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Ue e la Brexit

La nostalgia dell’Impero ha fatto credere nella Brexit come un’occasione per "riprendere il controllo" del proprio destino, ma ora la Gran Bretagna rischia di sfaldarsi, con la volontà della Scozia di completare l’indipendenza da Londra e anche lo status dell’Irlanda del Nord viene messo in dubbio.

 

Prima aveva un piede fuori, ora stando fuori vuole un piede dentro. La Gran Bretagna, dopo il referendum, appare ancora più confusa della Ue per ripensare al proprio futuro e la vittoria di chi ha confidato nell’uscita dalla Ue come unico modo per rilanciare la Gran Bretagna, non trova ricette convincenti per proseguire. Si temporeggia, ma ora hanno tutti il mal di pancia e toccherà al nuovo premier britannico Theresa May gestire la Brexit, lei che nel governo Cameron era il Ministro degli Interni e timidamente favorevole a restare nell’Europa da mungere, più che da potenziare.

A Theresa May il compito difficile di raccogliere le macerie di una nazione e trasformare una fuga annunciata nel trionfo di tornare a commerciare senza avere gli oneri della compartecipazione ad un progetto di Europa federale ed evitare la libera circolazione delle persone per tenersi solo quella delle merci.

Alla Gran Bretagna non erano sufficienti i Muri che l’Europa ha alzato per rendere più ardua la fuga da conflitti e carestie dell’umanità sofferente. Non ha ritenuto soddisfacente neanche l’accordo in cinque punti che Cameron era riuscito ad ottenere dalla Ue non più di quattro mesi fa.

Il sogno di Altiero Spinelli e perseguito da generazioni di idealisti europei si è infranto contro poco meno di un milione di voti, ma allo schieramento vittorioso dell’uscita, dopo i momentanei trionfi, non sembra che si prospetti un futuro radioso, anzi stanno trascinando il Regno Unito in acque burrascose e sconosciute.

Theresa May non ha solo da affrontare la sfida della Brexit, ma anche reggere il confronto con la Margaret Thatcher che l'ha preceduta come donna premier.

Dei caporioni favorevoli al distacco della Gran Bretagna dalla Ue, c’è Nigel Farage che, pur rimanendo avvinghiato alla poltrona di europarlamentare, cerca di non farsi notare più di tanto, mentre Boris Johnson, dopo essere stato momentaneamente risucchiato nelle retrovie politiche, la May gli ha affidato il dicastero degli esteri. Per un personaggio davvero poco diplomatico e facile alle gaffe sembra uno scherzo, ma forse per il premier è meglio tenersi i nemici più vicini degli amici.

Mentre l'euroscettico David Davis avrà il compito di portare avanti le trattative per il divorzio che si annunciano lunghe e travagliate, Theresa May annuncia di voler difendere la popolazione meno abbiente, portando avanti un programma imperniato sulla giustizia sociale, ma nei fatti confeziona un Governo con esponenti protesi nella difesa dei privilegi delle classi benestanti.

La May ha davanti un compito impegnativo sul fronte esterno e su quello interno e annuncia di aver bisogno di tempo per prepararsi a questi negoziati con spirito costruttivo e positivo.

Cosa c’è da aspettarsi quando si grida che "Brexit significa Brexit" e si vuole adempiere alla volontà del popolo britannico?

Forse vuol rimediare una buona uscita per il cattivo impegno svolto nell’ambito comunitario in questi anni?

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