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Turchia, cui prodest?

La sera del 15 luglio la Turchia ha vissuto un tentativo di colpo di stato molto aggressivo, poi fallito. Mentre i soldati golpisti occupavano e bombardavano i punti strategici del paese, il Presidente della Repubblica e i membri del governo centrale invitavano la popolazione a scendere in piazza per respingere quello che veniva definito come un tentativo portato avanti da un piccolo gruppo di soldati. Fino alle prime ore del giorno successivo in diverse parti della Turchia sono proseguiti gli scontri tra i soldati da una parte e polizia e popolazione civile dall’altra. Il bilancio finale parla di più di 240 persone uccise e circa 1.250 feriti.

di Murat Cinar

Ma chi era il colpevole?

Iniziamo con le dichiarazioni ufficiali. Dapprima il Presidente della Repubblica, poi il Primo Ministro e infine gli altri membri del governo hanno unanimemente definito il fallito colpo di stato “un’opera progettata da Fettullah Gulen”. Ex imam, leader del movimento religioso “Hizmet”, in esilio da più di 15 anni in Pennsylvania negli Stati Uniti, ex alleato del partito al governo AKP, è attualmente il nemico numero uno del Presidente della Repubblica e del governo, che hanno prontamente chiesto agli Stati Uniti la sua estradizione. La crisi tra i due ex alleati si è manifestata negli ultimi tre anni a causa di una serie di grandi conflitti in ambito politico, militare, giuridico ed economico.

Sono stati arrestati circa 6.000 soldati semplici ed ufficiali con l’accusa di aver partecipato al tentativo di colpo di stato o alla sua progettazione. I mandati d’arresto, le detenzioni cautelari, gli arresti definitivi e le sospensioni si sono diffusi in meno di una settimana su diverse fronti; polizia, servizi segreti, istruzione, giustizia, sanità, energia, turismo, religione. Le operazioni sono tuttora in atto e fare i conti ogni giorno diventa un lavoro da puro contabile.

Sia mediaticamente che a livello governativo l’accusato numero resta Fettullah Gulen. Ormai è noto il conflitto che oppone il partito al governo, l’AKP, alla comunità di Gulen. Il governo, in seguito alle maxi inchieste anti-corruzione del 17-25 dicembre 2013, ha messo in croce l’anziano Imam. Una serie di arresti ed indagini, sostenuta da un’ingente documentazione scritta ed audiovisiva, ha portato tre anni fa alle dimissioni di quattro ministri. Il paese ha assistito all’incarcerazione di diverse personalità politiche ed imprenditoriali molto vicine agli ambienti filo-governativi. Nell’ottica del governo lo storico alleato diventava così il capo di un’organizzazione terroristica finalizzata al rovesciamento del sistema democratico attraverso la progettazione di un colpo di stato. Da quel momento in poi, infatti, gli artefici di quell’inchiesta – ovvero magistrati e forze di sicurezza – sono stati licenziati, arrestati, indagati oppure allontanati. Ultimamente varie aziende vicine alla comunità “gulenista” sono state commissariate, in quanto – secondo il governo – avrebbero fornito le risorse finanziarie e gli strumenti mediatici alla comunità. Secondo il governo, il fallito golpe metterebbe a nudo le ipotesi accusatorie sostenute dal 2013.

A questo punto può essere utile fare un passo indietro per vedere quanto in realtà sia stato solido e consapevole il matrimonio tra l’AKP e Gulen. L’uomo accusato di essere membro della “Gladio turca”, il fondatore dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo nella città di Erzurum, importante predicatore e ex imam è anche colui che, fino alla fondazione dell’Akp, non aveva mai apertamente sostenuto un partito politico. Un personaggio noto per le sue attività filantropiche, soprattutto in campo formativo: una rete enorme di scuole sparse in tutto il paese, ma anche all’estero.

