• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Disastro in Siberia, il Vajont russo mette a rischio l’Artico

Disastro in Siberia, il Vajont russo mette a rischio l’Artico

Catastrofi - Ormai si parla di almeno 70 morti e di una contaminazione ambientale che rischia di raggiungere il mare attraversando l’intero Paese. Il gigante idroelettrico al confine con la Mongolia mette in crisi la rete energetica di Mosca

di Pietro Orsatti su Terra

Sale il bilancio delle perdite umane in dopo il disastro di due giorni fa nella centrale idroelettrica di Sayano-Shushenskaya, in Khakassia, Repubblica autonoma russa nella asiatica. Secondo il ministro federale per la Protezione civile, Serghei Shoigu, il totale dei morti accertati cresce di ora in ora, mentre si hanno ben poche speranze di ritrovare in vita i 64 dispersi segnalati. «Sarà difficile trovare qualcuno vivo nella zona inondata, ma le ricerche continuano» ha dichiarato infatti Vasily Zubakin, presidente della compagnia idroelettrica statale RusHydro. Intanto desta preoccupazione anche l’impatto ambientale causato dallo sversamento, a valle dell’invaso, degli oli degli accumulatori della centrale che hanno contaminato circa 80 chilometri di fiume a valle. Anche le cause dell’incidente sono ancora poco chiare. Un video amatoriale è stato pubblicato sul sito web russo www.politonline.ru. Vi si vede un’esplosione vicino alla base della in un torrente d’acqua. Immediatamente dopo, una delle sale turbine è stata invasa dall’acqua. Il filmato ha fatto sorgere il sospetto di un attentato o di un sabotaggio, ma nessuna delle due ipotesi ha avuto alcuna conferma da parte delle autorità, che hanno immediatamente aperto un’inchiesta sul sinistro. Inoltre, non risultano danni strutturali alla , che ha tenuto perfettamente. Probabilmente la causa dell’incidente va ricercata nell’esplosione di una delle turbine messa a dura prova da un improvviso aumento della pressione dell’acqua.

L’acqua mista a gasolio a seguito dell’esplosione si sarebbe riversata a valle, attraverso le sale e le strutture di monitoraggio e gestione dell’impianto. Nonostante la mancanza di danni alla parte ingegneristica del colossale impianto incassato in una gola, alto 245 metri e con uno sviluppo di circa un chilometro (queste caratteristiche, l’altezza e la presenza di una gola, sono alcune delle più evidenti somiglianze con l’impianto del Vajont). L’incidente ha prodotto una marea nera che ha coperto per chilometri il corso del fiume Yenisei che scorre a nord attraverso la e si getta nel Mare .

L’impianto non è recentissimo. Inaugurato nel 1978, rappresenta circa un quarto delle entrate della RusHydro e produce destinata sia al territorio circostante che ad alcuni impianti a valle dell’invaso, fra cui due grandi fabbriche per la lavorazione dell’alluminio. La sorge nei pressi della frontiera mongola, in una zona montuosa a circa 4.300 chilometri da Mosca, e si tratta di uno degli impianti più potenti al mondo, con una capacità di 6,4 milioni di kilowatt all’ora. Il blocco della produzione ha quindi creato più di un problema alla rete russa-siberiana. Immediatamente dopo l’incidente è stato attuato dal ministero dell’ un piano di redistribuzione dell’ nella rete locale e sono stati deviati alcuni dei nodi di distribuzione per evitare la possibilità di blackout nelle aree urbane. Sull’argomento è intervenuto anche il presidente russo Medvedev che, dopo aver annunciato l’apertura di un’inchiesta sull’incidente, ha dichiarato di avere l’intenzione di monitorare la sicurezza degli impianti di produzione idroelettrica, un settore fortemente privatizzato e in mano a differenti gruppi imprenditoriali, e a rivedere i piani di sicurezza energetica in caso di altri sinistri del genere. «Mi auguro che tutti i gestori che si occupano di questo settore - ha aggiunto Medvedev - così come il governo, faranno il necessario sforzo prendendo tutte le decisioni necessarie per l’attuazione di piani di sicurezza idonei». L’impianto, visto il numero di danni anche se non alla struttura portante, rimarrà chiuso per almeno tre se non addirittura cinque anni. Questi i tempi previsti dalla RusHydro per rimettere in funzione le turbine. Non si tratta del primo caso di per produzione elettrica che causa una pur rimanendo, di fatto, illesa nella sua tenuta strutturale. Il primo in Francia a Malpasset. Il cedimento avvenne alle 21:13 del 2 dicembre 1959. Cinquanta milioni di metri cubi di acqua scesero a valle a una velocità di 70 km all’ora, con un’onda di piena alta 40 metri. L’onda distrusse l’abitato di Malpasset e, venti minuti dopo, raggiunse Frejus. All’origine del crollo della , finita di costruire dieci anni prima, furono delle violente piogge. Una situazione simile a quella verificatasi nelle settimane precedenti l’incidente di Sayano-Shushenskaya. Il più grave, solo alcuni anni dopo, in Italia, al Vajont nel 1963. Lo sbarramento era di 261 metri (la quinta più alta del mondo, la seconda ad arco) con un volume di 360mila metri cubi e con un bacino di 168,715 milioni di metri cubi. All’epoca della sua costruzione era la più alta al mondo. Anche in quel caso la rimase in piedi. Le sollecitazioni cui il manufatto fu sottoposto durante l’immane tragedia furono almeno sette volte superiori a quelle prevedibili durante il normale esercizio, ma la struttura rimase intatta. La tragedia fu causata dall’onda provocata dalla frana che, sfiorato il coronamento della , lo superò abbattendosi nella Valle del Piave e dall’onda di riflusso che risalì la valle verso il lago.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares