può più fare una canzone come "Venceremos"... sarebbe antistorico! Noi staremo comunque sempre e cocciutamente a sinistra, riflettendo gli umori della società e della nostra comunità.

Ma "Venceremos" è comunque una canzone che supera i tempi.

E’ vero. Ma erano altri tempi. Era una canzone di campagna politica, non d’ispirazione artistica, mentre il "Pueblo Unido" è una canzone fatta per essere tale.

Com’è il vostro rapporto con l’Italia?

Siamo molto legati a questo paese ma c’è da dire che per adesso è in atto una regressione. E’ un paese ancora molto libero, ma la voglia di regime si sente nell’aria. Che la cosa riesca o meno dipende soprattutto da voi giornalisti. L’unica sicurezza è che finché ci sarà un’Europa unita esisterà una bilancia che tempera la voglia di regime.

A Palermo avete ispirato un gruppo che si chiama Agricantus, che ha avuto un’evoluzione, lo sapevate?

Si certo, li seguiamo da sempre. Sono bravi.

Quindi voi Inti Illimani riuscite a mantenervi autonomi e tenere il controllo delle vostre attività, della produzione, dei tour... nonostante le case discografiche e i loro interessi?

Noi si, ma oggi l’affare della musica è, purtroppo, commerciale! Un gruppo o un cantante nasce velocemente: gli danno fama e pubblicità per vendere tanto e poi, irrimediabilmente, scompare altrettanto velocemente.

Che rapporto avete con la televisione?

Un rapporto davvero strano: è amore-odio, perché televisivamente facciamo paura. Per questo esistono periodi in cui ci invitano, tipo ai tempi di Fabio Fazio con Anima Mia e periodi di silenzio assoluto, come se non esistiamo. La tv italiana va dove va il vento della politica e si muove con essa.

Cosa ne pensate di chi critica i gruppi che parlano di politica come voi?

E’ inevitabile che si faccia e si parli di politica. Anche Julio Eglesias rappresenta qualcosa di politico. Sarebbe più onesto dirlo ufficialmente, no? Non parlarne sarebbe come dire ad un pittore di non disegnare qualcosa inserendoci i suoi valori ideologici. E’ come una castrazione. Pensiamo che la militanza attiva (che non diventi naturalmente strumento politico in mano al potente di turno) è una cosa saggia e intelligente.

Perchè alcune canzoni non le fate più nei vostri tour?

La musica é viva. Abbiamo fatto più di 300 canzoni e alcune a volte rimangono necessariamente in frigo.

Quali cantanti italiani ascoltate con più piacere?

Ci piacciono molto i cantanti "vecchio stampo", come Modugno, De Andrè, ma anche i più attuali, come i Ricchi e Poveri, De Gregori, Lucio Dalla e Gino Paoli.

Manu Chao dice che quando fa concerti in Italia la polizia controlla i camion, va dietro le quinte, perquisisce tutto e tutti… insomma, crea dello scompiglio che limita la buona riuscita delle sue performance. Secondo voi, c’è il rischio che la libertà di pensiero vada via via verso una limitazione, cioè la libertà di pensiero in Italia è minacciata?

Ripeto quanto detto prima. Grazie a Dio l’Italia gode ancora di una certa libertà… Solo che esiste anche una strana propensione e una volontà morbosa di tentare di reprimere questa libertà. Che ci si riesca o meno dipende sempre e comunque da coloro i quali vivono in questo paese!
 

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