Nel suo libro “L’esercito dell’Imam” Ahmet Sik accusa Gulen di infiltrare i suoi allievi e simpatizzanti all’interno delle forze di polizia, dell’esercito e del sistema giuridico con l’obiettivo di prendere il controllo dello Stato. Nonostante questo progetto fosse stato palesato da Gulen, l’autore del libro ha pagato il suo lavoro con un anno di galera. “Brucia chiunque tocchi” dichiarava Sik il giorno del suo arresto.

Tra il 2008 e il 2012 una serie di ufficiali dell’esercito sono stati accusati nell’ambito dei maxi processi Ergenekon, Balyoz ed OdaTv di aver progettato un colpo di stato. Numerosi giornalisti, avvocati, politici, professori e studenti universitari sono stati così incarcerati, creando un grande contenitore di “oppositori”. Quando l’attuale Presidente della Repubblica era Primo Ministro, sottolineando l’importanza del lavoro compiuto dai tribunali definiva se stesso “il giudice” di questi processi.

Secondo Nedim Sener, un altro giornalista detenuto per un anno, questo era il periodo in cui si registrava la massima collaborazione tra la comunità di Gulen e il governo. Il fine – per il giornalista – era quello di silenziare le opposizioni e di mettere in atto il comune disegno politico ed economico.

I processi Ergenekon, Balyoz ed OdaTv non sono sopravvissuti al divorzio politico. Interpretate come macchinazioni, le relative accuse sono cadute in breve tempo e quasi tutti gli arrestati sono stati liberati e successivamente assolti. Il governo ha inoltre promosso un contro-processo (“kumpas”) nei confronti di Gulen, accusato di aver progettato un colpo di stato e di aver creato uno stato “parallelo”.

È esattamente in questa fase che più di 400 ufficiali dell’esercito, inizialmente accusati di aver progettato un colpo di stato, venivano assolti con l’invito al pensionamento anticipato. In questo modo una grossa fetta dei vertici delle forze armate veniva allontanata.

In sostanza, come recentemente dichiarato al quotidiano nazionalista Bugun da Dengir Mir Mehmet Firat – parlamentare del Partito Democratico dei Popoli (HDP) e tra i fondatori dell’AKP – nei primi anni di governo l’AKP sosteneva l’inserimento dei gulenisti nel sistema giuridico, nei servizi segreti e nelle forze armate. Secondo Firat, ciò aiutava l’AKP a difendersi dagli eventuali attacchi dei suoi avversari presenti dentro l’esercito e il mondo giuridico, che oltre a progettare un colpo di stato avrebbero anche provato a chiudere il partito.

In meno di otto anni la Turchia ha visto questo matrimonio politico culminare per poi dissolversi in vendette incrociate: questo è un passo importantissimo per comprendere il senso dell’attualità.

Secondo Sik, intervistato dall’agenzia DW, tra gli arrestati di questi giorni ci sarebbero sia alcuni personaggi noti per la loro avversione a Gulen, come certe personalità accusate nei maxi processi Ergenekon e Balyoz, sia ufficiali che durante la notte del tentativo di colpo di stato stavano lavorando per impedirlo. Un esempio è quello di Erdal Ozturk, capo della terza armata, che nella notte del fallito golpe invitava “tutti i soldati a tornare nelle caserme” come tra l’altro twittato dallo stesso Primo Ministro. Eppure Ozturk la mattina del 18 luglio veniva arrestato con l’accusa di partecipazione al tentativo di colpo di stato. Un caso analogo è quello di Akin Ozturk, definito il leader del tentato putsch. Secondo le prime dichiarazioni del generale, nella notte del golpe avrebbe provato a convincere alcuni ufficiali a impedire il decollo dei caccia. Infatti il 17 luglio il Ministro della Difesa Nazionale Fikri Isik pronunciava queste parole: “Ci sono delle testimonianze che confermano l’impegno di Ozturk per impedire il colpo di stato. Non posso dire che sia stato lui il leader”. Akin Ozturk è diventato generale nel 2013 e anche membro del Consiglio Superiore Militare, la cui presidenza è affidata al Primo Ministro – allora Recep Tayyip Erdogan.

