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 Home page > Attualità > Cronaca Locale > Agonia chiamata Alcoa. La parola passa alle tute blu

Agonia chiamata Alcoa. La parola passa alle tute blu

Non sembra volersi placare l’agitazione allo stabilimento Alcoa di Potovesme.

Tutto inizia il 30 ottobre, quando l’Alcoa annuncia l’intenzione di voler sospendere la produzione di alluminio se entro il 17 novembre non sarebbero arrivate novità importanti sul fronte caro-energia
 
Il 17 novembre non era un giorno come tuttu gli altri: era il giorno in cui terminava il regime speciale sulle tariffe energetiche di cui godeva l’Alcoa e a partire dal quale avrebbe dovuto continuare la produazione pagando l’energia a prezzo pieno.
 
Era il 18 novembre quando il presidente Cappellacci, governatore della regione Sardegna, annunciava dopo un incontro con il ministro Scajola, che la fabbrica non avrebbe chiuso.
 
La soluzione “tappa buchi” trovata era una riduzione di circa 200 milioni di euro per la procedura d’infrazione che la Commissione Europea ha aperto nei confronti dell’Italia, per le agevolazioni concesse per l’abbattimento delle tariffe energetiche. 
Il governo italiano, che annunciava l’intenzione di fare ricorso insieme all’azienda, ha prorogato il termine delle tariffe energetiche agevolate sino al 31 dicembre 2009, permettendo all’azienda di continuare la produzione e concedendole un altro mese per riuscire a trovare una soluzione alternativa all’abbattimento dei costi dell’energia e per il pagamento delle somme dovute.
 
Per il ministro Scajola l’unica soluzione definitiva possibile è l’avvio del nucleare, giudicata giustamente inadeguata visti i lunghi tempi, da Roberto Strallu (UIL).
 
Gli operai ritornano cosi a lavorare, ma passano solo pochi giorni che arriva dai vertici Alcoa l’ennesima stangata: “Chiudiamo gli stabilimenti italiani!”.
 
La decisione di sospendere la produzione è dovuta alle “incertezze sulla fornitura di elettricità per i suoi forni di fusione a tariffe competitive e per l’impatto finanziario della decisione della Commissione Europea” (comunicato Alcoa). Immediata la chiusura dello stabilimento di Fusina, mentre per quello di Portovesme si parla di fine 2010.
 
Ma gli operai non ci stanno, e dopo esser stati protagonisti della manifestazione romana di mercoledì 18 novembre, in cui sono stati presi a manganellate dalla polizia forse spaventata dalle grida in limba sarda, tornano in prima linea.
 
Venerdì 20 gli operai occupano la fabbrica di Portovesme e dopo aver annunciato, attraverso un video, il sequestro dei dirigenti (successivamente smentito), con una ruspa bloccano l’ingresso principale: dallo stabilimento non deve uscire neanche un grammo di alluminio.
 
 
Quindi si recano tutti in sala assemblea, dove invitano i dirigenti a raggiungerli: cassa integrazione e chiusura sono i temi principali degli interventi degli operai, che preoccupati per il futuro chiedono un po’ di chiarezza dopo le contradditorie dichiarazioni dell’azienda. 
 
Nel frattempo i sindacalisti avvertono “Che nessuno si sogni di spegnere le celle elettrolitiche! La produzione non si deve fermare. Dobbiamo tenere la fabbrica in marcia”.
 
La situazione si placa in serata ma l’occupazione dello stabilimento continua.
 
L’ultima azione forte degli operai è di stanotte: un blitz di un centinaio di lavoratori alla centrale dell’Enel. Scopo dell’azione: bloccare i cancelli della centrale e impedire il rifornimenento di carbone. “Niente alluminio, niente carbone” è il nuovo motto degli operai decisi a continuare la protesta: la chiusura dello stabilimento porterebbe alla deriva più di 2000 famiglie del Sulcis, i cui redditi dipendono, direttamente o indirettamente dall’Alcoa, e questo da agli operai la forza di continuare nelle loro manifestazioni nonostante i rischi che corrono e i seri problemi che stanno causando all’azienda, impossibilitata a rifornire i suoi clienti a causa del blocco dell’alluminio in uscita.
 
