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Uscire dall’Euro: vademecum per ingenui europeisti e fondamentalisti anti-Merkel

L’ipotesi di uscire dall’Euro è ormai entrata nel novero delle possibilità della politica estera italiana. In particolar modo l’idea che un referendum al riguardo sia necessario per sondare l’opinione dei cittadini ha coinvolto più soggetti, dalla Lega Nord al Movimento 5 Stelle. Ma quali prospettive apre tale ipotesi sarà probabilmente uno del temi fondamentali della prossima legislatura, al di là della sua realizzabilità sul piano pratico.

In un recente incontro del Movimento 5 Stelle a Fiano Romano, uno dei temi che più hanno occupato le diatribe politiche tra partiti è stato in ultimo dibattuto, stavolta messo in gioco da uno degli spettatori. Si è domandato infatti circa la possibilità di un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Sebbene un solo individuo non faccia molta statistica, mi è venuto da pensare che forse quella che fin’ora è stata una delle tante proposte in una più generale ondata di anti-europeismo abbia ora acquisito una più specifica importanza tra le istanze degli elettori. Varrebbe allora la pena di discuterne, alla larga da ingenui europeismi e da fondamentalismi del partito anti-Merkel.

Il punto di partenza di una riflessione attorno all’euro è naturalmente il referendum. L’ipotesi - paventata sia da Grillo che da Maroni - è quella di un referendum consultivo, che nel caso del M5S non dovrebbe essere vincolato da quorum. Non di uscita dall’euro si parlerebbe - e questo il Movimento l’ha più volte precisato - ma di consultazione dell’elettorato. Come spiega giustamente Enzo Cannizzaro - ordinario di Diritto dell’Unione Europea alla Sapienza - però l’uso di tale strumento è categoricamente escluso dalla Costituzione, all’articolo 75: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratifica dei trattati“. Più difficile da individuare è invece dove Cannizzaro veda all’interno della Costituzione il divieto esplicito di referendum consultivi (atti cioè esclusivamente ad indagare la volontà degli elettori), anche se va segnalato come esso rimanga marginale e relegato all’ambito regionale e degli enti locali. Centrale è invece una questione di opportunità, sia perché la frequente richiesta di intervento tende a stancare presto i cittadini, sia perché comporterebbe dei costi non irrilevanti.

Resta il fatto che la disposizione dell’articolo 75 è molto ben chiara, e come sottolinea Paolo Becchi difficilmente Grillo avrà possibilità di avviare processi di revisione costituzionale. Nei remoti balbettii di una gorbacioviana “casa comune Europa” questo potrebbe naturalmente bastare. Non è d’altronde poco: in capo alla Corte Costituzionale sta la facoltà di indagare preventivamente il rispetto della Costituzione nei quesiti referendari, quindi la proposta non arriverebbe neanche alla popolazione. Morirebbe sul nascere. La questione di base continua a rimanere però là dov’è, semmai rinforzata dal muro così alzato: è dunque impossibile uscire dall’Euro? Siamo dunque così scarsamente liberi? Dove finì la nostra sovranità perduta?

Per capire questo può essere utile dotarsi di un buon manuale di Diritto Internazionale e spulciarlo adeguatamente. Se ne ricaverà innanzitutto un principio cardine delle relazioni tra stati, sintetizzato nel brocardo “pacta sunt servanda“. Il che sta sostanzialmente a significare che gli accordi tra stati devono essere rispettati, a meno che si verifichino situazioni eccezionali. Tale principio è recepito dalla nostra Costituzione all’articolo 117: “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali“. Certo, ai tempi in cui il testo veniva stilato l’influenza dell’ONU si faceva sentire pesantemente sui paesi vinti. Non a caso l’obbligo di conformarsi alle norme di diritto consuetudinario (ossia lo zoccolo duro del diritto internazionale) è comune all’articolo 10 della Costituzione italiana, all’articolo 25 di quella tedesca e all’articolo 98 di quella giapponese. Questi due principi sono però alla base di una comunità internazionale capace di funzionare senza massacrarsi per una striscia di territorio in più o in meno.

