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Bananarama

 
Che questa sopra sia nel suo essere kitch bellissima o meno, che stiate continuando a cantare o meno, che il vicino di casa abbia chiamato la neuro quando sulla frase "ci vuole tutto per fare un fiore" vi siete lanciati con un acuto da Freddy Mercury, possiamo cominciare con l’analisi. La mia, non la vostra.
 
Si dice che per fare l’albero ci vuole un seme. Ed è vero. Lo sanno bene i miei piccolissimi ciliegi di qualche centimetro, il limone di poco più alto e l’avocado che al confronto giganteggia. Solo che a forza di provare a fare alberi da qualsiasi cosa si veda in giro, vengono anche le domande.
 
Pausa di riflessione per far aumentare la suspence.
 
Dov’è il seme della banana?
 
Voglio dire, non è che puoi prendere una banana e metterla in un vaso aspettando che cresca. L’unica cosa che si otterrebbe a quel modo è un vaso dal contenuto di colore incerto e dall’odore incontestabilmente agli antipodi rispetto all’arbre magic. O forse identico e allo stesso modo ributtante.
 
La banana, il frutto più erotico del mondo, un simbolo fallico per definizione, è in realtà un mutante privo di semi, sterile. Un po’ come parte degli uomini oggi giorno.
 
"Il banano selvatico è una pianta erbacea gigante che cresce nella giungla, con un frutto che normalmente contiene una massa di semi duri che lo rendono immangiabile. Tuttavia i cacciatori-raccoglitori scoprirono alcune piante (si parla di circa 10.000 anni fa) che producevano un frutto, molto gustoso, morbido e senza semi.
 
Ora gli scienziati sanno che queste mutazioni derivarono da una variazione genetica casuale, che impedì che nel frutto si sviluppassero normalmente semi e polline. Le linee scure nella polpa della banana costituiscono ciò che rimane degli antichi semi. I primi contadini coltivarono le varianti sterili ripiantando le talee, e così ebbe inizio la storia d’amore tra il genere umano e la banana.
 
Durante questo lungo viaggio, lo sterile banano, costantemente clonato, ha subito ben poche modifiche. Ancora oggi mangiamo i discendenti della talea originaria. Solitamente le piante coltivate sviluppano una varietà genetica tramite mutazioni casuali che avvengono nel corso della riproduzione sessuale, esattamente come negli esseri umani. Questo processo fa sì che le differenti varietà sviluppino una resistenza a vari insetti e malattie e un’adattabilità a diverse sollecitazioni, come la siccità."
 
E visto che ogni pianta di banana proviene da una talea, da un clone di un precedente, escludendo quindi qualsiasi riproduzione sessuale, ed ogni qualsivoglia diversità genetica, si ottiene una uniformità che "rende la banana perfetta per le malattie, più di ogni altra coltivazione al mondo".

"Fino agli anni cinquanta, una varietà, la Gros Michel, dominò il commercio mondiale. Scoperta da botanici francesi in Asia negli anni intorno al 1820, era, a detta di tutti, una banana ottima, più ricca e più dolce dell’odierna Cavendish e priva del retrogusto amaro che caratterizza la seconda quando è acerba. Tuttavia la Gros Michel risultò vulnerabile a un fungo del terreno che dà luogo ad un avvizzimento improvviso noto come "malattia di Panama". La sua erede, l’attuale regina commerciale, è la Cavendish". Proveniente dalla Cina meridionale, si dimostrò resistente al fungo e "sostituì la Gros Michel nelle piantagioni e sugli scaffali dei supermercati. Oggi quando si acquista una banana si tratta quasi sicuramente di una Cavendish".
 
"Tuttavia, tra meno di cinquanta anni, anche per questa varietà potrebbe arrivare il giorno del giudizio. La banana oggi in commercio sta già subendo gli attacchi di un altro fungo, il Black Sigatoka, che è già diventato un’epidemia mondiale, che i coltivatori bloccano con costanti e massicce irrorazioni di sostanze chimiche.
 
La storia della banane si ripete per altri frutti e noci. I coltivatori si sono concentrati solo su una manciata di varietà, tralasciando le altre. Hanno coltivato quelle scelte per massimizzare i raccolti o per alcuni tratti specifici che, ai loro occhi, possedevano un valore maggiore. In questo processo, l’abilità naturale della pianta di fare fronte a parassiti e malattie è stata intaccata. Contemporaneamente i patrimoni genetici delle vecchie varietà e dei parenti selvatici spesso sono andati persi". (Fred Pearce, "Confessioni di un Eco-peccatore", Edizioni Ambiente)
 
In pratica: meno le specie si mescolano tra loro originando nuove varianti genetiche, e maggiore è il rischio di malattie, di epidemie. Pensateci su.
 
E poi chiedetevi se sia davvero il caso di votare Bossi e respingere tutte le navi.
 

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