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Trump: finale di stagione

La speaker democratica della Camera americana, Nancy Pelosi, sta preparando in fretta e furia, si dice, una procedura di impeachment contro il (tuttora) presidente Donald Trump per “incitamento all’insurrezione” contro le più alte istituzioni del paese, proprio nel delicatissimo momento in cui erano riunite in seduta plenaria per convalidare l’esito delle elezioni presidenziali. La questione sembra un po' velleitaria, ma tant'è.

E pare anche che Mike Pence, indicato ormai come il Giuda dell’epoca moderna (e per questo in serio pericolo di ritorsioni), non abbia dapprima escluso il ricorso al 25° emendamento. Quello che prevede che il vicepresidente sostituisca il Presidente come facente funzioni, nel caso il presidente muoia, si dimetta o sia rimosso dal suo incarico per incapacità manifesta o malattia. Di tutte le ipotesi previste l’unica adatta alla bisogna sarebbe l’incapacità manifesta (incapacità mentale o, forse peggio, per l’incapacità di tener fede al giuramento prestato).

Senza peraltro dimenticare che il "facente funzioni" Pence potrebbe anche elargire la grazia tanto agognata dal Presidente, in serio pericolo di finire triturato dalla magistratura.

Poi ci ha ripensato e non ne farà di nulla.

L’invasione degli hooligans trumpiani è riuscita a interrompere per qualche ora quel processo decisivo nel funzionamento della democrazia americana, provocando uno choc di enorme portata per l’altissimo valore simbolico del fatto. La marcia sul Campidoglio alla fine è, morti a parte, tutta qui. Ma non è certo poco.

I segni che ha lasciato sugli assetti della nazione sono ben lontani dall’essere ancora elaborati a fondo. E ci vorrà del tempo per rispondere alle domande che si affollano nella mente: cosa farà Trump nei dieci giorni che gli restano prima di essere definitivamente sloggiato dalla Casa bianca? E cosa faranno i suoi sostenitori?

Le voci che si rincorrono parlano di timori espressi dai democratici sui codici nucleari in possesso del presidente. Un brivido lungo la schiena al pensiero che Trump possa essersi identificato con il biblico Sansone che, vistosi sconfitto, trascinò i nemici nella morte insieme a se stesso.

Potrebbe davvero trascinare il paese – e il mondo – in un conflitto di proporzioni immani o anche “solo” in un cruento attacco atomico contro l’Iran, ad esempio, tanto per rinsaldare, a futura memoria, i legami con gli amici israelo-sauditi e rendere rognosissima la presidenza di un Joe Biden in procinto di entrare nello Studio Ovale?

E cosa faranno i suoi sodali, i familiari, la figlia prediletta, la moglie Melania? Che farà soprattutto Steve Bannon che, forse, avrebbe saputo impostare meglio questo finale di stagione (se mi passate l’uso della terminologia televisiva), trasformando quello che appare un traumatico viale del tramonto nella costruzione di un progetto politicamente sensato (dal suo punto di vista, ovviamente) per i prossimi appuntamenti elettorali? Si starà mangiando le mani per la demenziale cialtroneria dimostrata da Trump o ne condivideva silenziosamente l'operato?

E ancora, cosa farà il Great Old Party repubblicano, complice e responsabile della deriva populista del suo presidente, ma anche vittima designata di tutto quello che è successo in questi quattro anni? Riuscirà a liberarsi frettolosamente delle scorie del trumpismo per rifondarsi come il classico bastione conservatore e isolazionista che conoscevamo? O dovrà macerarsi a lungo in un travaglio, per lui penosissimo, di cui si può immaginare solo una fine frammentata nei tanti rivoli della destra, più o meno conservatori o reazionari o decisamente neopost-fascisti?

Al momento è impossibile dare una risposta. A meno che tutte le manovre imbastite per escludere Trump dalla Presidenza prima del termine del 20 gennaio prossimo non vadano incontro a fallimento. Allora il Presidente potrebbe di nuovo irridere i tentativi dei suoi avversari e tornare a essere il Commander in chief dei suoi supporter che, dopo il suo inaspettato “rompete le righe” non gli hanno lesinato critiche feroci. Come si conviene al voltagabbana che è sembrato essere negli ultimi momenti dell’assalto a Capitol Hill, forse intimorito lui stesso dell’enormità di quello che era successo.

Ma una domanda su tutte dovrebbe prevalere in questo momento. Ammesso che la transizione arrivi al 20 gennaio senza ulteriori fuochi d'artificio e che Joe Biden si installi finalmente nello Studio ovale, che succederà negli Stati Uniti se dovesse un domani lasciare le redini a una donna, di colore, figlia di immigrati, di nome Kamala Harris?

Se il trumpismo è stato la risposta all'era Obama c'è da rabbrividere al pensiero di cosa potrebbe accadere in quella Harris.

Foto: Blinck O'fanaye/Flickr

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