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Turchia: lo schema Ponzi e il rischio di un futuro libanese

Prosegue il tentativo della Turchia di Recep Tayyip Erdogan di sfidare le “leggi” economiche o piuttosto la realtà, attraverso il controllo del deprezzamento della lira, l’inesorabile combustione di riserve valutarie, la droga del credito facile per sorreggere la domanda interna. Da molto tempo in tanti ripetono che così il paese non può reggere, eppure regge. Fino a quando, considerando anche la variabile Covid che annichilisce le entrate valutarie?

La strategia di Erdogan e di suo genero, il ministro di Tesoro e Finanze Berak Albayrat, è semplice, e di fatto punta a prendere tempo, anche se non è chiaro attendendo cosa, visto che la pandemia ha resto tutto terribilmente complicato.

Sinora il sistema bancario, pubblico e privato, ha retto il gioco, continuando a pompare credito per compensare la debolezza delle esportazioni. Ma più stimolo alla domanda interna significa più importazioni, mentre la pandemia ha devastato l’export, che per la Turchia significa soprattutto prodotti tessili, elettrodomestici bianchi e -soprattutto- turismo.

Il risultato di più import stimolato dal credito interno e meno export è un crescente squilibrio di bilancia delle partite correnti, che a sua volta mette pressione al ribasso al cambio, sia attraverso il regolamento delle transazioni commerciali che a causa di deflussi di capitali, preoccupati dalla “eccentricità” della politica economica di Erdogan.

Il quale, considerando gli alti tassi d’interesse come inflazionistici, ha provveduto a prendere il controllo della banca centrale, sostituendo il governatore con uno meno indipendente, e a promuovere una politica di aggressivo allentamento dei tassi, che ha portato l’interesse reale, cioè al netto dell’inflazione, in territorio fortemente negativo.

L’ovvia conseguenza di queste misure è il calo delle riserve valutarie del paese, e la pressione al ribasso sulla lira. Le autorità, preoccupate per il rischio di ulteriore inflazione importata col deprezzamento del cambio ma soprattutto dalla mole di debito in valuta estera (soprattutto dollari) contratto dalle imprese turche, hanno quindi iniziato a vendere dollari.

Ad un certo punto, assottigliandosi le riserve di biglietto verde, la banca centrale ha iniziato delle operazioni di swap valutario, prendendo a prestito dollari da altre banche centrali. Se questa operazione fa comprare tempo e aumenta il livello di riserve valutarie lorde, quelle nette in realtà continuano a calare, visto che i dollari aggiuntivi provengono da debito.

Secondo il Financial Times, da inizio anno le riserve valutarie turche sono calate di 13 miliardi di dollari, al livello attuale di 93 miliardi. Di essi, circa 50 miliardi sono però frutto di ulteriore indebitamento estero. A fronte di 93 miliardi di dollari di riserve (lorde), nei prossimi 12 mesi andranno a scadenza debiti in valuta per circa 170 miliardi di dollari.

A questo punto, per calciare più in là la lattina, la banca centrale turca ha messo in piedi uno schema piuttosto bizantino (appunto) ma che si riconduce ad un solo obiettivo: prendere a prestito dalle riserve valutarie detenute dai cittadini turchi: pari a circa 230 miliardi di dollari, come protezione di valore rispetto ad una valuta nazionale debole. E il gioco prosegue.

O meglio, proseguirà sin quando i risparmiatori, temendo spiacevoli iniziative pubbliche o un collasso imminente del castello di carta di Erdogan, avvieranno una corsa agli sportelli per mettere in salvo i propri dollari. A quel punto, la Turchia avrà davanti a sé uno scenario libanese, di cui il mondo in larga misura ignora le devastazioni sulla popolazione.

Per farla semplice e comprensibile, la Turchia sta alimentando uno schema di Ponzi sul proprio debito in valuta.

Non è detto che le cose andranno così: magari la pandemia sparirà ed il turismo tornerà a beneficiare il paese di valuta forte, magari l’export turco conoscerà un vero e proprio boom, magari i capitali vaganti internazionali torneranno ad affluire in un paese la cui leadership tornerà ad essere considerata affidabile o almeno non rischiosa.

Magari. Oppure no, e la Turchia vivrà una crisi di bilancia dei pagamenti “classica” da paese emergente, a cui potrà rispondere in un solo modo: distruggendo domanda interna mediante aumento dei tassi d’interesse, stretta creditizia e forse controllo sui capitali.

Ultima considerazione, che poi è invito alla lettura: attenzione alla crisi del turismo mondiale, causata dalla pandemia. Come scrive Rana Foroohar sempre sul Ft, le ramificazioni globali e le interconnessioni del settore turistico sono tali da mettere in ginocchio l’economia mondiale. Un tempo si diceva “quando va il settore delle costruzioni, tutto va”. Forse sarebbe opportuno sostituire costruzioni con turismo.

Foto: Kremlin/Wikipedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

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