• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Viaggio negli Sprar/Siproimi della Campania: tappa a Capua

Viaggio negli Sprar/Siproimi della Campania: tappa a Capua

Stranieriincampania prosegue il suo viaggio tra le esperienze di ospitalità della Campania. Oggi è la volta di Capua, dove abbiamo incontrato Savino Compagnone, della Cooperativa Città Irene Onlus, responsabile dello Sprar/Siproimi/Siproimi di una delle più antiche città italiane. 

Le relazioni umane, la rete creata, la riconoscibilità e il rapporto con il territorio sono gli aspetti che più risaltano nel corso del nostro lungo colloquio di cui riportiamo un estratto.

Quella di Città Irene è una esperienza solidale che nasce da lontano, quando nel 1999 un primo nucleo di giovani volontari decidono di mettere in campo competenze e voglia di fare sul e per il territorio. I primi progetti si rivolgono a minori e donne migranti in situazioni di disagio. Nel corso degli anni, il gruppo si allarga, e fa diventare l’assistenza e l’accoglienza una scelta di vita, che coinvolge in pieno la vita degli operatori e le loro famiglie.

“L’avventura dello Sprar/Siproimi nasce nel 2014” ci racconta Compagnone. Su suggerimento di Antonio Casale, storico direttore del Centro Fernandes di Castel Volturno, Città Irene propone il progetto all’amministrazione comunale perché convinti che “l’unico strumento serio per fare accoglienza e integrazione in Italia è lo Sprar/Siproimi. Questa è la via maestra, il modello che dovrebbe essere applicato ovunque in tutta Italia. Uno strumento invidiato anche all’estero”. 

Incassato il placet dell’amministrazione, in assenza di altri partner che hanno risposto alla manifestazione di interesse del comune, Città Irene comincia la sua esperienza di ospitalità, e l’ottiene dall’Istituto di sostentamento per il clero le prime strutture volte all’accoglienza. Ad oggi gestisce il progetto con Fondazione Misericordia e l’Ordine delle Suore Francescane dei Sacri Cuori.

Quella con le strutture religiose capuane è una collaborazione fruttuosa e consolidata che continua da tempo e risale alla nascita di Città Irene, che ha tra i soci fondatori anche il vescovo emerito di Capua Mons Schettino. 

Con lo Sprar/Siproimi di Capua si è però creata una rete che va oltre: “Abbiamo creduto fin dall’inizio che per fare un buon progetto ci volesse una buona rete territoriale che non nascesse solo per il progetto ma che durasse nel tempo. I progetti iniziano e finiscono ma una rete solida continua”.

Grazie all’entusiasmo degli operatori, e al sostegno diffuso, lo Sprar/Siproimi di Capua cresce da subito e dopo pochi mesi c’è l’occasione di ampliare la platea dei beneficiari. Ai primi 21, si aggiunge un piccolo gruppo di donne con figli piccoli, ospitate in una struttura di Santa Maria La Fossa con la collaborazione delle religiose che gestiscono la struttura. Le donne accolte sono spesso vittima di violenza, qui si cerca di accompagnarle nel superamento dei loro traumi, puntando a rendere la maternità una esperienza non più legata al passato ma proiettata al futuro.

L’approccio dello Sprar/Siproimi con la città è cresciuto per gradi: “L’esperienza è partita in maniera molto soft, nella sua prima parte. Nel territorio aleggiava l’idea dell’invasione dei migranti. Eravamo quasi tacciati di essere quelli che favorivano ‘l’invasione’”. Quindi si è deciso di procedere per piccoli passi, adottando un profilo basso che favorisse una percezione diversa dello Sprar/Siproimi dalle esperienze emergenziali dei CAS e dei campi di accoglienza esistenti in passato a Capua.