Intanto i lavoratori, insieme a sindaci e organizzazioni sindacali, organizzano la prossima manifestazione che si terrà a Roma il prossimo giovedì, sperando che almeno questa volta il consiglio regionale e il presidente Cappellacci vogliano unirsi alla rivendicazione.

Commenti all'articolo

  • Di Maria Lutero (---.---.---.210) 29 novembre 2009 12:56

    ottimo articolo!

  • Di (---.---.---.190) 4 dicembre 2009 20:32

    http://www.archivionucleare.com/index.php/2009/11/25/scorie-radioattive-mito-ridimensionare/

    Renzo Riva scrive:
    4 Dicembre 2009 alle 19:30

    Ai profani dico:
    Non inserite la spina nella presa elettrica perché il 14% dell’energia che consumate è di fonte nucleare.
    Provate solo a pensare di punto in bianco di dovervi privare del 14% dell’energia elettrica che consumate attualmente! Di quali funzioni elettrodomestiche o altre fareste a meno o vi privereste?
    Siete come Al Gore e Grillo che predicate male e razzolate peggio visto i consumi energetici delle loro abitazioni.
    Vuoi una certezza?
    Prova a chiederti se fra un anno sarai ancora vivo!
    Sarà una cosa certa oppure solo probabile?
    Io vorrei che i 1000 lavoratori dell’Alcoa fossero licenziati perché non voglio pagare con le mie bollette energetiche il loro fittizio posto di lavoro che invece di produrre ricchezza invece la depaupera.
    T’ha capì Luigi!?

    Mandi,
    Renzo Riva
    [email protected]
    349.3464656

     
    pubblicata come lettera sul "Messaggero Veneto" il 30 Novembre 2009 a pagina 19

    ENERGIA

    Immobilismo dei sindacati

    Come responsabile di Energia e ambiente del Nuovo Psi della regione Friuli Venezia Giulia de­nuncio l’immobilismo dei sinda­cati tutti che penalizzano i lavora­tori continuando a ostacolare il rilancio dell’energia elettronu­cleare indispensabile all’indu­stria invece di richiederla a gran voce urgentemente. L’energia elettronucleare è la sola fonte che può cambiare la rotta dell’at­tuale deriva che altrimenti porte­rà il Paese alla bancarotta.

    La decisione assunta dalla multinazionale Alcoa per le sue unità del Sulcis è solo la punta dell’iceberg di un male che emer­gerà con virulenza con il disimpe­gno di altre industrie energivore. E da almeno sei anni che lancio appelli sull’allarme delocalizza­zioni e sarò facile profeta di cui tutti potranno verificare le ulte­riori chiusure e licenziamenti (le Cig sono solo dei licenziamenti nascosti) quando grandi gruppi industriali nazionali se ne andranno a produrre vicino ai mer­cati che per ora sono definiti al­l’estero (Gruppo Pittini? Gruppo Fantoni? Altri?).

    I lavoratori sono i primi che pa­gano sulla loro pelle questo stato di cose con salari differenziati ri­spetto agli altri lavoratori euro­pei. Prima per il fattore del costo energetico poi per i costi impropri delle "non decisioni" politi­che e della macchina burocrati­ca statale di oltre tre milioni di titolari di "stipendio a ruolo", proprio solo dei sistemi retti a collettivismo.

    Scopriremo, se lo vorremo, che fino a pochi anni fa eravamo di fatto un Paese dove si speri­mentava il comunismo ricco, di tipo particolare, dove, grazie ai fattori geopolitici, in Italia si ri­versavano dollari in funzione an­ticomunista e aiuti (dollari non rubli) al Partito comunista italia­no confratello in funzione antiamericana.

    Oggi, mutate le condizioni geo­politiche, si sperimenterà il co­munismo povero perché, nonostante le cosiddette privatizzazioni, di fatto monopoli privati con accordi di cartello, constateremo che il lavoratore gestisce solo una piccola parte del proprio la­voro.
    L’azione liberale dell’asso­ciazione Futuragra con Giorgio Fidenato, che non assolve più co­me sostituto d’imposta la funzio­ne di gabelliere per conto del fi­sco, porrà gli stessi lavoratori di fronte alla realtà di constatare do­ve vanno i frutti del loro lavoro; per altri invece solo i frutti del loro stipendio e della relativa partita di giro.
    Renzo Riva
    Buja

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