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Genchi: il nemico pubblico numero uno dell’Italia "de Noantri"

"Mi chiedo se sia ancora lecito obbedire in un Paese dove i primi a non rispettare le regole sono quelli che le scrivono, le applicano e quelli che dovrebbero giudicare". Edoardo Montolli

“Il caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato”, è un libro folgorante che probabilmente diventerà il più desiderato del 2010, poiché svela i principali retroscena occulti della Seconda Repubblica (www.alibertieditore.it, 2009).

Genchi (www.gioacchinogenchi.it) ha così iniziato la sua legittima difesa mediatica affermando che “Bisogna vivere come se si dovesse morire subito e bisogna pensare come se non si dovesse morire mai”. In effetti “Se un uomo non è disposto a rischiare per le proprie idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale niente lui” (Ezra Pound). Poi il grande esperto di criminalità organizzata prosegue: “L’errore, in tutti questi anni, è stato quello di mitizzare personaggi come Riina, Provenzano, prendendoli troppo sul serio. Facendo credere che la mafia fosse solo questa. Loro sono la parte armata. È chiaro? (p. 218). Però il fatto più grave di tutte le polemiche che riguardano l’archiviazione dei dati è che Genchi, “dal momento in cui diventa consulente in un processo, acquisisce lo status di testimone a vita. E, per legge, deve consultare i suoi dati durante un processo… Perché, se mancano, i processi saltano. E lui pure” (Montolli p. 500).

Non dev’essere stato facile per il giovane scrittore Edoardo Montolli, specializzato in gialli, riuscire a seguire il pensiero dell’instancabile consulente, per narrare con estrema fluidità il complesso intreccio di storie che hanno determinato l’avventurosa vita professionale di Gioacchino Genchi, a mio parere il consulente tecnico più intelligente e coraggioso d’Italia, che è stato infamato a reti unificate da molti giornalisti appartenenti alla casta più idiota, infame, sputtanata e dannosa che sia mai esistita sulla faccia dell’Italia. Almeno tra i politici a volte c’è chi crea posti di lavoro, ma tutti questi finti giornalisti producono solo danni alla cittadinanza e alle istituzioni (a breve, medio e lungo termine).

Per fortuna in questo libro corposo si può trovare molto materiale inedito sulle principali inchieste degli ultimi vent’anni: le stragi del 1992-93, le aste Umts, le scalate bancarie, il crac Ciro, la morte di Raul Gardini, lo spionaggio di Telecom e, soprattutto, Why Not e il conseguente organismo Copasir. Così si può appurare che oltre al malaffare dei politici, dei poliziotti, dei carabinieri e dei finanzieri, ci sono “magistrati in contatto con boss della ‘ndrangheta, procuratori che vanno a pranzo con i loro indagati, giudici che vanno a braccetto con avvocati poco prima di scarcerare i loro assistiti, fughe di notizie pilotate per depistare e bloccare indagini o addirittura per favorire la fuga di stragisti (Travaglio, p. 25).

Infatti l’indagine Why Not si è fermata “Facendo saltare nell’ordine il vescovo di Locri, monsignor Bregantini, il giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio (www.carlovulpio.it), il capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo. E Poi de Magistris (www.luigidemagistris.it), Genchi, il procuratore capo di Salerno Apicella e i magistrati Nuzzi e Verasani” e forse pure Mentana, per la puntata di Matrix in cui era ospite” (Montolli, p. 44). Genchi racconta così le ragioni del suo allontanamento: “Mi sono trovato a un certo punto, nell’inchiesta, e senza volerlo, le stesse persone su cui avevo indagato per la strage di via D’Amelio. Quando mi occupavo dei mandanti” (p. 44).

Però, se ogni anno Genchi veniva premiato per le sue “eccezionali doti morali”, stranamente dopo l’inchiesta Why Not la polizia lo ha sospeso a tempo indeterminato, nonostante senza una sentenza la cosa non sia prevista dalla legge, “perché ha risposto a un giornalista di Panorama, Gianluigi Nuzzi, che gli dava del bugiardo su Facebook. Ed è stato costretto a ridare tesserino e pistola per aver “leso il prestigio dell’istituzione” con un provvedimento privo della firma del ministro dell’Interno. Invece i poliziotti condannati per i sanguinosi pestaggi di Bolzaneto, il capo della polizia Antonio Manganelli li ha promossi (Montolli, p. 42 e p. 866).

E ora sono costretto ad aprire una piccola parentesi. Dov’erano i sindacati e le associazioni studentesche quando questi macellai da quattro soldi sono stati promossi? Non sarebbe stato il caso di fare uno sciopero generale? Dov’erano i veri giornalisti? In che razza di Paese di decerebrati viviamo per accettare tutto questo… Il paese degli italioti merita altri cent’anni di dannata mediocrità… Ti massacrano i figli e nessuno protesta. In Italia si protesta solo quando vanno a pescare nel nostro portafogli. Forse se iniziassimo a sognare davvero un’altra Italia, potremmo risvegliarsi in un’Italia finalmente migliore dove tutti i cittadini sono anche lo Stato.

