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Il caporale Silvestri: il cantastorie-soldato

Nel 1947 lo scrittore Corrado Tumiati pubblicò, per i tipi dell’editore Sansoni, "Zaino di sanità". Una raccolta di racconti tratti della sua esperienza di ufficiale medico nel 142° reggimento fanteria della Brigata Catanzaro durante la Grande Guerra. Fra le memorie che ancora conservava in quegli anni vi erano i versi del muratore calabrese, caporale mitragliere da militare, Esco Silvestri. Di lui non sapeva più niente ma nel libro riprodusse brani delle "poesie" improvvisate dall’eclettico soldato. Un’operazione di attualizzazione dei ricordi che esprime il desiderio di conoscere la sorte della gente che assieme a Tumiati aveva vissuto quegli anni che, pur nella loro tragicità, avevano costruito rapporti umani indelebili.

Un italiano, nato in Calabria, alla Grande Guerra - Il caporale Esco Silvestri, muratore, cantastorie-soldato
di Mario Saccà
Il caporale Esco Silvestri, muratore in tempo di pace e mitragliere nella Grande Guerra, era dotato di “spirito poetico”.
Scriveva in una forma mista italo-calabrese e buona parte delle parole finivano in “e”, come annota lo scrittore Corrado Tumiati nel racconto “Il caporale poeta”.
“Biondo, silenzioso, con lo sguardo che pare tonto e assonnato, "marca visita" in linea e a riposo, per portarmi i suoi versi, e in compenso io debbo dargli l’olio di ricino per non farlo punire.”
Il suo estro era simile a quello dei cantastorie, inventore di parole bislacche e poco osservante delle regole della punteggiatura; scriveva dove e come poteva: sotto la tenda o in trincea per raccontare la guerra vissuta, fonte privilegiata dei suoi versi.
“Zaino di sanità” fu pubblicato nel 1947 dall’editore Sansoni ed inserito, in seconda edizione, nel libro dal titolo “I tetti rossi”: la prima, curata da Treves, era valsa a Tumiati il Premio Viareggio del 1931.
Tre dei racconti brevi che contiene riguardano eventi nei quali furono protagonisti soldati provenienti dalla Calabria.
Uno, “Errori”, raccontò, dopo 31 anni dal suo svolgimento, echi della rivolta della Brigata Catanzaro nella notte fra il 15 e il 16 Luglio 1917 avvenuta a Santa Maria La Longa. Fino ad oggi, assieme a quella di Gabriele D’Annunzio, è l’unica testimonianza sul dramma dei caduti e dei fucilati in quelle ore.
Il nostro caporale, inquadrato nel 142° RF, dedicò alcuni versi alla tragedia ripresi parzialmente dallo scrittore ferrarese nel racconto, che ricordò come “La Brigata Catanzaro fu certamente una delle più gloriose e delle più provate nella grande guerra. Il suo proverbiale eroismo la condannò a due anni ininterrotti di guerra carsica. Stremata, mutilata, consunta risorgeva dal sangue e dalla morte con energie nuove, sempre imbattibile”:
Sanguinis mortisque colores
Gestamus ubique victores”
era il motto che significava il colore rosso e nero delle sue mostrine.
Ma nel piccolo comune friulano le fatiche inumane, la stanchezza per le lunghe permanenze in trincea, il dolore per la morte che aveva colpito a centinaia i soldati anche nell’ultima battaglia isontina, la X, esplosero con forza disperata. Alle richieste dei combattenti si opposero la mitraglia, la fucilazione ed il ritorno sui luoghi del massacro per partecipare all’XI battaglia carsica dell’Isonzo, detta della Bainsizza.
Il caporale-muratore nella circostanza avrebbe scritto un poemetto dal titolo “Brigate Zingare”, per simboleggiare gli spostamenti continui della Catanzaro sui campi di battaglia:
Voi lo sapete amice care
Che i zingare fermo non possono stare
Solo tre giorni in un paese
E continuare di nuovo a marciare
Il prologo della rivolta di luglio fu la prima manifestazione di insofferenza del giugno 1916 quando alcuni soldati spararono dei colpi in aria gridando la loro stanchezza e la voglia di essere inviati in Trentino, zona più tranquilla delle massacranti colline del Carso.
Esco descrisse motivi e modi della protesta:
Tra i soldati tutti stanchi
S’incomincia un mormoria
E la sera della partenza
Ci fu una piccola fucileria
Adottò un modo brillante per sfuggire alla censura militare regalando i diari in rima al suo ufficiale.
Non accadde nulla di rilevante:
piccolo incidentine
Intanto arrivano l’ automobile
E c’ insaccano come sardine
La produzione poetica del caporale calabrese fu probabilmente custodita da Tumiati fino alla morte, avvenuta a Firenze nel 1967, allorché dispose che tutti i suoi appunti venissero bruciati: volontà forse seguita dai figli. Scrisse: “Pochi foglietti ingialliti sono la sola cosa che mi sia rimasta di lui, né so più dove egli sia, se ancora viva, se ancora sia poeta”. Anche essi finirono nel caminetto?
Malgrado i tre decenni dal novembre 1918 lo scrittore scelse di consegnare ai posteri la memoria del biondo muratore e della sue storie di trincea . Esco aveva fatto parte della sua vita di ufficiale, un uomo semplice ma capace di indurre al sorriso con l’ ironica interpretazione della brutalità della guerra. Per “poetare” non si estraniava dalla realtà ma ne leggeva il senso raccontando in versi ambienti, uomini, gioie e sofferenze dei soldati come un autentico cantastorie:
 O musa mia prestami attenzione
 rinfrescami un po’ la mia memoria
 seguime nel cammino in continuazione
  a ciò possa comporre questa storia
 Scrivere dobbiamo di quella missione
 che dell’ umanità è onore e gloria…
 E qui è bene chiarire un po’ le idee
 Parlo dei posti di medicazione in trincee.
Alcuni componimenti sono dedicati ai posti di medicazione in prima linea (Tumiati fu ufficiale medico con specializzazione in psichiatria ndr) senza trascurare alcun dettaglio, il “gentile aspette” del tenente che fuma nel ricovero la sua sigaretta, “l’aspette ardite” dei suoi portaferiti.
 
