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Turchia, l’annientamento professionale nel settore pubblico

Quello che una volta in Turchia era un ambito di lavoro sicuro, il pubblico impiego, si è trasformato nell’ultimo anno in un incubo.

Dopo il tentato colpo di stato dello scorso luglio, sono stati licenziati oltre 100.000 impiegati – tra cui medici, agenti di polizia, insegnanti, docenti universitari e soldati – etichettati come “terroristi”.

Non solo hanno perso il lavoro, ma hanno anche visto la loro vita e la loro carriera professionale fatte a pezzi. In assenza di altri mezzi di sostentamento come la pensione, sono costrette a sacrificare tutti i loro risparmi, a fare affidamento su amici e familiari, a cercare un lavoro irregolare o a contare su piccoli contributi di solidarietà da parte dei sindacati.

A molti dei lavoratori licenziati è vietato svolgere privatamente una delle professioni regolamentate dallo stato, come l’insegnamento e l’avvocatura. Allo stesso modo, i poliziotti e i soldati licenziati non possono ottenere impieghi simili nel settore privato. I pochi che possono farlo, come gli operatori sanitari, fanno fatica a trovare un lavoro, soprattutto uno analogo per posizione e salario a quello precedente.

Le autorità hanno annullato il passaporto ai lavoratori licenziati, precludendo loro le possibilità di cercare lavoro all’estero e restringendo così ulteriormente le loro opportunità d’impiego.

Tutto questo si legge in un rapporto diffuso ieri da Amnesty International, basato su 61 interviste svolte ad Ankara, Diyarbakır e Istanbul.

Anche se alcuni dei licenziamenti, come ad esempio quelli dei soldati che hanno preso parte al tentativo di colpo di stato, possono essere giustificati, l’assenza di criteri rigorosi e di prove di singoli comportamenti illeciti getta un’ombra sulle dichiarazioni ufficiali circa la necessità dei licenziamenti per contrastare il terrorismo. Al contrario, le prove a disposizione suggeriscono che dietro alla purga si celino motivi discriminatori e arbitrari.

A tutte le persone intervistate da Amnesty International è stata data alcuna spiegazione per il licenziamento, a parte la generica accusa di legami con i gruppi terroristi. Nonostante l’evidente arbitrarietà dei provvedimenti, non esiste alcuna valida procedura d’appello contro i licenziamenti nel pubblico impiego. La commissione incaricata a gennaio di riesaminare i casi manca d’indipendenza e di capacità d’azione efficace e oltretutto non è ancora operativa.

Un piccolo numero di lavoratori licenziati ha intrapreso proteste pubbliche e subisce minacce, arresti e maltrattamenti. Nuriye Gülmen, una docente universitaria, e Semih Özakça, un insegnante, in sciopero della fame da 76 giorni, sono stati arrestati nel primo pomeriggio di ieri.

 
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