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Vertice Ue a Bratislava. La Ue a fine corsa e l’illusione della monade

A commento dell’ennesimo inutile vertice europeo, quello di Bratislava, alcune riflessioni di Jean Quatremer di Libération sullo stato dell’arte comunitaria, o meglio sulla paralisi frammista a recriminazioni che mina dalle fondamenta l’Unione europea, posta ormai su una traiettoria che ha all’orizzonte un muro. La Ue fallisce per un problema di coordinamento, ma quel che è peggio è che le “soluzioni” proposte non sono in grado di determinarne una discontinuità ed una rigenerazione dall’interno.

Quatremer descrive efficacemente lo stanco rito dei lavori del vertice, che si concludono con il solito comunicato panglossiano ed unanime, e con conferenze stampa tenute dai singoli capi di stato a beneficio della propria stampa nazionale, spesso con interpretazioni strettamente soggettive e ad uso domestico dei non-risultati del vertice. Ora, a parte la sceneggiata di Renzi, che pare volesse un’agenda “operativa” per crescita ed immigrazione (ma in realtà sapeva perfettamente che le cose sarebbero andate diversamente, e quindi ha deciso di fare un po’ di propaganda anti-Ue ad uso domestico), a Bratislava è accaduto quello che da troppo tempo accade in vertici del genere: nulla.

 

Si noti che qui parliamo del consiglio dei capi di stato e di governo, non di una “tecnocrazia” quale è la Commissione. Quindi, in astratto, l’istanza democratica dovrebbe essere rispettata e preservata, giusto? Per Quatremer, e non solo per lui, le cose non stanno in questi termini:

«Questa caricatura di “dibattito democratico” che autorizza ogni bugia conferma che il problema centrale dell’Unione è infatti il Consiglio europeo, l’organo supremo dell’Unione, il luogo in cui i capi di Stato e di governo dirigono, in totale segretezza e senza alcun controllo democratico, l’Europa. Peggio ancora: in trenta anni, mano a mano che il Consiglio dei “leader” affermava i suoi poteri, fino ai più piccoli dettagli tecnici sino a quel momento di pertinenza sia della Commissione sia dei consigli dei ministri settoriali, la segretezza che circonda le deliberazioni dei Ventotto si è rafforzata sino alla caricatura, in particolare per impulso dei francesi, che adorano i segreti di Stato»

A parte il sarcasmo verso la Francia, questo passaggio è piuttosto interessante: ad esempio, ci porta immediatamente a chiederci se questi vertici producano qualcosa di segreto e segretato, e per ciò stesso antidemocratico, al punto da annullare il fatto che siano tenuti da leader più o meno direttamente eletti a livello nazionale (come sostiene Quatremer), oppure se dietro vi sia dell’altro. È lo stesso Quatremer a rispondere, poche righe dopo, e lo fa sconfessando se stesso e la propria tesi mentre tenta di confermarla, in pratica:

«Dalla crisi economica a quella dei rifugiati, passando per la crisi della zona euro, le politiche economiche, l’Unione affonda ogni giorno un po’ più nella paralisi. Perché? Perché si decide all’unanimità. La sedicente “Europa federale” che spossessa gli Stati della loro sovranità, denunciata dagli eurofobi, in realtà non è che un’Europa degli Stati, quella auspicata dagli stessi eurofobi: l’Unione ha l’aspetto di una federazione mentre è solo una lasca confederazione. Nulla viene fatto senza gli Stati o contro di loro, il che spiega l’impotenza attribuita all’Unione da parte di governi che non assumono mai la responsabilità di quel che fanno o non fanno a Bruxelles e non ne rendono conto, in quanto le decisioni sono prodotte da un collettivo. Il Consiglio europeo è la scatola nera della democrazia europea»

Se serve l’unanimità su tutto, come da metodo intergovernativo, la medesima si produrrà sul nulla o quasi, in un contesto di ventotto (anzi, ventisette) cosiddetti decisori. Noi siamo in disaccordo con Quatremer, però: il Consiglio europeo non è la “scatola nera” della democrazia: è solo il luogo dove non si prendono decisioni, o se ne prendono di talmente generiche da risolversi in veti incrociati. Il minimo comune denominatore di questa Europa è il nulla, o meglio l’inerzia. Non poteva mancare il parallelo con gli Stati Uniti:

«Bisogna immaginare gli Stati Uniti d’America guidati da un’assemblea di cinquanta governatori americani che decidono all’unanimità, dove alcuni stati non applicherebbero questa o quella politica, utilizzerebbero o meno il dollaro, in cui un singolo governatore potrebbe bloccare un intervento militare, e si avrebbe un’idea di ciò che sarebbe il potere americano. Ora, è proprio così che funziona la Ue; e ci sono ancora capi di Stato e di governo che si stupiscono della crisi di fiducia dei cittadini»

Se le cose stanno in questi termini, che fare, quindi? Dopo aver premesso che le uniche istituzioni Ue che funzionano sono quelle dove gli Stati non possono mettere bocca, cioè la Bce e la politica della concorrenza, che è pertinenza esclusiva della Commissione (cioè di due tecnocrazie, con buona pace del “metodo democratico”), Quatremer illustra quella che egli crede sia la soluzione:

«In realtà, non è di più poteri che ha bisogno l’Unione, ma di autorità federali legittime, perché elette dai cittadini con il fine di applicare le politiche comuni chiaramente identificate»

Qui ci sta bene un “Très vaste programme, en effet”. Rifondare la Ue come vera federazione, con autorità federali direttamente elette dalla popolazione, e per ciò stesso democraticamente legittimate a creare tecnocrazie per perseguire i fini istituzionali su cui si è concordato, presuppone la scomparsa degli Stati nazionali, e degli interessi ad essi sottostanti. Il tutto in un territorio in cui neppure si parla la stessa lingua, a differenza degli Usa. In realtà, se questa Ue si dissolve, si torna a certificare quello che è già ora sotto gli occhi di tutti: la dialettica paralizzante e compromissoria tra stati nazionali. Quello che, appunto, vogliono gli eurofobi neo-nazionalisti. In un caso o nell’altro, l’esito non sarà piacevole, perché avremo “il Grande Reset” di quanto costruito negli ultimi decenni. Pensare che paesi maledettamente interconnessi possano “fare quel che vogliono” solo per effetto della eventuale dissoluzione di questa Ue, è un’illusione che rischia di produrre risvegli traumatici.

Perché, molto semplicemente (come scopriranno prima o poi i Brexiters), nessuno è realmente libero di fare quel che vuole: nessuno è una monade nazionalista, in altri termini. Tranne che nei sogni dei populisti di ogni latitudine. Il compromesso costa, logora ed è fonte di conflitto. Come vediamo già oggi. Ma al compromesso siamo condannati. Giusto quindi che la realtà (ancora una volta) arrivi a sfondare a calci la porta del castello immaginario dove, in numero crescente, popolazioni stressate si sono rifugiate.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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