Ulteriore aspetto da evidenziare sarebbe la riabilitazione e nomina ai vertici delle Forze Armate di numerosi generali coinvolti nel processo Balyoz, precedentemente accusati di progettare un colpo di stato militare. Si tratta di Kahraman Dikmen (rimase in carcere per più di tre anni), Yusuf Kelleli (tre anni, 5 mesi e 15 giorni di carcere), Bulent Olcay (quattro anni), Onder Celebi (tre anni), Aykar Tekin (tre anni e mezzo), Cem Okyay (tre anni) e Yanki Bagcioglu (tre anni).

Secondo Ali Karahasanoğlu, direttore del quotidiano nazionale Akit, il governo non dovrebbe preferire dei golpisti ad altri, poiché i militari incarcerati nell’ambito del processo Balyoz potrebbero essere ora dipinti come degli innocenti in seguito al tentativo di colpo di stato pianificato dagli ufficiali della comunità di Gulen.

La Turchia sta oggi vivendo una terza fase politica. Il progetto AKP nasceva con la comunità di Gulen e si sviluppava attraverso una crociata contro diversi oppositori accusati di voler rovesciare il sistema politico. Oggi si assiste a una nuova fase: l’esercito viene ripulito dagli elementi gulenisti e sostituito dagli attori originali delle forze armate, ovvero gli stessi operativi otto anni fa.

A pagarne le conseguenze tuttavia non sono soltanto i veri golpisti o i gulenisti, ma anche migliaia di persone arrestate o licenziate. E come spesso accade in Turchia, anche i media sono stati coinvolti, nonostante nella notte del colpo di stato i golpisti non siano riusciti – se non temporaneamente – ad occupare la sede centrale del canale televisivo statale TRT e quella del canale privato nazionale Cnn Turk. La stragrande maggioranza dei media ha quindi continuato a lavorare liberamente e a trasmettere messaggi contro il tentativo di colpo di stato. Non a caso tanto il Presidente della Repubblica quanto il governo li hanno successivamente ringraziati per la collaborazione.

Eppure sono stati licenziati 370 dipendenti di TRT, è stato impedito l’accesso ai portali di notizie Medyascope, Gazeteport, Rotahaber, Abc Gazetesi e Karsi Gazete, è stata impedita la stampa e la distribuzione della rivista fumettistica e satirica Leman. Infine il 19 luglio il Consiglio Superiore della Radio e Televisione (RTUK) ha sospeso la licenza di 13 canali televisivi e 11 canali radiofonici, accusati di aver partecipato al tentato golpe o di averlo sostenuto e di avere dei legami diretti con la comunità di Gulen. Si tratterebbe quindi di un’azione capillare che va a colpire una parte dei media del paese, molto probabilmente già messi nella lista nera.

Possiamo in conclusione sostenere che un intero paese, come recita un detto turco, sia oggi come l’erba calpestata da una danza di elefanti.

Ovviamente tutto questo genera un grande interrogativo: Cui prodest? Chi ne beneficia?

Yilmaz Ozdil, giornalista del quotidiano Sozcu, in un suo articolo del 17 luglio definisce così ciò che sta accadendo: “Grazie ad un ‘finto colpo di stato’ Erdogan ha conquistato il posto da Presidente della Repubblica ed ora grazie ad un colpo di stato ‘montato’ sta per diventare il Presidente del paese”.

Il giorno dopo il tentativo di colpo di stato Ahmet Sik concludeva con queste parole l’articolo pubblicato su Cumhuriyet: “Con ciò che è accaduto non è stata difesa la democrazia, ma il sistema parlamentare. L’unico vincitore tra il fascismo militare delle controspalline e il fascismo in borghese è stato il fascismo”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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