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Vogliono paralizzare la giustizia per garantirsi l’impunità. Parla Roberto Scarpinato

Le procure, soprattutto al sud, sono sotto organico e non riescono ad amministrare la giurisdizione ordinaria, agli imputati è concesso di abusare delle garanzie processuali per raggiungere la prescrizione, che è sempre più breve, e si perde tempo a perseguire reati inutili che per la loro pena esigua si prescrivono sempre. Lo Stato italiano sembra non avere volontà di perseguire i reati perché un’ampia parte del paese ha interesse a una giustizia inefficiente. 

Pubblichiamo di seguito il testo dell’audizione di Roberto Scarpinato alla commissione Giustizia della Camera lo scorso 22 febbraio. Roberto Scarpinato, oggi procuratore generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, già procuratore aggiunto presso la Procura di Palermo (fu uno dei pm del processo Andreotti), spiega perché la giustizia italiana non riesce a garantire la ragionevole durata dei processi penali. E accusa la politica di avere legiferato in favore della criminalità con normative che incentivano la prescrizione e dilatano i tempi processuali. Come il cosiddetto "processo breve".

Per ventidue anni ho prestato servizio alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo e nel giugno del 2010 sono stato nominato procuratore generale presso la corte d'appello di Caltanissetta. Questo cambiamento di ruolo mi ha proiettato dal mondo della giurisdizione dell'antimafia a quello della giurisdizione ordinaria ed è stato come entrare in un altro pianeta. Nel misurarmi con una serie di problemi gravi e urgenti ho dovuto prendere atto dell'esistenza nel nostro ordinamento di due diversi modelli penali processuali, quello dell'antimafia e quello dell'ordinario, la cui distanza quanto a efficienza e resa produttiva si divarica ogni giorno di più, rischiando di diventare incolmabile.

Il primo modello, quello dell'antimafia, seppure con significativi limiti, è dotato di struttura organizzativa (le direzioni distrettuali antimafia), di tipologie reato con termini di prescrizione raddoppiata rispetto a quelli ordinari e di procedure dedicate che consentono di fornire una risposta repressiva di tale livello qualitativo e quantitativo da configurarsi come un know-how italiano che ha fatto scuola a livello internazionale. Il secondo modello penale processuale, quello della giurisdizione ordinaria, è invece condannato all'inefficienza, ed è un modello negativo perché non solo non ha le risorse del primo, ma è appesantito da una serie di procedure inutilmente macchinose e soprattutto deve operare con tipologie di reato in massima parte inadeguate alla realtà criminale del Paese. Si tratta cioè di reati che si rivelano tigri di carta, cani che abbaiano ma non possono mordere, declinazioni di un diritto penale privo di effettività, inincidente dal punto di vista repressivo e sociale-preventivo. 


GIUSTIZIA DEBOLE IN TERRE DI MAFIA – Quando ci si trova dinanzi alla realtà di Procure della Repubblica come quella del distretto di Caltanissetta, territorio ad altissima densità criminale e mafiosa e con una procura della Repubblica che si sta occupando dei processi sulle stragi, costretti a operare per lunghi periodi con organici di magistrati decurtati dal 50 all'80 per cento, ci si trova nella impossibilità oggettiva di rispettare i termini processuali nella dolorosa necessità di concentrare le poche risorse disponibili prioritariamente sul fronte dei reati di mafia e di quelli più gravi. Ciò determina una sorta di occulta vampirizzazione da parte della giurisdizione antimafia ai danni della giurisdizione ordinaria. A Caltanissetta e a Palermo, come in molti altri territori giudiziari ad alta densità mafiosa, l'efficienza della giurisdizione antimafia in buona misura è garantita per ragioni di necessità a spese della giurisdizione ordinaria, per il semplice motivo che buona parte dei già pochi magistrati in servizio viene destinata ai ranghi della Direzione distrettuale antimafia o applicata a processi antimafia, sottraendola così alla procura ordinaria. Alla procura della Repubblica di Caltanissetta, ad esempio, la Direzione distrettuale antimafia in questo momento assorbe quasi il 65 per cento dei sostituti in servizio, cioè 9 su 14. Alla procura della Repubblica di Palermo la Direzione distrettuale antimafia assorbe il 40 per cento dei magistrati in servizio. Coloro che restano a occuparsi dei processi ordinari subiscono così il doppio carico dei vuoti nell'organico per la mancata copertura dei posti e dei vuoti determinati dal fatto che i magistrati sono destinati all'antimafia.