 
 Ma a un tratto scoppia una granate
  Tramuta la tragedia in poesia
-Pronte le barelle arrivano dei feriti
-Son grave son grave- si sente un mormorio
-Signor Tenente oh che strazio al cuore
 Aiutami lei io muoio di dolore
 
Il medico presta la sua opera e il nostro trovatore scrive:
 Gli fa somministrare un po’ di ristore
 E lo cura con affette amorevolmente
-Non è nulla sai un po’ di dolore
che la tua ferita è leggermente
Sei stato ferite sul campo dell’ onore
Gli dice con le labbra sorridente…
Animi gentile piene di nobiltà
Voi siete i pioniere dell’ umanità.
E termina così:
  Quanto più forte è il combattimente
 Tanto piu’ grande è il loro compite
 Sotto un fuoco infernale di bombardamente
  Ce sempre un grande accorrere di ferite 
 Lor compiono il loro dovere con ardimente
 Danno agli altri la vita con la propria vita.
“Non ho ritegno a chiamare ancora poeta il mio piccolo caporale, parla ancora da bravo ragazzo italiano. Incapace di enfasi patriottica come di ottuso pessimismo. Attento a ciò che vede, pronto a ridere, se c’è da ridere, anche fra le pene, a riscaldarsi di legittimo orgoglio di fronte a spettacoli di forza e di eroismo, a rattristarsi umanamente d’ogni dolore e d’ ogni ingiustizia” (C. Tumiati, Zaino di sanita’, ed Sansoni, FI, 1947).
Un giorno Esco fu catturato e poi liberato dal contrattacco italiano. L’unico suo rammarico fu di aver perso il binocolo ma “Adesso ne ho uno molto migliore”- disse- e mostrò un fiammante Zeiss, sottratto agli ungheresi.
Anche le gesta della sua Brigata Catanzaro (sembra che appartenesse al 142° fanteria) lo ispirano:
 Quanto più bella mi fioriva la vita
 mi ritrovai vestite da soldato…
Indi esalta i suoi comandanti:
  Gloria a te o condottier gagliardo
 Che il Carso per prima col nobile sangue redesti
 Oh Maggiore Fronticello nero era il tuo sguardo
  La morte ti sorrise e tu da eroe cadesti…
 