Gli accordi vanno quindi rispettati. Ma c’è di più. Verrebbe da chiedersi allora dove vadano a finire il diritto di recedere da un trattato o addirittura di denunciarlo. Il punto di riferimento al riguardo è nella Convenzione di Vienna sui Trattati del 1969. La convenzione contiene due ipotesi piuttosto interessanti per il nostro simpatico amico, il dinamitardo UE. La prima rientra tra le condizioni di nullità del trattato, intesa come invalidazione dello stesso con effetto retroattivo (ex tunc). Esse sono naturalmente molte, e per queste si rinvia a citato buon manuale. Quella che ora ci interessa è contemplata all’articolo 49. Il trattato è nullo qualora la volontà dello stato contraente venga viziata consapevolmente, ossia quando si verifichi l’ipotesi del “dolo”. Inutile dire che questa potrebbe essere una posizione appetibile qualora si intenda sostenere la posizione secondo cui l’introduzione della moneta unica abbia destabilizzato alcune economie favorendone altre. Si ritiene da più parti infatti che, analogamente a quanto si verifica con un regime di cambi fissi, l’impossibilità di svalutare la moneta abbia inficiato sulle economie con tasso di produttività più basso, portandole a “importare disoccupazione”. Sono posizioni rispettabili, anche se si potrebbe rispondere che l’euro ha comportato un abbassamento dei tassi d’interesse tale da permettere investimenti che in Italia semplicemente non ci sono stati. Sarebbe però comunque difficile sostenere tale posizione di fronte agli organismi internazionali (in questo caso probabilmente la Corte Internazionale di Giustizia). Ancora più difficile sarebbe poi coinvolgere altri paesi nell’iniziativa, rischiando di isolare definitivamente l’Italia, oppure di farne una parte dei “paesi perdenti”, perché destinati ad un’alleanza dei poveri a due passi da economie molto più floride e ormai irraggiungibili.

Stessa sorte nel caso si invocasse invece una causa di estinzione del trattato (senza cioè effetto retroattivo). La Convenzione di Vienna prevede la possibilità di estinzione nel caso di “cambiamento radicale delle circostanze” (Art. 62), ma solo “nel caso in cui a) il cambiamento non fosse stato previsto dalle parti al momento della stipulazione del trattato; b) l’esistenza di quelle circostanze costituisse una condizione essenziale del consenso delle parti ad essere vincolate al trattato; c) il cambiamento abbia l’effetto di trasformare radicalmente la portata degli obblighi che devono essere adempiuti in base al trattato” (A. Cassese, Diritto Internazionale, 2006).

Il punto C è certamente il più forte tra chi vede ormai l’euro come una gabbia delle economie. In particolare si cita il fatto che la moneta unica possa essere ormai non più sostenibile sul lungo periodo. Ci si chiede se l’eurozona sia un’AVO, o Area Valutaria Ottimale, in cui la retta AVO rappresenta “le combinazioni di simmetria e integrazione fra gruppi di paesi per le quali i costi e i benefici di un’unione monetaria si equilibrano, i punti a destra della retta AVO rappresentano raggruppamenti di paesi per cui i benefici dell’unione superano i costi e viceversa i punti della sinistra” (E. Orpelli, tesi in La sostenibilità dell’euro nel lungo periodo, Università di Tor Vergata). I punti A e B cozzano però con queste pur sensate critiche. Ci si potrà recare davvero di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia recando come proprie ragioni l’ipotesi che Maastricht non preveda la possibilità di una crisi sistemica? Ciò andrebbe contro ogni natura dell’Unione Europea. Si opta per l’integrazione fino al momento in cui la crisi non batte cassa? Semmai il contrario. Questo dunque renderebbe qualsiasi rivendicazione totalmente inverosimile, dal punto di vista dei requisiti per una eventuale estinzione.