Se la proposta di legge di cui stiamo discutendo [il cosiddetto “processo breve”, ndr] venisse approvata in breve tempo, ci troveremmo dinanzi a una situazione ingovernabile a causa del meccanismo a cascata per cui i pubblici ministeri non sono in grado di concludere le indagini e di formulare le richieste di rinvio a giudizio per i processi ordinari nei termini. A partire dal terzo mese successivo al termine delle indagini preliminari inizierebbero comunque a decorrere i termini di prescrizione processuale per la prima fase di giudizio. Ci troveremmo quindi con processi fermi – perché i pubblici ministeri non sono in grado di formulare la richiesta di rinvio a giudizio – e con termini di prescrizione che partono lo stesso.

PRESCRIZIONE PRO-MAFIA
– A differenza della giurisdizione antimafia, quella ordinaria si trova a operare con tipologie di reato in larga misura inadeguate perché altamente deperibili a causa dei brevi termini di prescrizione che non consentono di pervenire in tempo utile a una sentenza definitiva. A questo proposito, a parte la riduzione dei termini di prescrizione operata per molti reati dalla legge ex Cirielli, occorre considerare che la maggior parte dei reati viene accertata a distanza di anni rispetto alla sua consumazione. Poiché il termine di prescrizione decorre non dalla data dell'accertamento, ma dalla data di consumazione dei reati tranne che per i reati permanenti, le procure e i giudici si trovano a ingaggiare una corsa contro il tempo spesso perdente, perché il tempo residuo utile per pervenire a una sentenza di condanna prima della prescrizione è incompatibile con i tempi processuali.

Tale situazione si verifica anche per molti reati di mafia. Si tratta di reati di agevolazione delle associazioni mafiose (favoreggiamento, trasferimento fraudolento di valori, intestazione fittizia di beni, false fatturazioni), per i quali non è possibile contestare l'aggravante mafiosa, che cambia completamente il regime della prescrizione e consente di aumentare la pena base da metà a due terzi.  In molti casi non è possibile contestare questa aggravante per i reati ordinari commessi per agevolare le associazioni mafiose perché la giurisprudenza ormai prevalente ha stabilito che questa aggravante sussista soltanto quando il comportamento illegale sia posto in essere per favorire l'intera associazione o una sua importante articolazione, e non sussista invece quando si vuol favorirne un singolo esponente. In numerosi casi, quindi, abbiamo dovuto dichiarare la prescrizione del reato di intestazione fittizia di un bene, cioè di riciclaggio e di reimpiego di capitali, per cui il mafioso intesta un immobile o un'impresa a un prestanome. Il reato si consuma nel momento in cui l'immobile viene venduto o l'impresa viene costituita, ma noi lo accertiamo a distanza di anni, quando ormai restano soltanto 2, 3 o 4 anni per giungere alla sentenza e, siccome non possiamo contestare l'aggravante di cui al citato articolo 7 perché in molti casi il prestanome vuole favorire il singolo mafioso e non l'organizzazione, noi ci troviamo con un buco enorme nell'ambito del contrasto all'economia criminale, perché purtroppo la giurisdizione antimafia questa volta deve agire con gli strumenti della giurisdizione ordinaria.

In questo momento abbiamo un buco enorme nel contrasto all'economia criminale, perché nel nostro ordinamento manca il reato di autoriciclaggio e perché il reato di falsa intestazione dei beni, creazione giurisprudenziale che ha creato una sorta di autoriciclaggio, è diventata una tigre di carta.

RITENTA, SARAI PRESCRITTO
– I reati, tra cui molti di mafia, si prescrivono soprattutto perché la prescrizione breve innesca a sua volta un altro meccanismo perverso, che porta alla patologica dilatazione dei tempi processuali. Mi riferisco all'abuso del processo, cioè all'uso strumentale delle garanzie per prolungare la durata del processo, in modo da arrivare al traguardo finale della prescrizione. Le statistiche giudiziarie e la realtà criminale del Paese attestano che l'abuso del processo è fenomeno di massa. Se si confrontano le statistiche degli appelli proposti dai pubblici ministeri con quelle degli appelli proposti dagli imputati, si verifica che per quanto riguarda la Sicilia il rapporto è assolutamente sproporzionato. Dal 2007 al 30 settembre del 2010, su un totale di 44.562 appelli, il 93 per cento riguarda gli appelli degli imputati e solo il 7 per cento quelli dei pubblici ministeri.

