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Urge imposta patrimoniale sulle fiabe o terapia per la demenza politica di un popolo

Ad ennesima conferma del fatto che l’Italia è un paese pietrificato guidato pro tempore da pifferai che sostituiscono il wishful thinking alle analisi costi benefici e che altrettanto regolarmente finiscono contro gli scogli della realtà, ieri su Repubblica trovate un pezzo a firma di Roberto Petrini che rappresenta forse il millesimo caso di reiterazione del vaste programme di razionalizzazione delle agevolazioni fiscali, altrimenti note come tax expenditures. Non c’è nulla di inedito nell’articolo, se non la testimonianza della coazione a ripetere di un paese in bancarotta intellettuale. Con una piccola grande aggravante che è specifica al governo Renzi.

In Italia ci sono detrazioni d’imposta, deduzioni da imponibile e ricorso ad aliquote Iva inferiori a quella massima ordinaria per una erosione complessiva di oltre 300 miliardi di euro. Questo importo è aumentato del 25% negli ultimi cinque anni, ossia di fatto dall’inizio della crisi. Il dato di erosione della base imponibile è statico, cioè non considera le variazioni di gettito che si produrrebbero se le tax expenditures venissero eliminate, agendo sulla convenienza e sugli incentivi agli agenti economici. Proprio come la spending review, il censimento delle agevolazioni fiscali è una delle attività predilette di parlamenti ed esecutivi italiani allo stesso modo in cui, al termine della ricognizione, nulla accade e ci si dà appuntamento alla legge di Stabilità dell’anno successivo.

C’è da dire che Matteo Renzi aveva deciso di non procedere al riordino delle agevolazioni, perché a suo dire ciò si sarebbe risolto in una aumento della pressione fiscale complessiva. Naturalmente ciò è vero solo nell’ipotesi in cui il recupero di gettito non venga destinato a riduzione delle aliquote nominali. Se invece ciò avvenisse, ci sarebbe un ovvio effetto redistributivo, su cui giornali e tribuni della plebe si eserciterebbero per alcune settimane, ma non un aumento di imposte a livello aggregato. Non è chiaro a quale importo il governo punti, dati i paletti di intangibilità della detrazione per lavoro dipendente, carichi di famiglia, spese sanitarie (forse), interessi passivi su mutui prima casa. L’ideuzza che pare stia circolando al MEF, e che è stata dolcemente fatta scivolare nella buca delle lettere della nostra vigile stampa, è quella di porre un tetto percentuale (crescente) del reddito lordo sull’insieme delle tax expenditures. C’è già il provinciale richiamo alla primogenitura intellettuale, attribuita a due paper di Martin Feldstein per ilNational Bureau of Economics Research (mica pizza e fichi). Mai privare gli italiani di un ipse dixit: colerebbero a picco ancor più rapidamente di quanto non stia già accadendo.

Come che sia, e aggiungendo al menù anche il fatto che la Ue ha praticamente suonato il “liberi tutti” nell’attribuzione di beni e servizi a determinate aliquote Iva, e premesso che il gettito recuperato andrebbe destinato a riduzione d’imposta, l’occasione ci è gradita per ricordare che il governo Renzi ha eliminato la Tasi sulla prima casa, ad un costo superiore ai 4 miliardi annui. Di conseguenza, per farvela breve, perché siamo stanchi quanto e più di voi di ripetere questi concetti, ogni e qualsiasi intervento sulle tax expenditures finalizzato a fare gettito, deve rispondere politicamente dell’eliminazione dell’imposizione patrimoniale sulla prima casa.

Ma queste sono sottigliezze, in un paese dove l’elettore medio ha la memoria di un pesce rosso.

Poiché gli eletti sono la proiezione, spesso deforme, degli elettori, anche il governo Renzi dimostra di non ricordare quello che ha fatto negli ultimi due anni. Ad esempio, vagheggiare una voragine contributiva per ridurre strutturalmente il cuneo fiscale dopo che ogni anno butta circa dieci miliardi per gli 80 euro e dopo averne bruciati 20 in un triennio per la decontribuzione temporanea di assunzioni che in larga parte sarebbero comunque avvenute. Oppure ipotizzare di creare agevolazioni fiscali per spingere i risparmiatori a diventare esperti di private equity dopo aver tassato il tassabile, pure il risparmio previdenziale. Gli italiani sono evidentemente affetti da una forma grave di demenza politica, speriamo la scienza possa intervenire, prima che sia troppo tardi.

La sequenza, manco inedita: un governo che parte a razzo in un tripudio di chiacchiere e riforme epocali che non esistono, mentre una stampa turibolante ne cosparge l’incedere di petali di rose; che si intesta meriti altrui sulla non-crescita del paese; che fa per due anni deficit di pessima qualità e finisce con le spalle al muro; che alla fine tenta disperatamente di riproporre tagli di agevolazioni fiscali e sussidi per finanziare quegli stessi sussidi sui quali ha cercato disperatamente di galleggiare. Nel mezzo, la colpa è delle banche tedesche, della fantasiosa austerità e delle macchie solari. C’è una evidente traiettoria, per questo disgraziato paese che continua a credere alle fiabe. Da Berlusconi a Renzi, per limitarsi agli anni della crisi, ci siamo lasciati alle spalle le fallimentari ricette di politica economica de sinistra (sociale, quindi anche della destra alla vaccinara che ci ritroviamo), per assumerne altre fatte di nulla e di un tentativo sempre più pervasivo ed invasivo di rimbecillire di promesse l’opinione pubblica.

Date le premesse e le promesse, non poteva che apparire all’orizzonte una cosa come il M5S, per traghettare il paese verso l’esito ultimo, peraltro da tempo immemore scritto.Alla fine delle fiabe non arriverà la cavalleria a salvarci, gli elicotteri non lanceranno denaro sulle nostre teste, il reddito-di-cittadinanza-che-tutti-hanno-tranne-noi si materializzerà solo come tecnica di marketing elettorale (sta già avvenendo come ennesimo spreco, raschiando bilanci locali ormai esausti). Ma gli italiani, anche dopo il fischio finale, continueranno a credere a Babbo Natale. Se solo fosse stato possibile tassare le fiabe.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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