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Armonie possibili: India al Cairo

Paese in transizione, l’Egitto, possibile esperimento d’armonia fra sciiti, sunniti, cristiani che in altri parti del mondo s’accoppano. Sayyid Imam Al-Sharif (uno dei fondatori di al-Queda) scrive dal carcere per finire la Guerra Santa. Fra chiese copte e minareti, un palazzo indiano, al Cairo.

L’attuale transizione egiziana e ricerca di una nuova identità nazionale ed internazionale può indicare (come segnala anche la storia) un altro modello di stato laico, in cui diverse forme di Islam convivono con altre fedi. Qui non si sente la faida fra sciiti e sunniti che uccide in Pakistan, né le urla degli Imam che soffocano l’Iran. Qua tutto sembra mischiato integralismo e modernità, ma senza apparenti rotture.

Addirittura uno dei teorici della “guerra santa” e fondatore di uno dei movimenti più violenti al-Jihad (e ritenuto fra i co-fondatori del network di Al Qaeda) sembra averci ripensato. E’ Sayyid Imam Al-Sharif, in carcere dal 2001, autore del libro "Rationalizing Jihad in Egypt and the World", che è diventato una sorta di riforma del pensiero fondamentalista islamico e una rinuncia a ”scagliarsi contro USA e Occidente per guadagnarsi facile fama fra arabi e musulmani. A rinunciare alla distruzione, perché non vi è vantaggio nel reciproco annicchilimento“. Un tentativo di riforma ideologica dall’interno. Influente o rinnegato per gli estremisti islamici, non lo sappiamo. Sicuramente apprezzato in occidente tanto che la prestigiosa rivista Foreign Policy l’ha considerato uno dei dieci potenziali “idea maker” del 2009.

Per rimanere in tema di religioni, fedi, mischiamenti, sono stato a vedere la strana villa costruita dal Barone e Generale Edouard Louis Joseph Empain (1852-1929): un pezzo d’India. Il Barone era un visionario, grandi e strani progetti, in parte realizzati. All’inizio del secolo si era messo in testa di far concorrenza agli inglesi per costruire una ferrovia inter-araba, malgrado gli immensi capitali a sua disposizione, lo esclusero. Allora decise di costruire una città modello, seguendo le idee allora in voga delle “garden city”.

In quel periodo sorgevano i quartieri residenziali del Cairo come Zamalec, elegante e snob, ai margini delle città vecchia. Nel 1906 fu fondata la Heliopolis Oasis Company con l’idea di costruire una città modello nel deserto a nord-est, fuori città. Un successo, poiché ancor oggi, Heliopolis è una delle zone più esclusive della capitale. All’inizio costruirono le looro ville pascià e sceicchi, fra cui Sultan Hussein Kamel, (che governò dal 1914 al 1917). In seguito burocrati, finanzieri, il presidente Mubarak e la sua numerosa famiglia, Yasser Arafat e altri leader (comodi) dei palestinesi. Fu un successo anche economico poiché in cambio delle costruzioni il Barone ottenne le concessioni 50ennali per i trasporti e l’elettrificazione. Le conseguenze furono che vecchi quartieri artigiani e commerciali come Jamaljja videro migrare le famiglie più attive (e ricche), diventando quartieri per migrati e poveri. Mentre Heliopolis fioriva, la Cairo vecchia si riempiva di disoccupati e poveracci (nel 1947 il 20% erano disoccupati che vivevano mediamente in 2,8 persone per stanza).

L’asse urbanistico della città (anche per il ceto medio) si stava spostando verso le aree di nord-est (lo stradone che oggi porta all’immenso aereoporto). Masr el-Gedida o New Cairo divenne uno stile che univa architettura e disegni occidentali e arabi, ville e appartamenti in un nuovo stile “modern Arab style” o “Moorish style”, prototipo per altri quartieri.

Il Barone fece a modo suo e si costruì una casa suggestiva, un villone in stile Shikkar: con torana (portali dei templi buddhisti e hinduisti) all’entrate, statue di Shiva, fiori di loto scolpiti. Un tempio d’Asia insieme a minareti, chiese copte, sinagoghe. Dall’Orissa parti questo stile che s’estese a tutta l’Asia buddhista e hinduista, fra cui Angkor Wat in Cambogia. Shikkara significa montagna, l’Himalaya fantastica e distante come vista o immaginata dai costruttori indiani. Sede di Shiva e Parvati, protettrice della sacra Bharata (India), asse del mondo con il fantastico monte Meru. Queste suggestioni furono portate dal Barone (gran viaggiatore e affarista in Indonesia) nel deserto che allora era questa parte del Cairo, e realizzate in quello che ora è chiamato Baron Palace o Qasr El-Baron. Costruito da artigiani indonesiani sotto la supervisione di famosi architetti francesi.

Oggi è chiuso dopo una lunga storia. Leggende raccontano che la costruzione ruotava seguendo il sole, di riti tantrici fra il Barone e la bellissime donne che lo circondavano (con schiere di figli illegittimi) fino a che s’innamorò perdutamente dell’elegante Yvette Boghdadli, allora una delle donne più belle del Cairo. Dopo il Barone visse lì il figlio anche lui gran gaudente. Infine negli anni ’50 il palazzo fu venduto ad una ricca famiglia saudita, che cercò di rivenderlo qualche anno orsono all’astronomica cifra di 50 milioni di dollari, più del budget annuale egiziano per preservare le antichità. Ovviamente nessuno lo comprò.

Da allora fu disabitato e divenne una leggenda per i cairoti. Raccontano di riti magici, rave parties, orgie, fantasmi e spiriti vaganti. Negli anni ’90 i giovani freak egiziani si rifugiavano lì a farsi delle canne, posto ideale fra mandala, immagini di Shiva, diagrammi tantrici; fino a che i genitori delle vicina scuola imposero la chiusura. Nel frattempo l’interno del Palazzo fu distrutto durante queste attività, balaustre, statue, stupendi pavimenti inatrsiati, porte dorate e scolpite, dipinti murali indiani. Il Barone s’agitava nel suo mausoleo prossimo al Palazzo, fino a che in base alla legge 117 fu, di fatto, gestito dal governo egiziano. Lo splendido giardino costruito a terrazze è sparito così come la caotica vegetazione orientale. Un guardiano siede, quasi smarrito, nell’erba secca, perso fra immagini per lui strabilianti e strane.

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