Viene inoltre proposto un ricorso per Cassazione per la quasi totalità delle sentenze penali di condanna confermate in appello. I dati statistici inducono a ritenere che una quota elevatissima di impugnazioni sia motivata esclusivamente da finalità dilatorie volte a conquistare il traguardo della prescrizione, e ne attestano altresì il successo. Basti considerare che dopo l'approvazione della legge ex Cirielli, che ha ulteriormente ridotto i termini di prescrizione per un'ampia categoria di reati, si è registrata una caduta verticale delle condanne definitive: per i reati di corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio sono crollate dalle 1000 all'anno, registrate sino al 2005, ad appena 130 dal 2006 in poi; le condanne per reati di abuso d'ufficio sono crollate da 1305 a 45, e lo stesso effetto deflattivo riguarda gran parte dei reati tributari, come il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di false dichiarazioni, di dichiarazioni fraudolente.



LA MANNAIA DEL PROCESSO BREVE
– Possiamo concludere che alcune scelte di politica criminale operate in passato hanno contribuito a determinare un prolungamento strutturale e patologico dei termini processuali. Per un motivo che mi pare superfluo esplicitare, l'approvazione di una legge che introducesse nel nostro ordinamento la prescrizione processuale, lasciando intatto l'attuale regime della prescrizione sostanziale, agirebbe da moltiplicatore dei comportamenti di abuso del processo, raddoppiandone le già elevatissime opportunità di successo. Tale duplicazione delle vie di accesso al traguardo finale della prescrizione determinerebbe, a sua volta, una gravissima disincentivazione del ricorso ai riti alternativi, con pesanti ricadute sui dibattimenti e sul relativo prolungamento dei tempi della loro gestione.

L'approvazione di una legge siffatta, a risorse invariate e senza prima essere intervenuti con sapiente chirurgia normativa su vari punti dell'ordinamento penale processuale, potrebbe inoltre determinare un'ulteriore crescita di quelle illegalità di massa che costituiscono una peculiarità nazionale priva di termine di paragone in altri Paesi occidentali di democrazia matura, come attestato tra l'altro dalla Commissione europea.


L’ITALIA CHE NON VUOLE PERSEGUIRE I REATI
– A questo proposito si è soliti ripetere che tutti i cittadini aspirano a una giustizia rapida ed efficiente, ma a mio parere si tratta di una favola retorica, che purtroppo non trova riscontro nella realtà del Paese. L'analisi della realtà ci pone dinanzi a un quadro affatto diverso: questo è un Paese nel quale, come diagnosticato dalla Corte dei Conti, la corruzione ha un fatturato annuo di 60 miliardi di euro; nel 2010 l'evasione fiscale certificata dalla Guardia di Finanza ha raggiunto la quota di 49,245 miliardi di euro. Si tratta di un Paese in cui, nonostante gli arresti e i sequestri, le mafie continuano a signoreggiare in quasi tutto il sud e a investire nel nord, un Paese nel quale l'abusivismo edilizio e i reati contro l'ambiente sono fenomeni di massa in vaste aree del territorio. I soggetti coinvolti nei circuiti illegali non sono soltanto quelli che commettono reati in prima persona, ma anche migliaia di altri soggetti che vivono nell'indotto e grazie all'indotto dell'economia criminale, della corruzione, dell'evasione fiscale, delle mafie, dell'abusivismo edilizio. Per formulare un solo esempio tra i tanti possibili e far comprendere come questi mondi siano intercomunicanti, basti considerare come le organizzazioni mafiose al nord come al sud si siano specializzate nelle false fatturazioni seriali a favore di imprese che costituiscono fondi neri per pagare la corruzione e poi fanno evasione nei paradisi fiscali.

Esiste dunque un'ampia parte del Paese trasversale ai ceti sociali che non nutre alcun interesse per una giustizia rapida ed efficiente, ma al contrario ha interesse a una giustizia inefficiente. Questo dato criminologico e sociologico deve costituire un'imprescindibile piattaforma di riflessione per il legislatore, per comprendere, muovendo dalla realtà, che talune patologie del processo, come la sua irragionevole durata, sono anche un riflesso di gravi patologie socioculturali e non soltanto effetti di deficit organizzativi o di improvvide architetture normative.

