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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Venezia, Don Carlo inaugura la stagione alla Fenice

Venezia, Don Carlo inaugura la stagione alla Fenice

In una città ancora spossata e malinconica per il recente disastro dell’acqua “granda” del 12 novembre, la Fenice apre la stagione superando brillantemente le difficoltà che l’inondazione aveva imposto: prove a Treviso e rimessa in sicurezza del teatro allagato.

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L’opera mancava a Venezia dalla stagione 1991-92 in cui venne proposta, come quest’anno, la versione “di Milano” in quattro atti, e questa volta è Robert Carsen a curarne la regia. Lo spettacolo è la ripresa di una produzione di Strasburgo nella quale il regista propone una nuova scelta drammaturgica in cui il marchese di Posa si rende complice dell’Inquisizione. Tutto ciò viene espresso attraverso alcuni passaggi che però purtroppo sono sfuggiti a quella parte di pubblico non proprio attenta e che conosceva l’opera nella sua consueta versione: nel corso della scena del carcere, il minuto, ma eloquente gesto col quale Posa passa all’Inquisitore i documenti compromettenti e la complice stretta di mano e conseguente uscita insieme all’Inquisitore dopo che Posa si è finto morto. Più evidente il finale rivisto dal regista allorchè un religioso spara prima a Carlo e poi a Filippo mentre dal fondo appare Posa incoronato e bardato quale nuovo fantoccio del potere religioso. Carsen dichiara che questa scelta non è supportata da alcun riferimento storico, poichè i registi sono chiamati a interpretare le opere e afferma di essersi concentrato essenzialmente sui personaggi, sulle loro parole e sulla loro musica.

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Si tratta di un’opera cupa, alla cui base sta l’elemento dell’amore proibito, un dramma esistenziale che diventa l’occasione per parlare di religione, di guerra e di politica. L’intento di Carsen è stato creare un’atmosfera psicologica, non un luogo o un’epoca specifici, una scena scura, tinta canna di fucile, metafisica, di Radu Boruzescu, nella quale si stagliano i costumi neri degli austeri religiosi, realizzati da Petra Reinhardt, a sottolineare il dominio della Chiesa. Efficace a farci respirare la greve inquietudine il disegno luci di Robert Carsen e Peter Van Praet.

Felicemente per noi che abbiamo assistito, sul podio c’era il maestro coreano Myung-Whun Chung, che anche stavolta ha diretto a memoria, con sorprendente, rispettoso dominio della partitura verdiana e resa orchestrale dell’ottima compagine del Teatro.

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Il tenore Piero Pretti è Don Carlo: in questa occasione ne debutta il ruolo sfoderando una limpida vocalità di tenore lirico interpretando il suo personaggio con intensa ed interiorizzata espressività. Il marchese di Posa è stato il baritono coreano Julian Kim, dotato di vocalità sicura e ricca; Alex Esposito ha dato voce e corpo a Filippo II usando in modo sapiente i propri mezzi vocali. Convincente Marco Spotti nel ruolo del Grande Inquisitore, unica pecca nel cast il frate di Leonard Bernad.

Brillante esempio di cantante generosa e pienamente padrona dei propri mezzi vocali, Maria Agresta, Elisabetta di Valois, ha brillato per le dolcissime mezzevoci; molto apprezzata il mezzosoprano Veronica Simeoni nel ruolo di Eboli, anche se il ruolo richiederebbe una voce più scura. Ottima la prova degli altri artisti che completavano il cast e del il Coro del Teatro la Fenice, preparato e diretto da Claudio Marino Moretti.

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Interessanti i movimenti coreografici Marco Berriel.

L’opera ha avuto successo, con fitti applausi e tanti giusti elogi al maestro Chung, cui la città è tanto legata.

Marina Bontempelli

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