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Col vento in poppa

Due notizie - l’ennesima strage in miniera e le dichiarazioni ufficiali secondo cui la Cina avrebbe già investito 146 miliardi di dollari nell’ambiente - riportano in primo piano il tema delle fonti energetiche alternative, della fuoriuscita dall’economia “fossile”.

Parliamo di eolico.
Nel tragitto tra Urumqi e Turpan ho visto sfilare per chilometri e chilometri, sia a destra sia a sinistra, enormi pale. Sono i monumenti al processo di riconversione cinese.

E secondo uno studio Roland Berger, per l’eolico il bello deve ancora venire.

La crisi globale sarà solo una pausa - così recita la ricerca - perché il trend sul lungo periodo rimane lo stesso e si prevede una crescita del 17% annuo da qui al 2012.

Il fatto è che nei mercati chiave (Stati Uniti, Europa, Cina e India) tutti i governi hanno dato indicazioni univoche per l’incremento della percentuale di energia pulita.

L’Europa, in particolare, si ripromette di generare il 20% della propria energia da fonti rinnovabili entro il 2020. I suoi governi progettano un investimento complessivo di 120 miliardi di euro tra il 2011 e il 2020, che va di pari passo con politiche atte a scoraggiare l’utilizzo di energia fossile.

Gli Usa puntano a una quota del 20% per l’energia eolica entro il 2030, l’India, si propone un target di 40 Gigawatt .

Quanto alla Cina, l’obiettivo è il 3% di energia rinnovabile non idroelettrica per il 2020, con 100 Gw di energia del vento.

Il Dragone è identificato dallo studio come uno dei mercati con maggiori potenzialità, per due motivi:

- la sua economia è meno condizionata dal mercato finanziario in crisi, dispone quindi di una grande liquidità necessaria agli investimenti in tecnologie verdi;

- c’è un forte impegno del governo in questa direzione, attraverso il Wind Base Program.

A oggi, i costi dell’eolico restano ancora non competitivi rispetto alle fonti tradizionali.

Il maggior esborso riguarda le turbine, che divorano ancora più del 50% degli investimenti per un impianto.

Ovviamente, è anche un business appetibile in prospettiva, soprattutto dove ci sono sovvenzioni statali.

Per i produttori si tratta quindi di produrre innovazione che consenta di contenere i costi e di fare accordi strategici, cercando di accaparrarsi un vantaggio nei principali mercati - Cina, Europa, Usa - e adottando strategie specifiche luogo per luogo.

E i vari Paesi, Cina compresa, strizzano l’occhio alle imprese di casa propria.

Vestas, GE, Gamesa, Enercon, Suzlon e Siemens producono oggi, in giro per il mondo, ben il 69% dell’energia eolica erogata.

Per i prossimi due anni, lo studio prevede una concorrenza serrata con nuovi, aggressivi, protagonisti.

In Cina i nomi da seguire sono Dongfang, Windey, Sinovel e Goldwind.

Nel Wind Base Program cinese, emerge chiaramente la spinta a “nazionalizzare” l’eolico.

Schematicamente, ecco cosa prevede.

  • Produzione di energia: tariffe prefissate che si basano sulle risorse eoliche disponibili e sui costi di trasmissione e di produzione; in più, una tariffa premium per ogni Megawatt prodotto.
  • Progettazione: Incentivazione di progetti nazionali anche attraverso prestiti facilitati.
  • Impianti:
    Tasse elevate per l’importazione di turbine eoliche e altri componenti.
    Incentivi specifici (sussidi per Mw) per i produttori cinesi di turbine (per le aziende al 51%
    cinesi).
    Sussidi specifici nazionali e regionali, incentivi fiscali e prestiti facilitati alle aziende di nuova costituzione.

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