L’ultimo appello lo concede il diritto italiano, ma è molto flebile. Esso prevede che le norme di origine comunitaria possano essere sindacate, qualora si verifichi un conflitto tra norme UE e norme nazionali. In particolare, nel caso di conflitto tra norme europee e norme costituzionali non di dettaglio, la nostra normativa prevede che si possa denunciare non tanto il trattato quanto l’ordine di esecuzione, atto a portarlo all’interno del nostro ordinamento. Anche in questo caso sarebbe arduo - oltre che poco onesto - voler provare come il Trattato di Maastricht abbia portato alla violazione di principi cardine della nostra Costituzione. Vi è inoltre un ulteriore rischio, paventato dal già citato Cannizzaro. Il giurista spiega come in caso di referendum con l’ordine di esecuzione si vada ad abrogare l’intero trattato. Significherebbe quindi uscire non solo dall’euro, ma dall’unione stessa, e quindi dal libero mercato (anche se rimarrebbero in vigore le norme del Trattato di Schengen del 1985). Lo stesso si può dire nel nostro caso.

Questo ci porta all’ultimo e forse più importante punto di questa puntigliosa peppia. Non è vero come si ripete ossessivamente - forse in timore di ripercussioni - che sia impossibile un referendum sull’euro o più in generale l’abbandono dell’eurozona. Ciò che è invece senz’altro vero è che il principio di azione e reazione resta valido, in special modo per quanto riguarda le relazioni internazionali. L’Europa è il più grande azzardo che l’umanità abbia concepito, perché teorizzava la fine dello stato-nazione inteso come aggregato di paesi capaci solo di massacrarsi a vicenda, senza però ritornare all’età degli imperi. Senza cioè che gli stati sparissero lasciando un monarca con potere di vita o di morte sui propri sudditi. L’Europa è molto vicina a ciò, ma allontanarsi da essa significherebbe la fine - disastrosa - di tale azzardo. Certo, forse le economie europee non sono simmetriche come vorrebbe la teoria AVO, ma davvero costituire un’alleanza dei paesi del sud europeo oppure uscire dalla zona euro ci salverebbe da tutto questo? Non sembra credibile, se si considerano alcuni fattori.

Innanzitutto va messo in chiaro come il cambio - in un primo periodo probabilmente instabile - tra euro e moneta locale aumenterebbe il fattore di rischio per gli investitori. Il profitto per chi intenda portare liquidità in Italia diminuirebbe, se si fa eccezione per la speculazione in titoli. Anche dal punto di vista dell’industria la situazione dubito sarebbe differente. Pur sfruttando la svalutazione per aumentare l’export, la produttività in Italia non se la passa proprio bene. Lo scenario che si potrebbe ipotizzare è quindi quello del nostro paese costretto a competere con paesi il cui costo del lavoro è di gran lunga più basso (Cina, Taiwan) senza poter contare neanche su un quantitativo di produzione particolarmente alto, come per la Cina. Resterebbe dunque il secondo concorrente, e comunque la si metta la situazione non sarebbe propriamente allegra. Inoltre si deve considerare come all’interno del mercato intra-europeo l’Italia esporta il 7.5% dei prodotti e importa il 7,9% del quantitativo totale (fonte: Eurostat). Perderebbe quindi quel quantitativo di esportazioni, ma soprattutto le importazioni, rimanendo in campo energetico in balia dei paesi OPEC.

Immaginate poi gli effetti sul turismo (al 32,8% britannico, tedesco e francese)? È infatti l’umanità europea ad essere messa a rischio, l’idea che dall’Europa possa nascere un’esperienza positiva per il mondo intero, tramite la costruzione di un’identità e una fiducia comune. Il punto è ora quindi se vogliamo essere il cambiamento oppure l’arretrare di esso di fronte alla prospettiva che “dobbiamo pensare ai nostri”. Una crisi non ha bisogno di eroi o salvatori della patria. Ha bisogno di esseri umani.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.142) 14 luglio 2013 08:41

    Non sono d’accordo sull’affermazione che dovremmo competere con Cina e Taiwan. La svalutazione aiuterebbe le nostre imprese; se già oggi riescono a stare a galla, con una svalutazione del 20-25% esporterebbero con più facilità (vedere "elasticità della domanda" nel sito del Prof.Bagnai).