“Abbiamo cercato da subito di capire come tramutare questa presenza in opportunità e risorsa per il territorio. Ad esempio, abbiamo attivato due laboratori: restauro del mobile antico e di sartoria.” I laboratori sono finalizzati ad una prima formazione professionale ma vogliono essere anche un occasione di socializzazione e di inserimento sul territorio nei primi mesi di ospitalità, per sfuggire alla logica assistenziale per far si che i beneficiari (spesso neomaggiorenni) crescano, si formino, si integrino. Al contempo, alcuni datori di lavoro ‘illuminati’ hanno favorito la creazione di una rete – sempre centrata su Capua e zone limitrofe – che offrisse la possibilità di stage in azienda in un’ottica positiva e formativa, che non vedesse l’immigrato come una risorsa da sfruttare. Molti di questi tirocini si sono trasformati in contratti di lavoro, anche indeterminato, favorendo l’integrazione sul lungo periodo di molti beneficiari. Il rapporto con la città non si ferma qui: “Abbiamo fatto un accordo col Comune e l’Arcidiocesi per sistemare e restaurare tutto il patrimonio ligneo di Capua, tramite il nostro laboratorio. Le chiese abbandonate e chiuse da tempo sono state riaperte e sistemate: le panche, le sedie, la cantoria del Duomo – tutte completamente sistemate da noi. Con questi progetti, oltre a fornire un’occasione di formazione per i beneficiari, volevamo far capire alla comunità che lo Sprar/Siproimi accoglie e restituisce al territorio. Era un modo per rispondere a quella campagna denigratoria che continuava a parlare di invasione e di danno per la città”.

La risposta è stata positivissima, e infatti si è giunti al punto di dover limitare questo genere di collaborazioni “Ora abbiamo il problema inverso, far capire che i nostri ragazzi non possono fare di tutto (sorride). Abbiamo però individuato luoghi simbolo che manuteniamo stabilmente e a rotazione, in base alla predisposizione dei ragazzi, cerchiamo di fare questo genere di attività sempre nell’ottica dell’integrazione sul territorio”. Le esperienze implementate a Capua consentono allo Sprar/Siproimi, nel 2016, di entrare nell’Atlante nazionale dei progetti Sprar/Siproimi.

Il clima istituzionale e strutturale positivo si incrina nel 2018: “Il Decreto Sicurezza, è stato un po’ destabilizzante. Si percepiva nell’aria un clima di cambiamento. Da un’Italia che accoglie e accompagna, che non mette muri, a una Italia che impulsivamente si chiude a catenaccio”. Un paese apparentemente ossessionato dal ‘problema’ immigrazione: “Innanzitutto sono fermamente convinto che l’immigrazione non sia un ‘problema’, se vediamo ai numeri, se tutti i comuni facessero la propria parte con gli Sprar/Siproimi non ci sarebbero problemi di numeri e di gestione e finirebbe per esaurirsi anche la percezione di invasione, la distorsione mediatica che la origina.”

Se dal punto di vista pratico e di gestione, i Decreti sicurezza hanno causato dei disagi, dai cittadini non sembrano esserci stati ritorni particolarmente negativi nell’ultimo periodo: “Nei nostri incontri con le scuole i ragazzi capiscono la bellezza della diversità e al contempo la similitudine con i loro coetanei provenienti da lontano. Anche in città, la percezione positiva acquisita nel tempo sul nostro ruolo non è cambiata. Capua storicamente è una città accogliente. Abbiamo avuto negli anni grandi flussi di immigrazione e da più di dieci anni c’è una struttura di servizi per chi è in difficoltà, a prescindere dall’origine geografica. Capua è abituata all’idea di accogliere. Chiaramente c’è anche da confrontarsi con l’ignoranza di alcuni, spiegare cosa è e cosa fa uno Sprar/Siproimi”.

Negli anni lo Sprar/Siproimi di Capua ha accolto 160 beneficiari. Gli attuali 21 ospiti vengono dalla Nigeria, Gambia, Somalia, Mali, Egitto. Per molti di loro il rapporto con la Onlus non si ferma con la fine dell’accoglienza ma continua negli anni, in una relazione umana che trascende il rapporto di assistenza. “Loro si sentono a casa, si sentono accolti. Questo è il valore aggiunto di una buona esperienza. Farli sentire accolti e non fruitori di un servizio: in questo le relazioni umane che si creano sono fondamentali”.

Al momento di salutarci, ci raggiunge Onome, 19enne nigeriana in città da circa 15 mesi, ex beneficiara Sprar/Siproimi. Ci racconta brevemente della sua vita qui, divisa tra le mattina quando lavora da parrucchiera e i pomeriggi a scuola, dove studia da ragioniera ottenendo ottimi risultati, riuscendo addirittura a “saltare” dal primo al terzo anno in seguito ai suoi successi accademici. Ci saluta parlandoci dell’importanza dello studio “così si impara a comunicare” e di mostrare sempre il lato migliore di sé “comportarsi bene, sempre, anche quando gli italiani non si comportano bene con gli stranieri, bisogna sempre avere un atteggiamento positivo”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità