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Valute dei paesi emergenti: fiato alle trombe?

Crisi del debito in Occidente, continui interventi a carattere monetario, debasement soprattutto di dollaro e sterlina… tutti questi elementi hanno portato molti investitori a dedicare crescente attenzione alle monete dei Paesi emergenti. Monete che - oltre alla rivalutazione - spesso hanno offerto cedole più elevate dei traballanti titoli occidentali. Le cose però, da qualche tempo, stanno cambiando: certi ritmi di crescita (un esempio per tutti: la Cina ed il suo +10% annuo) non sono ripetibili per ragioni che dipendono dal cambio di contesto, per ragioni demografiche e per mutati ritmi di consumo. Il nuovo trend non riguarda solo la Cina ma tutta la regione di Asia-Pacifico e America Latina. Con questo tipo di scenario il potenziale rischio di inflazione si riduce molto e di conseguenza esiste maggiore spazio per implementare politiche monetarie espansive e misure fiscali concrete di aiuto alla crescita: Australia, Singapore, Cina, India, Russia, Brasile… nelle ultime settimane stanno tutti, ciascuno a proprio modo, agendo in direzione di svalutazione monetaria e/o tagli dei tassi per generare impulsi di stimolo alla crescita. Già, la crescita: le stime di crescita economia in Brasile non arrivano ad un misero 3% e lo stesso vale per altri Paesi più piccoli: L’Europa é destinataria del 15% delle esportazioni dell’area LatinoAmericana, e gli USA invece del 30%; inoltre la continua esigenza di capitale delle banche occidentali non fa che ridurre gli investimenti di capitale, che viene richiamato in patria allo scopo di ripatrimonializzare gli Istituti.

Il risultato é che paradossalmente (anche a causa della ricerca frenetica di asset liquidi in queste settimane di grande tensione sui mercati) paga di più detenere dollari malati che non delle “sane” valute emergenti.

I gestori di fondi su debito in valuta emergente si stanno industriando per gestire questa trasformazione aumentando l’esposizione ad emissioni in dollari anche nei fondi in valuta locale. In alcuni casi sono state avviate operazioni di coperture valutarie anche attraverso il ricorso a dei proxy. Facciamo un esempio: Rupiah Indonesiana e Dollaro Australiano storicamente hanno un andamento molto simile, molto correlato: vista la scarsa liquidità della Rupiah si vende il Dollaro Australiano per coprirsi sull’esposizione in Rupiah. Sul fronte obbligazionario, l’aspettativa di politiche monetarie sempre più espansive e durature si traduce in un allungamento della duration quasi ovunque.

Ben diverso da ciò che succede in Occidente, dove allungare le duration é sempre più un gioco da temerari, o da speculatori che cavalcano l’onda di periodo spinta da qualche intervento di bail-out monetario. E per evitare che si esageri con i bail-out vengono lentamente introdotti con sempre maggior forza i bail-in.

Non si tratta di una pratica genovese di gestione del debito, ma di una sostanziale modifica che andrà a toccare i bond bancari (mi raccomando parlatene con il vostro consulente finanziario di riferimento per verificare se e come questo coinvolge le vostre posizioni): per mettere nelle condizioni le banche spagnole, ad esempio, di ricapitalizzarsi senza chiedere aiuto allo Stato (che finirebbe per restarne soffocato) si sta procedendo alla formulazione di un Resolution regime, una roadmap avviata fin dal 2009 in direzione di una maggiore integrazione bancaria, fondata sulla protezione dei depositanti, garantendo la continuità funzionale di un Istituto bancario con una rete di protezione non più nazionale ma europea. A partire dal 2015 e poi con pieno effetto dal 2018 sarà possibile -per le banche che versano in difficoltà- attivare la procedura di bail-in trasformando parte delle loro liabilities in azioni, oppure riducendone il valore nominale. E’ chiaro che ci sono delle distinzioni da fare: ci sono cose che sono “bail-inabili” e altre che non lo sono. I bond “senior unsecured” ad esempio potranno essere soggetti a bail-in, mentre i “covered bond” i depositi o le emissioni con meno di un mese di durata residua non potranno essere assoggettate al bail-in. Per metterla sul tecnico il coinvolgimento progressivo nel bail-in in caso di necessità coinvolgerà, nell’ordine:

  • Co-co Bonds
  • Tier1
  • Emissioni ibride
  • subordinati upper Tier2
  • subordinati lower Tier2
  • Tier3

Questo vale per i titoli che verranno emessi da quando la norma andrà in vigore, ma anche per i titoli già esistenti.

Conseguenze pratiche:

  1. Gli emittenti cercheranno di emettere più carta possibile con scadenza entro il 31 dicembre 2017, per ridurre il costo del loro funding: i titoli che possono finire sotto la scure del bail-in infatti dovranno avere rendimenti più alti per premiare il maggior rischio che il sottoscrittore si prende. E’ verosimile pensare che per questa ragione queste emissioni saranno di bond senior.
  2. Le emissioni Lower Tier2, che oggi sono considerate a rischio solo in remote ipotesi di banche lasciate in piena insolvenza, si vedranno più vicine ai titoli Tier1, cioé più rischiose, con le doverose ricadute sui loro prezzi

Prima di sottoscrivere un titolo bancario, insomma, documentatevi a dovere su capitalizzazione e patrimonializzazione del’istituto.

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