    Inoltre, uscire dall’euro non significa uscire dall’Europa e nemmeno fare la guerra all’Europa; quindi non perderemmo quel 7% di esportazioni.

    Mi spiace essere critico, ma l’autore sembra non avere tanto chiari elementari concetti di economia.

  • Di (---.---.---.118) 14 luglio 2013 14:15

    Mah, il punto è che servirebbero studi quantitativi per vedere quanta competitività si potrebbe ottenere svalutando, ma il punto è svalutare per cosa? Se devi svalutare una ragione ci sarà, e questa ragione è che non siamo competitivi. Per dire, basta fare un giro veloce per vedere che l’Istat stessa ha valutato la nostra competitività come piuttosto bassa nel contesto europeo (http://www.01net.it/articoli/0,1254...). Lo fa su una base discutibile, quella della grandezza media delle imprese, ma la critica al sistema delle PMI è nota (scarsa capacità di attirare investimenti esteri, scarsa capacità di sfruttare economie di scala, ecc.). Come il titolo dell’articolo già suggerisce, lo scopo è dare linee guida per evitare fanatismi dall’una e dall’altra parte, ma proprio perché il tema è estremamente complesso rinvio a studi più approfonditi e fondamentalmente econometrici.

    Riguardo la politica e il diritto, ripeto che un peggioramento dei rapporti in ambito continentale è estremamente rischioso, e che uscire dall’euro significa perlomeno dover ricontrattare un trattato come quello di Maastricht che prevede appunto la moneta unica (la fonte è citata).

    Se poi mi si volesse spiegare quali beneamati principi di economia ho saltato, sarei ben lieto di approfondirli, ma pur non essendo un economista due o tre cose in tre anni di studi anche economici penso di averle apprese.

  • Di (---.---.---.89) 14 luglio 2013 18:30

    Mi spiace di essere stato critico; non è nulla di personale. Non volevo essere critico con lei ma con le idee espresse, che ricalcano quanto fanno i media di regime. Sostanzialmente fanno terrorismo psicologico, dicendo che l’uscita dall’euro sarebbe un dramma (vedere ad esempio affermazioni di Plateroti, del sole 24 Ore: la benzina costerà sette volte tanto!).

    Provo a rispondere con ordine:

    1) perché le aziende straniere dovrebbero trovare meno conveniente investire in Italia? Il rischio cambio potrà essere poco noto nelle fasi iniziali, ma dopo potrebbe benissimo stabilizzarsi; se la Loro Piana (appena comprata dai francesi), dovesse avere un utile dopo le tasse del 4%, lo avrà anche dopo. Anzi, potrebbe aumentare, dato che il costo del lavoro potrebbe diminuire;

    2) studi quantitativi: il prof. Bagnai studia da trent’anni econometria, applicata proprio a problemi di sostenibilità del debito pubblico; cerchi nel suo sito "elasticità della domanda" e troverà dei riferimenti utili e interessanti; sono proprio gli studi quantitativi che cita lei;

    3) perché dovremmo competere con la Cina? Una svalutazione del 25% (secondo Bagnai; 40% secondo Savona) ci metterebbe in posizione migliore nei confronti di Francia, Germania, Usa, ed anche della Cina, ma senza scendere al loro costo del lavoro (almeno spero per me, che lavoro in Italia);

    4) così com’è, l’euro avvantaggia la Germania; se noi abbandonassimo l’euro, loro ci rimetterebbero; ma possiamo continuare a tenere vivo un meccanismo che ci impoverisce? Davvero pensa che ci boicotterebbero? Gli conviene? Anche L’Italia è per loro un buon mercato di riferimento. Anche in Germania e soprattutto in Francia iniziano a capire che così non andremo lontano;

    5) ho dubitato delle sue competenze di economia perché ha fatto alcune affermazioni che contrastano con quanto credo di avere capito; però l’economia sembra non essere una scienza esatta, quindi è possibile che i nostri riferimenti siano diversi; ad esempio Boldrin, che insegna in una prestigiosa università americana, troverebbe insensate le mie affermazioni. Io trovo più vicini al mio modo di vedere gli economisti che ho citato (Krugman, Stieglitz, Sapir). Non me ne voglia. D’altra parte il taglio dell’articolo mi sembrava più giuridico che economico.

