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Incriminare i familiari di Paolo Borsellino per la sottrazione dell’Agenda Rossa

Già quando il 1 aprile 2008 il GUP Paolo Scotto di Luzio aveva prosciolto il colonnello dei carabinieri dei ROS Giovanni Arcangioli dall’accusa del furto dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino avevo manifestato il mio sconcerto per il fatto che il processo si fosse chiuso in fase di udienza preliminare impedendo cosi ad un procedimento di tale importanza di arrivare alla fase dibattimentale nel corso della quale, con una analisi approfondita delle prove (addirittura fotografiche) e delle testimonianze (incerte e contraddittorie) avrebbe potuto essere accertata l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato.

Avevo poi sperato, grazie al motivato e circostanziato ricorso presentato dalla Procura di Caltanissetta avverso a questa sentenza di assoluzione che la Corte di Cassazione annullasse questa abnorme sentenza di proscioglimento affermando che "il procedimento in oggetto è un classico caso in cui è necessario un vaglio dibattimentale" per "colmare i vuoti" e le contraddittorie testimonianze attraverso un "approfondimento dibattimentale".
 
Era poi arrivato il 17 febbraio 2009 il macigno della dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Corte di Cassazione, evento con il quale, come dichiarai all’epoca, era stato posta una pietra tombale sulla ricerca della verità in questa vicenda, la sparizione dell’Agenda Rossa del Giudice che è a mio avviso uno dei motivi fondamentali dell’assassino del Giudice e delle modalità con cui è stata effettuata la strage: uccidere Paolo senza fare sparire anche la sua Agenda non sarebbe servito a nulla perché in quell’agenda sono sicuramente contenute le prove di crimini e di complicità che possono inchiodare alle loro terribili responsabilità una intera classe politica.

Le motivazioni della sentenza emessa dalla tristemente nota sesta sezione penale della Corte di Cassazione
, riprese da APCOM, vanno addirittura al di là di questo già di per sé osceno quadro di evidenze negate, di verità nascoste e di crimini occultati. Si arriva addirittura a negare che la borsa del Giudice contenesse l’Agenda Rossa asserendo che "gli unici accertamenti compiuti in epoca prossima ai fatti portavano addirittura ad escludere che la borsa presa in consegna dal Capitano Giovanni Arcangioli contenesse un’agenda". Si prendono cioè per buone le dichiarazioni contraddittorie date in tempi diversi dall’imputato chiamando in causa testimoni che lo hanno smentito, come l’ex magistrato (al momento del fatto) Giuseppe Ayala o addirittura non presenti sul luogo della strage, come Vittorio Teresi, e non si da alcun valore alla testimonianza della moglie del Giudice, Agnese Borsellino, che vide Paolo riporre l’agenda nella borsa, dopo averla consultata nel pomeriggio di quel 19 luglio, prima di andare all’appuntamento con la sua morte annunciata.

A questo punto non resta che trarre le inevitabili conseguenze da questa sentenza della Corte di Cassazione, incriminare la moglie del Giudice per falsa testimonianza e processare tutti i familiari del Giudice, figli, moglie, fratelli e sorelle per la sottrazione e l’occultamento dell’Agenda. Dato che Paolo non se ne separava mai solo i suoi familiari possono averla sottratta e occultata. Contro la madre del Giudice non si potrà procedere per sopravvenuta morte dell’imputato.

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