Comunque questa pubblicazione di una casa editrice giovane fatta di giovani, si è pienamente meritata la dettagliata prefazione di Marco Travaglio, di cui riporto gli stralci più significativi:

Genchi è un poliziotto, un vicequestore… Lavorava già con Giovanni Falcone, di cui poi, dopo la strage di Capaci, riuscì ad estrarre, da un computer manipolato dalle solite manine premurose, i diari segreti… riuscì a ricostruire - tabulati alla mano – gli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino e i contatti fra alcuni suoi carnefici… Ha fatto catturare fior di latitanti, assassini, stragisti, tangentari, finanzieri sporchi e delinquenti di ogni tipo e livello… ha salvato innocenti… Nelle inchieste catanzaresi Why Not, Toghe lucane e Poseidone, aiuta de Magistris a ricostruire la cosiddetta Nuova P2, cioè il trasversalissimo cupolone politico-affaristico-massonico-giudiziario che tiene in scacco l’Italia. Una piovra che affratella esponenti del centro, della destra e della sinistra. Tentano di allontanarlo dalle indagini attraverso la classica promozione “civetta”.

Addirittura a settembre Mastella sperimenta per la prima volta la nuova facoltà di chiedere trasferimento d’urgenza di un magistrato, conferitagli dall’ordinamento giudiziario Castelli che il centrosinistra aveva promesso di cancellare e che invece, proprio in quella parte, ha lasciato entrare in vigore tale e quale nel luglio 2006. Le inchieste vengono tolte a de Magistris (p. 14 e 15). Si riesce a evitare l’indagine su Giancarlo Elia Valori. Ancora una volta l’Italia viene investita da una successione rapida di abusi di potere esasperanti e scandalosi. E i cittadini come al solito stanno a guardare. Siamo quindi tutti accusati di omissione di soccorso verso la patria, anche se qualcuno ha recuperato la sua dignità votando de Magistris alle elezioni europee (troppi “professionisti” italiani si sentivano le mani legate dal classico “Tengo Famiglia” o dalla fame di carriera).

Del resto, oltre alla sentenza favorevole del Tribunale del Riesame, la prova migliore dell’onestà di Gioacchino Genchi “è proprio il fatto che non ha mai guadagnato un euro in più di quello che gli derivava dal suo lavoro… Che non ha mai fatto uso delle informazioni, delle intercettazione e soprattutto dei tabulati telefonici acquisiti… Non ruba, non ricatta, sa che cosa sono le leggi e lo Stato e li serve fedelmente, e per giunta non è ricattabile. Riuscita a immaginare un nemico peggiore, per i poteri fuorilegge che si spartiscono l’Italia?” (Marco Travaglio).

In realtà “la vera contestazione a Genchi, mi pare sia essere solo quella che il perito è considerato eccessivamente bravo e i risultati delle sue perizie contrastano tante volte con tesi precostituite o correggono errori plateali delle indagini” (Enzo Fragalà, ex deputato di Alleanza Nazionale non più ricandidato, p. 210). A parlare sono capaci tutti, a scrivere riescono in molti, ma l’arte del fare è un dono che purtroppo spetta a poche persone. Dunque l’invidia è il virus più diffuso tra gli italiani e al parolaio magico che gestisce tutte le televisioni è sufficiente dire che “un signore ha messo sotto controllo trecentocinquantamila persone” per essere creduto. Dopotutto la seconda Repubblica è nata dalla menzogna del cambiamento riciclando i soliti democristiani e socialisti. Ed è stata “battezzata” dal sangue delle stragi degli eroi siciliani. Speriamo che per far nascere la terza Repubblica bastino i fiumi di lacrime versate dai sempre più martoriati cittadini italiani.

 

 Nota n. 1 – Dopo la strage di via D’Amelio dove morì Borsellino e la sua scorta, Genchi fu incaricato di trasferire in segreto i capimafia più pericolosi sull’isola di Pianosa. Alle cinque del mattino del 20 luglio 1992 i mafiosi stavano ancora festeggiando con caviale e champagne (p. 85). Chi di voi crede ancora di vivere in un paese civile? Abbiamo dei politici tutte chiacchiere e poltrona e giornalisti tutto inchiostro e tesserino.

 Nota n. 2 – Grazie a una legge ad hoc del Governo Berlusconi, a oggi il solo giudice Carnevale, nonostante abbiamo superato i già elevati limite dei settantacinque anni, potrebbe diventare nel 2010, a ottant’anni, il primo presidente della Cassazione (p. 165). Complimenti allo scarceratore impunito e ammazzasentenze e complimenti alla Repubblica "de Noantri" che come sistema di limitazione dei poteri prevede oramai solo la morte. Che peraltro è lo stesso sistema utilizzato dalla mafia… In Italia perdura una guerra civile occulta che andrebbe affrontata anche con metodi militari impiegano le nostre truppe speciali nel combattere i nostri fondamentalisti del crimine. Pure l’Europa dovrebbe iniziare a valutare una forza d’impiego rapido contro il crimine, prima che il cancro maligno che sta devastando l’Italia si diffonda sistematicamente nel sistema economico e finanziario europeo. Il cancro politico italiano è operabile solo dai chirurghi di fama europea…

 Nota n. 3 – L’allora premier Prodi che si prodigava in “sermoni sugli studi di settore e sull’emersione del nero”, si sentiva “con una serie di personaggi ignoti che filano tutti nel paradiso dell’Iva”, utilizzando telefonini fantasma “con sim anonime attivati presso la Tim di San Marino” (Montolli, p. 399). Nel 1990 “Berlusconi pagò i debiti della Compagnia delle Opere (emanazione di Comunione e Liberazione) in un incontro a Santa Maria dell’Anima con Formigoni e Buttiglione” (p. 416, Tratto da "L’unto del signore" di Ferruccio Pinotti e Udo Gumpel, 2009).

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