    Della parte giuridica mi importa meno: l’euro è una schiavitù, ci porta a dover obbedire alla Merkel; è un disegno neoliberista, mentre io sono un vecchio comunista. Al diavolo i trattati!

    7) infine la competitività: la nostra è inferiore, d’accordo, ma tenga presente che la competitività della Germania non si spiega solo con la loro migliore organizzazione e capacità; è anche frutto dei differenziali di inflazione, della compressione dei salari (vedere mini job) e del contenimento dei consumi in Germania.

    La invito davvero a leggere, per cominciare, "Il tramonto dell’euro"; e anche "La cura letale", "La trappola dell’euro". Se poi i corsi da lei seguiti a Scienze Politiche le permetteranno di confutare quanto scritto in questi libri, mi scriva pure a [email protected] che sarò lieto di leggerla e di cambiare idea.

    Cordiali saluti

    Sergio 

     

    • Di Francesco Finucci (---.---.---.3) 14 luglio 2013 19:37
      Francesco Finucci

      1) sul rischio monetario penso anch’io possa stabilizzarsi, il problema è capire quanto saranno i costi iniziali. Si può pure fare, non è detto che non sia possibile. Il punto è che poi ci si prende la responsabilità di eventuali oscillazioni, che potrebbero essere violente. Sicuramente si stabilizzerà, ma nel frattempo potrebbe aver provocato una perdita, la prima cosa che mi viene in mente sono gli IDE, perché potrebbe spingere gli investitori ad andare altrove (almeno sul breve periodo), visto che sai quanti soldi mandi e non sai quanti ne tornano indietro. Riguardo l’effetto sulle imprese, sicuramente migliorerebbe gli introiti delle esportatrici, ma avremmo anche la perdita in quanto a uscita dall’area monetaria unica (in termini di libertà di scambio delle merci e dei servizi).

      2) su Bagnai me lo segno, anche se di studi ce ne sono stati parecchi, sicuramente non sarà l’unico.

      3) La svalutazione ci mette al riparo dall’avere una moneta troppo forte per l’economia, e sicuramente ci avvantaggia nel contesto europeo. Quello che contesto è che non è una soluzione, o comunque vede poco lontano. Sicuramente ci tutela - e questo è fondamentale - dal competere abbassando il costo della manodopera, ma non si compete di sola moneta. Questo vale anche per la Germania: neanche lei compete di sola moneta. Anche su questo, ma anche sul fatto che spende molto in R&S, e questo fa la differenza. Se prendi l’alta tecnologia, ci sono due esempi chiave: Apple e Sony. Il giappone fa una pratica monetaria aggressiva, gli Usa no, e anzi hanno una delle monete più forti del mondo. Eppure tutte e due sono fortissime sul mercato, e anzi la Sony sta perdendo pezzi come tutto il mercato giapponese perché viene scalzata dalla Samsung e le coreane.

      4) L’unione monetaria avvantaggia chi aveva monete più forti (franco, marco tedesco) a svantaggio delle economie più deboli (sud e est europeo). Su questo possiamo essere d’accordo. Non so se ci boicotterebbero, ma di sicuro in qualche modo ce la farebbero pagare. E se devo subire la vendetta di un altro paese vorrei subirla perché ho cacciato il Mossad dal mio suolo sovrano, oppure perché ho stralciato il trattato di Velsen, non perché ho un’economia debole e una moneta forte, e quindi ho l’idea di uscire dalla moneta, invece di rafforzare l’economia.

