• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > Verso la sentenza Breivik

Verso la sentenza Breivik

E’ prevista per venerdì 22 giuno la conclusione del processo a Anders Behring Breivik, il trentaduenne norvegese che il 22 luglio scorso fece esplodere una bomba nel quartiere dei palazzi ministeriali ad Oslo, per poi dirigersi verso Utøya e sparare contro i giovani laburisti che partecipavano ad un campeggio estivo organizzato dal partito. In meno di quattro ore Breivik provocò la morte di 77 persone.

Il 22 luglio fu lo stesso Breivik che, dall’isola, chiamò la polizia, per raccontare quello che stava facendo e fu sempre lui a fare luce sullo svolgimento della sua azione una volta arrestato.

La giustizia norvegese non dovette, perciò, andare alla caccia del colpevole della strage, che era già lì, in manette, a rivendicare il suo gesto con tanto di dettagliate spiegazioni e motivazioni.

Con un colpevole già individuato e reoconfesso, un codice penale da applicare ed una società civile sconvolta, ma non vendicativa, il processo sembrava poter procedere senza troppe difficoltà.

Ma non è andata così.

I problemi sono iniziati quasi subito, con la presentazione della prima perizia psichiatrica, nella quale Synne Sørheim e Torgeir Husby, psichiatri nominati dal giudice, sostengono che Breivik sia affetto da una forma grave di schizofrenia paranoide e che, per questo motivo, sia da considerarsi incapace di intendere e di volere, quindi non penalmente responsabile.

Le loro conclusioni si basano sia sui colloqui avuti con l’imputato e sui test che gli sono stati somministrati, che sulle dichiarazioni di Breivik in aula, dove è apparso chiaro il suo mancato senso della realtà e della misura, nonchè l’incapacità di Breivik di scindere vissuti personali e quotidiani da questioni politiche e strutturali. Synne Sørheim e Torgeir Husby hanno difeso con convinzione questa tesi che, se ritenuta valida dai giudici, porterebbe la corte a decidere di imporre al condannato una terapia, all’interno di una struttura ospedaliera, fino a quando si potrà considerare guarito e non pericoloso per la società.

Nella fase delle indagini, però, fu richiesta una seconda perizia, questa volta a firma di Agnar Aspaas e Terje Tørissen. Questi sono giunti a conclusioni diametralmente opposte, sostenendo che la ricostruzione del passato e delle azioni di Breivik, così come l’analisi del suo modo di pensare il mondo, non portano elementi sufficienti per diagnosticare una schizofrenia paranoide, mentre ci sono numerosi fattori osservati che riconducono ad un disturbo di personalità di tipo narcisistico, il che non esclude la capacità di intedere e di volere e quindi la responsabilità penale. Se questa tesi fosse accettata dai giudici, si arriverebbe alla condanna a 21 anni di reclusione, prolungabile nel caso in cui si ritenga il soggetto ancora pericoloso per la società.

In entrambi i casi le condanne prevederebbero la reclusione, ma in strutture diverse e con trattamenti del condannato diversi (da una parte la cura farmacologica, dall’altro un programma di rieducazione, come previsto per qualsiasi condannato per reati gravi).

Se dal punto di vista giuridico la scelta di una tesi piuttosto che dell’altra non porterà a conseguenze troppo diverse, dalla prospettiva politico-sociale questo dibattito sulla responsabilità penale del condannato assume una particolare importanza.

Innanzitutto perchè è lo stesso imputato a prediligere una di queste tesi e cioè quella della sua responsabilità penale. Questa è anche la linea difensiva scelta dall’avvocato Geir Lippestad, al quale non rimaneva che portare avanti le istanze del suo cliente.

Breivik ha sostenuto, sin dall’inizio di sapere benissimo quello che faceva, di aver deciso, consapevolmente, di portare avanti l’attacco e ha chiesto più volte di poter spiegare il suo gesto in tribunale; quando gli è stata concessa la parola ha usato il tempo a disposizione per articolare le sue motivazioni politiche:

Breivik si colloca in un contesto di estrema destra, xenofobo e anti-islamico; egli sostiene di essere un combattente che si oppone all’islamizzazione dell’Europa e alla società multiculturale che si è venuta a creare in Norvegia a seguito delle politiche del partito laburista. Questo spiegherebbe la scelta delle vittime: i dirigenti del partito, che, solo per caso, non sono stati colpiti dalla bomba ad Oslo, ed i giovani del partito laburista riuniti ad Utøya.

Sin dall’inizio del processo Breivik ha tentato di usare l’aula di tribunale per veicolare le sue idee e per questa ragione (ma anche per evitare che dalle sue parole arrivassero messaggi ad evetuali complici) è stato imposto ai media norvegesi di trasmettere il processo tagliando le parti in cui è Breivik a parlare.

La responsabilità penale è sostenuta anche dai familiari delle vittime, che nelle loro testimonianze hanno voluto sottolineare come le idee di Breivik non siano frutto di deliri di una schizofrenico, ma siano, invece, convinzioni politiche radicate in un certo ambiente di estrema destra, che pur non avendo avuto grande rilevanza nel panorama politico norvegese, esiste ed è attivo nella sua opera di propaganda.

L’esistenza di questo lato oscuro nella società norvegese è stato un tema di dibattito nel mondo intellettuale: da una parte coloro che hanno preferito vedere la strage di Oslo e Utøya come una tragica eccezione, un dramma senza spiegazione, un gesto isolato, in una società pacifica e giusta, hanno trasmesso tale visione all’estero, facendosi interpreti dell’evento per i media stranieri, i quali hanno infatti adottato, soprattutto nei primi mesi dopo la strage, questa narrazione.

Più in là, c’è stato, però, chi si è opposto alla visione idilliaca della società norvegese e ha condannato la tendenza a medicalizzare fenomeni che sono innanzitutto politici e culturali. Tra questi il giornalista Sven Egil Omdal che in un articolo, apparso sul quotidiano Stavanger Aftenblad, scrive “Il nostro presunto distacco dai mali del mondo è un velo di circostanza, creato di proposito da alcuni esponenti politici che vogliono tenere nascosto che la Norvegia – uno dei paesi fondatori della Nato e un alleato tradizionale degli Stati Uniti – di fatto conosce da vicino la violenza”.

Malattia mentale, azione criminale, gesto politico: la lettura della strage da parte della società non è univoca e per la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale, anche la Norvegia si trova di fronte al problema di definire la violenza stragista. I dilemmi del processo, lontani dal riguardare l’applicazione delle leggi penali, sono tutti incentrati su questo punto: il significato dell’azione di Breivik. La sentenza, prevista per il 22 Luglio, anniversario della strage, al di là della sanzione che verrà comminata, darà delle definizioni che avranno l’effetto collaterale di avallare una delle possibili interpretazioni di questa tragedia.

 

 Alta, Norvegia 19 giugno 2012

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares