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 Home page > Attualità > Cronaca > Balotelli, Rosarno e la democrazia razziale italiana

Balotelli, Rosarno e la democrazia razziale italiana

"Balotelli negro di merda (...) non esistono negri italiani". Allo stadio di Verona sono state queste le parole indirizzate dagli italiani bianchi al loro concittadino "negro", campione di calcio reo di appartenere a una razza evidentemente inferiore ed "altra" rispetto alla pura razza italiana (o veronese o padana...).
 
E se il "negro di merda" prova a reagire rispondendo ai cori razzisti viene punito dal carrozzone sportivo-mediatico con 7000 euro di multa: da quando uno sporco negro può alzare la testa al cospetto della "razza dei signori" bianchi? Che si ricordi chi comanda.
 
Se ti chiami Mario Balotelli e sei ricco e famoso, epperò sei NEGRO ("di merda", evidentemente) in Italia ti insultano. Se invece non sei ricco e famoso, ma sei solo nero anzi "negro", "negro di merda" e non fai il calciatore ma raccogli frutta nel sud Italia, magari in Calabria, allora ti sparano anche.
 
A Rosarno, in questo inizio d’anno, alcuni dei migranti, che in condizioni di schiavitù lavorano come raccoglitori per i latifondisti locali, sono stati presi a fucilate da ignoti poi fuggiti. Tale aggressione ha poi originato una sommossa. La rabbia della comunità dei migranti, che si ammazzano di lavoro 12 ore al giorno per 25 euro (se glieli dà il caporale) e che vivono ammassati come bestie in ex aree industriali abbandonate, privi di tutto meno che del loro disperato bisogno di lavorare, è scoppiata improvvisa.
 
Rivolta!
 
Centinaia di neri scesi per le strade, sfasciando ogni cosa. Blocchi stradali, cassonetti bruciati, auto ribaltate, vetrine sfondate, migranti deliberatamente investiti da auto di italiani, altri italiani hanno sparato dai balconi. Centinaia di agenti inviati per scongiurare i possibili pogrom. Una quarantina di feriti.
 
"Troppa tolleranza verso i clandestini" ha dichiarato il ministro La Russa, all’indomani della sommossa nera di Rosarno, a cui hanno fatto seguito le parole del commissario prefettizio di Rosarno Domenico Bagnato: "Il ferimento accaduto ieri di due immigrati non è razzismo".
 
"Gli immigrati devono andarsene" grida col megafono Marcello Marzialetti, giornalista locale, mentre organizza di fronte al municipio una "contromanifestazione" dei cittadini rosarnesi, i bianchi, che dicono di sentirsi "minacciati" dalla presenza della manodopera schiava che, tra l’altro (a loro dire) gli "ruba il lavoro". Il governatore della Calabria, Agazio Loiero, ha detto che "la provocazione c’è stata ma la risposta degli immigrati è inaccettabile", intendendo evidentemente che in Calabria i neri non devono reagire alle aggressioni ma subire in silenzio, senza turbare l’ordine sociale.
 
Il modello che si cerca di imporre al "negro di merda" Balotelli (reagisci? sei punito) deve valere su tutto il suolo italico, specie per la massa schiava, che deve obbedire alle leggi della razza padrona.
 
Il ministro leghista Maroni ha commentato col suo consueto "acume" e sprezzo del ridicolo la rivolta dei disperati di Rosarno: "troppa tolleranza (...), in tutti questi anni è’ stata tollerata, senza far nulla di efficace, un’immigrazione clandestina (...), stiamo intervenendo (...)e a poco a poco porteremo la situazione alla normalità".
 
Che coerenza. Proprio la sua parte politica estremista e razzista è stata la principale artefice di alcune tra le più infami leggi che "regolano" l’immigrazione in Italia, come la legge "Bossi-Fini" o il "Pacchetto sicurezza" con cui è stato introdotto nella Penisola il reato di "immigrazione clandestina" che, tra l’altro, vieta alle madri senza permesso di soggiorno di riconoscere i propri figli. Nemmeno il fascismo arrivò a tanto.
 
Ma Maroni definisce le nuove leggi razziali emanate nel 2009 come "tolleranza", anzi "troppa tolleranza". Evidentemente la "normalità " auspicata dal ministro leghista è quella in cui i "negri" crepano in silenzio e non disturbano l’agiografica autorappresentazione del Paese che Maroni, il regime di cui fa parte e i media loro asserviti pretenderebbero.
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Maroni non lo dice, oppure, il che è più probabile, non lo sa, ma la sua "normalità" è quella imposta da più di due secoli di "liberalismo" e di "democrazia" occidentali, liberalismo e democrazia che si sono sempre basati sulla schiavitù oltre che sulla guerra e che hanno sempre comportato un godimento dei diritti sostanzialmente disuguale, censitario, razziale.
 
Il ministro degli interni riporterà la "normalita’ ".
 
Vediamo sommariamente cosa ha sempre storicamente inteso la tradizione liberale con tale termine.
 
Per Tocqueville "il lavoro si confonde con l’idea di schiavitù".
Per Sieyes i lavoratori manuali sono "macchine da lavoro" ("machines de travail") ed egli nega che "si possano trovare degli uomini tra la folla immensa di strumenti bipedi".
Mandeville definisce la parte più povera della nazione "the working slaving people".
Burke definisce il bracciante salariato come "instrumentum vocale" e gli operai "moltitudine suina".
Locke, a tutt’oggi il più celebrato padre nobile del liberalismo, afferma che "un manovale (...)non è in grado di ragionare meglio di un indigeno: l’uno e l’altro non hanno raggiunto il livello di creature ragionevoli e di cristiani". Inoltre "i prigionieri di una legittima guerra (...)sono schiavi per legge di natura".
 
Del resto già Aristotele affermava che "ci sono degli uomini naturalmente schiavi", alludendo ai "barbari", coloro che stanno fuori, che non appartengono pienamente alla comunità umana. Il peccato originale del liberalismo è qui, nel postulare diritti e democrazia, ma solo per il popolo dei signori.
 
Ieri gli antichi greci, poi l’Occidente,il colonialismo, l’imperialismo, il neoliberismo, la globalizzazione, fino ad arrivare a Rosarno e Verona, ma il filo rosso della tradizione è sempre quello. Quello del doppio standard: uno per la "razza dei signori" e l’altro per i "barbari", i "miscredenti", gli "incivili", i "comunisti", i "terroristi". I "negri di merda".
 
Quel che colpisce oggi e il ricrearsi in Italia dello storico intreccio tra schiavitù, discriminazione razziale, discriminazione economico-sociale.
 
Il migrante è una minaccia e non può avere i "nostri" diritti, perché, come da tradizione, egli non appartiene alla comunità dei "liberi". Chi vive del suo lavoro ed è di razza diversa non può appartenervi per definizione. Questo dicono i classici del liberalismo occidentale. Punto.
 
Ma i cartelli della Torino anni 60: "non si affitta ai terroni" ci ricordano che la tendenza alla razzizzazione delle differenze sociali esiste sempre e in ogni comunità bianca. Ieri le vittime del razzismo erano gli italiani (poveri) del sud, oggi vittime sono i migranti (poveri) del sud del mondo.
 
Cambiano le comparse ma il canovaccio è tristemente lo stesso.
 
Se non ci fossero i negri di Rosarno, che si ammazzano di lavoro per pochi soldi, noi non potremmo fare la vita che facciamo. Ma questo non si può dire. 
 
Credits Foto: www.youreporter.it

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