      5) L’economia è una scienza empirica. In realtà ho idea che a parte gli studi più propriamente statistici, la maggior parte dei soggetti economici agisce e poi spera, più che fare altro. Le mie competenze sono quelle di chi ha studiato per 6-7 esami di economia, quindi cerco di interpretare la realtà in base a quello che ne ho ricavato. In maniera CRITICA.

      6) I trattati si possono anche denunciare e mandarli a quel paese. Neanche io sono per la Legge contro l’Etica, ma per un buon motivo. E’ inutile fuggire di prigione buttandosi dal 5° piano.

      7) qui penso di aver già risposto sopra.

      Facendo un sunto, quello che volevo spiegare è che al di là delle questioni sollevate, si può fare tutto. Si può uscire dall’euro e tornare ad una moneta nazionale, magari puntendo a convergenze con paesi sfruttando le nostre eccellenze per utilizzarle come tiranti per superare la crisi, si può elaborare una moneta semi europea, magari in relazione al sud europeo (portogallo, spagna, italia, grecia). Si può pensare ad infinite soluzioni, specie ora che la tensione europea si è un po’ calmata e abbiamo un po’ di margine per gestire la questione. Quello che però secondo me sarà fondamentale, è evitare, per massacrare i liberisti (monetaristi), fare lo stesso errore: siccome la moneta è il problema, la moneta è la soluzione. Facendo sostanzialmente come Krugman, cioè un neokeynesismo spettacolare e monetarista. Non penso come si fa solitamente che alla fine il "lavoro" sia una semplice variabile per rimettere apposto l’assetto monetario, ma neanche che agire sulla moneta sia la soluzione per rimetterci a posto l’economia reale.
      Se in Italia c’è un gran casino, è perché abbiamo imprenditori che fanno i politici, politici che gestiscono l’informazione, giornalisti che vanno in politica, politici che facevano i magistrati, magistrati che diventano imprenditori e poi... boh, non si sa neanche più come fargli la biografia. Il problema è che abbiamo un capitalismo allegro che non concepisce il rischio d’impresa, sindacati che sono un aborto del diritto del lavoratore. Ci manca l’etica del lavoro. Ci mancano troppe cose per pensare alla moneta, o no?

    • Di (---.---.---.241) 14 luglio 2013 20:30

      Certo l’Italia ha grandi problemi. Tra tutti, una classe politica decotta (tutti criticano Berlusconi perché ha governato pensando ai suoi interessi, ma il PD che cosa ha fatto a parte criticare il criticabilissimo Berlusconi?).

      Anch’io tempo fa pensavo che i nostri problemi fossero il debito pubblico, la scarsa competitività, la giustizia civile lenta, la burocrazia pesante, la corruzione ... tutto vero, verissimo, ma ho capito che a un livello superiore c’è la macroeconomia ovvero una moneta unica in un’area troppo eterogenea.

      Questo vincolo esterno ci strozza, ci impone la volontà della Merkel (che non identifico con i tedeschi ma con le banche tedesche) e ci impedisce addirittura, ad esempio, di pagare i fornitori della pubblica amministrazione, facendoli fallire.

      Uscire dall’euro è una condizione necessaria ma non sufficiente. Secondo alcuni la rottura dell’unione monetaria è inevitabile, dato che difficilmente la Germania potrebbe sborsare il 9% del proprio PIL per aiutare i PIIGS (è una stima di Sapir).

      Se non trova subito il libro di Bagnai, provi a guardare il suo blog Goofynomics: Bagnai è un personaggio interessante, non certo presuntuoso: dice di essere un nano (non ha vinto il Nobel) sulle spalle dei giganti (gli studiosi di cui lui divulga il pensiero, da Kaldor a Roubinì).

      Se poi avessero ragione i liberisti (da Friedman al citato Boldrin per finire con il per me mediocre ragionier Mario Monti) pazienza ... farò ammenda ... di errori ne ho già fatti!