L'impatto dell'illegalità di massa, nel sommarsi al già esorbitante numero di reati che sono frutto di una legislazione penale italiana inutilmente ipertrofica, si abbatte infatti con un peso schiacciante sul processo penale, un peso che non ha paragoni in nessun altro Paese europeo. Le culture dell'impunità, espressione di questa illegalità di massa, si declinano poi all'interno del processo mediante l'abuso sistematico delle garanzie processuali per fini dilatori.

COSA SI Può FARE
– Se si muove dunque dalla lezione della realtà, ci si rende conto di come per spezzare la perversa spirale cui ho accennato sia necessario recuperare margini di efficienza con soluzioni di razionalizzazione organizzativa processuale. Ma tali soluzioni sono insufficienti, se preliminarmente non si operano scelte volte a garantire l'effettività delle norme e delle sanzioni e a disincentivare tutti i comportamenti finalizzati a prolungare i tempi di gestione del processo. A tal fine occorre, in primo luogo, riformare l'istituto della prescrizione previsto dal codice penale, prevedendo che essa venga definitivamente sospesa al momento del rinvio a giudizio, come avviene nei Paesi di common law, o quantomeno in caso di condanna con sentenza di primo grado, che attualmente interrompe soltanto la consumazione dei reati permanenti. Se l'imputato non può contare sulla speranza della prescrizione, non ha motivo di porre in essere tecniche dilatorie, ma ha tutto l'interesse di patteggiare o di scegliere il rito abbreviato. In tal modo si restituirebbe effettività a un'ampia categoria di reati che oggi sono tigri di carta, si porrebbero le premesse per deflazionare i dibattimenti tramite i riti alternativi e si ridurrebbero i tempi processuali.

Il secondo intervento legislativo, di carattere strutturale, dovrebbe consistere in una riforma della procedura penale che, lasciando integro il cuore del processo ovvero l'assunzione e la valutazione delle prove nella irrinunciabile pienezza del contraddittorio, sfrondasse il processo penale dei tanti adempimenti di natura soltanto formale, che sono stati ampiamente individuati dalla commissione per la riforma del codice di procedura penale presieduta dal professor Riccio e da altri insigni giuristi come il professor Grevi. Il regime della notifica, che nel penale determina un'enorme dilatazione dei tempi, potrebbe essere realizzato per la prima volta nelle mani dell'imputato e nelle successive attraverso posta elettronica certificata presso il difensore, con l'obbligo di tutti gli imputati di eleggere il domicilio presso i difensori.

Mi riferisco anche alla necessità di una riforma del sistema delle impugnazioni che elimini alcuni difetti sistemici da tempo individuati come ulteriore causa di indebito allungamento del processo. Secondo le proposte della migliore cultura giuridica, l'appello che abbia una cognizione piena in seguito a un dibattimento di primo grado con l'assunzione della pienezza del contraddittorio e delle prove, potrebbe essere limitato a un appello fatto soltanto per vizio di difetto di motivazione, estrapolandolo dai motivi del ricorso per Cassazione e limitando in questo modo i motivi per ricorrere in Cassazione.

Per limitarmi soltanto all'inventario dei compiti a mio avviso più urgenti che gravano sul legislatore, tralasciando quelli che riguardano il Ministero della giustizia, credo che occorra prendere atto del fallimento di scelte legislative prolungate nel tempo che continuano a inflazionare un diritto penale sostanziale già ipertrofico, utilizzando la sanzione e la criminalizzazione penale anche per condotte devianti con un tasso di lesività sociale tale da non giustificare il ricorso allo strumento estremamente costoso e oneroso del processo penale. 

In questo modo si coltiva soltanto l'illusione repressiva, che nulla è se non un mero esorcismo culturale: l'illusione cioè che sia sufficiente criminalizzare le condotte per cancellarle dalla realtà sociale. E come tutte le illusioni, l'illusione repressiva produce l'effetto boomerang della delusione sociale per uno Stato incapace di far rispettare le sue leggi.


 

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Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.7) 5 marzo 2011 16:38

    ma perché non elaborate un progetto di legge di iniziativa popolare e lo sottoponete ad una forza politica capce di avviare una raccolta di firme in tutta l’Italia? ci sarà pure in Italia qualche gruppo organizzato interessato a fare una battaglia del genere! se proprio non c’è allora è meglio smetterla di farsi il sangue amaro è preferibile arrendersi e passare dall’altra parte oppure, per chi ne ha la possibilità, emigrare in Europa (quella occidentale ovviamente).

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