“Castelnuovo e Bosco Cappuccio videro le gesta e la morte del colonnello Cassola (Arturo Cassoli, primo comandante del 142° e medaglia d’ oro ndr) "gran conoscitore" al quale non poteva succedere che un eroe:
 Ratti si chiamava e popolare si rese
 Ed il papà lo chiamavano i prodi calabrese
"Natale in trincea" e "L’ammazza pidocchi": due “chanson de geste” nelle quali rinomina armi, oggetti e vita quotidiana dei soldati.
“Le bombe a mano sono frutta, le bombarde panettoni, i razzi fuochi d’artificio, l’acqua delle doline vino spumante” ( cfr Zaino di sanita’ note prec)
S’ incomincia l’estrazione
Alle undice e venticinque
E il primo premio estratto
Fu un proiettile da 305
Così è la lotteria in battaglia, come non sorridere? Immaginate un colto signore che rilegge le rime dopo tanto tempo: scommetterei che oltre ad una risata qualche lacrima ha percorso il suo viso.
Vi fu chi nella Sanità dell’esercito propose l’uso di certi scapolari in grado di uccidere i pidocchi che infestavano i soldati; Silvestri li derise così:
Al vedere quell’apparate voi ridete
Perché vi mette il cuore in allegria
Con quelle stole assomiglio a un prete
Scongiuratore della pidocchieria…
Se fosse stato istituito un premio letterario per i soldati il nostro avrebbe potuto sperare nella vittoria!
Ma i fogli con i suoi versi morirono, forse, con l’autore del libro.
“Legga questa, signor tenente - mi disse piano - se le piace. Non badi agli spropositi”.
Era il dialogo fra l’arma di Esco, la mitragliatrice, e una falce caduta in un campo e abbandonata: il poemetto più completo, ricordato da Tumiati a conclusione del racconto:
Muta e tranquilla o sono nel riposare
Svelte e terribile io sono nel lavorare
E se una buona mane maneggiar mi sa
Alla mia vista ognun tremerà
 
Delle battaglie la regina io sona
E della vittoria son sempre la corona
Dal mio posto viete il passo ai nemice
Alto là gli dico io sono la mitragliatrice-
 
Poco lontano una falce arrugginite
A tale parlare si scosse tutta attonite
E disse – Io sono stata sempre così buone
Fra noi due non ce paragone
 
Io sono adoperate per falciare il grano
E tu pel sterminio della vita umano
Io lavoro per far l’ uomo piu’ forte
Mentre col tuo tu gli dai la morte-
 
A tale parlare chiaro franco e modeste
A dare risposte la mitragliatrice s’apreste
E disse – Se io non fo opere buone
La colpa non è mia ma della mano dell’ uome.
Sradicato dal suo paese, dall’impastare sabbia e cemento, dal sovrapporre file di pietre o di mattoni per alzare case, precipitato nella guerra moderna e nelle sue tremende armi stragiste il soldatino calabrese ne imparò l’uso ma non ne nascose gli effetti letali che uccidevano senza senza discernimento l’umanità e l’identità delle vittime.
L’uomo, come sempre, è l’unico responsabile della guerra e dell’uso dei suoi mezzi.
“Esco Silvestri - conclude Tumiati nel 1947- dove sarai oggi? Piccolo muratore di Calabria avrai ripreso metro, cazzuola e piombino o sporcherai ancora carta con i tuoi versi? Io non so cosa avrà fatto di te la cosiddetta pace, ma so che la guerra non riuscì a sgannarti dai sogni e che più d’una volta le tue umili strofe seppero ricondurre sulle mie labbra un sorriso che credevo-per sempre-perduto”.
Anch’io finisco qui, con la speranza che qualcuno risponda all’appello dell’autore.

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