      Di nuovo cordiali saluti

       

  • Di Francesco Finucci (---.---.---.191) 15 luglio 2013 00:01
    Francesco Finucci

    potrebbe interessarti - diamoci del tu - la teoria AVO. Probabilmente è quella più solida nella critica alla moneta unica :) I liberisti non hanno mai ragione, ma facciamo attenzione, che qui in italia di keynesismo spicciolo siamo morti. E facciamo anche attenzione a massacrare la Merkel, perché più di lei dietro c’è Schauble. E soprattutto ci sono molti stati che si nascondono dietro la germania per farsi i fatti propri, dalla Finlandia, alla Svezia all’Olanda (che si è guadagnata con Dijsselbloem un presidente dell’Eurogruppo). Rimaniamo in contatto ;)

    • Di (---.---.---.120) 15 luglio 2013 20:13

      Sono d’accordo, teniamoci in contatto, vedremo insieme gli sviluppi della situazione.

      Sai, non ho nulla contro la Merkel e nemmeno contro i tedeschi, ma ce l’ho con l’interferenza nella vita dei paesi europei, voluta presumo da banche e grossi gruppi industriali.

      A presto, ciao

      Sergio 

  • Di (---.---.---.203) 29 novembre 2013 13:19

    Se i trattati fossero irreversibili, saremo ancora vincolati alle leggi di Mosè.

    Sui costi dell’import, una volta per tutte: molti si confondono con in prezzo finito che troviamo sotto casa con il prezzo del materiale grezzo. Se nuova lira si svaluta del 30% NON aumenta il prezzo finito del 30% ma la porzione del prezzo della materia prima che NON aumenterà del 30% per il semplice fatto che l’esportatore farà attenzione a non perdere quote di mercato.
    Detto in maniera semplice, chi afferma che svalutazione moneta 25% sia inflazione 25% è un CANE!!! E ci sono tutti i precedenti storici, dall’uscita dell’Italia dallo SME , all’euro sotto la parità sul dollaro tra il 1999-2001. 
    In quanto alla competitività, oggi per il fatto che abbiamo una moneta troppo forte per la nostra economia, si deve agire con la svalutazione interna, ossia svalutare il LAVORO perche’ NON si puo’ svalutare MONETA! cosa che ce lo ricorda Fassina in un video su youtube.
    Proprio perchè abbiamo la Cina (luogocomune da bar dello sport) l’Italia si deve dotare di una sua moneta flessibile, altrimenti si dovranno flessibilizzare i lavoratori.
    Tale cosa provoca un drastico calo della domanda interna ed oggi viviamo una crisi da DOMANDA!
    In quanto alla Germania, nessuno è un fanatico, ma la pura constatazione che la Germania ha fatto lei la più grande svalutazione competitiva della storia, ossia ha BLOCCATO la sua rivalutazione monetaria, per il semplice fatto che esporta in euro in Paesi euro e che la moneta unica, per l’economia tedesca è svalutata in confronto al loro ex D Mark. Non a caso la produzione industriale italiana prima dell’euro era superiore al quella tedesca.
    Come sappiamo oggi sia l’UE che il governo americano hanno ammonito la Germania per eccesso di surplus ai danni dei partners europei.
    Inoltre la flessibilità della moneta NON è solo per l’export ma anche per attutire gli effetti di uno shock esterno, es crisi importata. Non a caso dopo la crisi finanziaria del 2008, Norvegia, Svezia, GB, Giappone, Polonia, hanno tutte svalutato di circa il 20% le loro monete , per difendere le loro competitività interne. 
  • Di (---.---.---.203) 29 novembre 2013 13:20

    La nuova legge in Germania prevede che i caselli autostradali verranno pagati ESCLUSIVAMENTE da STRANIERI anche appartenenti all’UE.
    Questo la dice lunga...

  • Di (---.---.---.203) 29 novembre 2013 13:28
    Prodi: con la lira, La Germania NON era in surplus..............................

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