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Africa: perchè siamo arrivati a questo?

Il 10 marzo il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Dominique Strauss-Kahn,  ad una conferenza che si è tenuta a Dar-es-Salaam, in Tanzania, per analizzare le nuove strategie di crescita economica in Africa, si è espresso sugli effetti che la crisi mondiale avrà sui Paesi sottosviluppati. Le dichiarazioni dell’istituzione di cui è il portavoce sono agghiaccianti. Nel 2009 per la prima volta dopo sessant’anni, la crescita mondiale sarà negativa, e a pagarne il prezzo più alto sono proprio i Paesi sottosviluppati, in particolare quelli dell’Africa sub sahariana: la gigantesca somma che il FMI ha dichiarato necessaria per far fronte all’imminente catastrofe è di 25 miliardi di dollari. E non si sa se il Fondo sarà in grado di stanziarli.

Quando sentiamo parlare di globalizzazione, crisi finanziarie, sottosviluppo, è facile non cogliere fino in fondo i motivi per i quali l’economia mondiale (e le sue istituzioni) funzionino in un certo modo, piuttosto che in un altro. Ma soprattutto, è facile non trovare risposta ad una banale domanda: perchè siamo arrivati a tutto questo?

La globalizzazione economica mondiale è un fatto: significa che con la riduzione dei costi dei trasporti e delle comunicazioni e l’abbattimento delle barriere per la circolazione di beni, capitali, servizi e conoscenza, si è potuto raggiungere un elevato livello di integrazione  economica e commerciale globale. In sé, la globalizzazione non è un male, anzi, ha avuto molti vantaggi (ognuno di noi li sperimenta, ad esempio, nella libera circolazione delle informazioni su internet).

 

 E non è nemmeno una caratteristica dell’epoca  moderna:  in età  medioevale già si riscontra un altissimo grado di integrazione economica a livello europeo. Quello che costituisce però un tratto tipico della modernità e della civiltà occidentale, è il dramma umano, economico e sociale cui assistiamo quotidianamente, e le dichiarazioni di Strauss-Kahn riportano al nocciolo di questo dramma: il rapporto economico e culturale che l’Occidente ha instaurato con l’Altro (con i Paesi non industrializzati; con i Paesi cosiddetti “sotto”-sviluppati).

Ci sono domande che in questo particolare momento storico riguardano nel profondo ognuno di noi: non è forse la globalizzazione un processo unilaterale, per essere più chiari, un dominio economico e ideologico tutto occidentale? Hanno avuto i paesi africani, dopo la colonizzazione,  un’alternativa all’imposizione del modello di sviluppo e progresso economico imposto dall’Occidente? Quale ideologia ha guidato le politiche economiche del cosiddetto "sviluppo" (possiamo ancora chiamare così il catastrofico fallimento che è sotto gli occhi di tutti?)

1.  Il concetto di progresso. Secondo una visione “non ortodossa”, l’accumulazione illimitata di capitale e il criterio di giudizio di una buona economia (quello della corsa al Pil) sono legate al modello di sviluppo economico dei Paesi occidentali, che ha come base culturale e storica la rivoluzione industriale, la posizione geografica e politica europea, il ruolo dello stato-nazione e, insomma, tutto ciò che storicamente caratterizza “L’Occidente”. Esportare questo modello economico: “ lo sviluppo”, o “il progresso”, per innestarlo in altre tradizioni culturali e storiche (come ad esempio quelle dei Paesi africani) è un’operazione destinata a fallire, e la storia (anche quella dello stesso FMI) ci ha già mostrato che in molti casi è fallita, mentre modelli di sviluppo “alternativi” hanno sortito effetti più efficaci. (I casi dell’Etiopia e del Botswana sono per molti esemplari).

 2. Fede nella scienza. Il modello del progresso economico si alimenta di un retroterra ideologico che destina alla scienza e al suo strumento, la tecnica, una venerazione che ci autorizza a paragonarla alla fede. Anche questa nuova metafisica appartiene alla storia occidentale.

3. E’ un fatto che il mercato delle informazione è un monopolio gestito da 4 agenzie: Associated Press e United Press (USA), Reuter ( Gran Bretagna) e France-Press (Francia). Se non vogliamo usare termini come dominio culturale o ideologico, si potrà per lo meno riflettere sul fatto che le categorie con le quali l’Altro (il non-sviluppato) pensa se stesso e il rapporto con l’Occidente sono, paradossalmente, dettate dall’Occidente stesso?

4. La carità sotto cui l’Occidente nasconde la verità del suo rapporto con i Paesi sottosviluppati non fa che impedire un serio ripensamento dei termini di questo rapporto. Nessuno mette in dubbio la necessità dell’operato delle ONG e degli operatori umanitari internazionali, la loro opera anzi ci ricorda un’umanità che i media hanno sradicato dal nostro sguardo. In dubbio qui sono le categorie ideologiche che impediscono al mondo da cui provengono di risolvere un problema che sembra invece destinato ad aggravarsi. E le dichiarazioni pubbliche sono sotto gli occhi di tutti.

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