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Venezuela | Un respiro di sollievo per Maduro

Ovviamente soddisfatti tutti i commenti dell’area che in America Latina ha sostenuto costantemente Nicolás Maduro: Atilio Borón ad esempio ha ricordato che Winston Churchill perse le elezioni convocate alla fine della Seconda Guerra Mondiale col 36,2% dei voti contro i 49,7 del laburista Clement Attlee, sconfitto dalla reazione ai pesanti sacrifici imposti alla popolazione durante il conflitto, il che rende ancor più notevole la vittoria di Maduro nel corso di “una guerra [economica], dichiarata o no”, che di norma penalizza i partiti di governo”. http://www.resumenlatinoamericano.org/2017/10/16/venezuela-2017-la-vitalidad-del-chavismo/

Ovviamente sono molti i commenti che analizzano con soddisfazione i risultati, notando soprattutto il valore simbolico della perdita di due Stati popolosi, Miranda e Lara, di cui erano governatori due possibili candidati dell’opposizione nelle elezioni presidenziali del 2018. E tutti insistono sulle molte divisioni dell’opposizione, che avrà difficoltà a scegliere un candidato unico tenuto conto del bilancio di queste elezioni che diverse componenti oltranziste della MUD hanno boicottato, contribuendo all’insuccesso di chi aveva deciso di partecipare, e allo spostamento degli equilibri interni: quattro governatori su cinque eletti dall’opposizione sono di AD (Acción Democrática), la storica organizzazione socialdemocratica, mentre il Copei (erede della democrazia cristiana) e Primero Justicia sono molto ridimensionati. Un dato importante se il governo vuole approfittare del momentaneo successo, probabilmente superiore alle sue previsioni - per iniziare davvero un dialogo con una forza che mantiene un consenso non insignificante e che non è “nazifascista” come si è ripetuto per mesi e anzi per anni aggravando le tensioni.

Nessuno insiste troppo su un fattore che invece ha aiutato molto il PSUV a recuperare il terreno perduto nel 2015: l’intervento grossolano di Donald Trump, con minacce di intervento militare diretto non facilmente praticabile, ma reiterate periodicamente con qualsiasi pretesto. Il ritorno sotto l’influenza degli Stati Uniti e di chi ha governato il Venezuela prima di Chávez ha spinto molti dei due milioni di chavisti che nel 2015 si erano astenuti a turarsi il naso e tornare al voto per il PSUV e i suoi alleati.

Ma uno dei commentatori “maduristi” più lucidi, Marco Teruggi, ricorda che il chavismo ha nelle sue mani la ratifica della sua iniziativa politica, ma anche “l’urgenza di risolvere la guerra/crisi economica”. Teruggi usa questo termine ambiguo, che comunque contraddice la tesi officiale: non c’è crisi, ma solo una guerra scatenata dall’esterno. Teruggi osserva che “le ragioni della politica possono imporsi sui temi dell’economia al momento di un voto, ma questo dissesto economico rappresenta un’erosione permanente nella vita della gente comune”. E così come la direzione ha ratificato la capacità di risolvere il conflitto politico e portarlo al voto e non alla morte, ha però dato segnali della sua forte difficoltà a risolvere i problemi acutissimi dell’economia. “È un problema di modello, di corruzione, di attacchi internazionali? Una miscela di tutto questo?”

Teruggi dice che la forza ottenuta con queste elezioni deve essere impiegata per la “rettificazione interna”, utilizzando anche le alleanze internazionali “russe, cinesi, indiane”. Come utilizzarle non è chiaro, evidentemente è solo un auspicio. Ma per la rettificazione Teruggi dà un’indicazione. I voti dicono che la maggioranza della popolazione “vuole che sia questo governo, questo progetto storico, a risolvere i problemi affrontati oggi dal paese”. Tanto più in quanto la destra continua a essere “incapace di costruirsi come alternativa praticabile, come una proposta di paese credibile, come soluzione alle difficoltà prodotto della propria incapacità politica di interpretare la società venezuelana, di capire le ragioni del chavismo”. Se si misura in scadenze elettorali, non rimane molto tempo, conclude Teruggi. Le elezioni dei sindaci sono molto vicine e le presidenziali ci saranno tra appena un anno. I risultati delle elezioni dei governatori sono indicativi, “dicono che il chavismo ha la possibilità di mantenersi – l’economia sarà la chiave – e la destra si trova di fronte più dubbi che certezze”. Il testo completo di questa seria riflessione è in: http://www.resumenlatinoamericano.org/2017/10/16/venezuela-de-donde-nace-la-fuerza-del-chavismo-por-marco-teruggi/

Lo stesso Teruggi, alla vigilia del voto, in un articolo già pubblicato anche in italiano, esprimeva una forte preoccupazione per il deterioramento della società venezuelana: “L’economia non colpisce solo le tasche del popolo, ma anche le soggettività. Possiamo domandarci che effetti causa nelle coscienze, nel senso comune, un’economia che allarga le sue aree di micro-corruzione, profitti straordinari illegali, bagarinaggio di medicinali, carta-moneta, cibo, affari a spese delle domande ogni volta più urgenti dei settori popolari. La destra ha guadagnato posizioni in questa battaglia culturale” e concludeva, richiamandosi all’analisi di Alvaro Garcia Linera, vicepresidente della Bolivia di Evo Morales: “Non c’è mai trionfo politico senza previo trionfo culturale. Anche la destra può essere gramsciana.”. Ovvio che oggi tiri un respiro di sollievo. Ma non tiriamo dentro Gramsci in questa “battaglia culturale”, che ha bisogno piuttosto di misure concrete contro la corruzione ai massimi livelli, oggi facilitata da un demenziale sistema dei cambi finora apparso intoccabile. E ricordiamo caso mai Gramsci per la sua convinzione che la verità è rivoluzionaria, smettendo quindi di demonizzare in blocco ogni dissenso e ogni opposizione anche interna come “fascista” e “complice di Trump”- L’articolo di Teruggi del 13 ottobre scorso è in:

https://albainformazione.com/tag/marco-teruggi/

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