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Trivelle. Il mio "no" al referendum

Lo stop alle trivelle è solo uno slogan politico, è come mettere la testa sotto la sabbia per non vedere.

Vorrei precisare che io sono un ecologista, anzi un integralista dell’ecologia. Ho però la sensazione che in questo referendum, come per molti altri in passato, il cittadino comune non sarà in grado di esprimere alcun giudizio autonomo. Per poterlo fare dovrebbe infatti avere una lunga serie di informazioni, essere in grado di analizzarle e di capirne la portata, presente ma soprattutto futura. E non è finita perché nelle società complesse ci si trova inevitabilmente nell’incombenza non facile di discernere fra le innumerevoli contraddizioni che queste informazioni porteranno con se.

Tutto ciò il cittadino comune non lo farà mai e non sarebbe neppure in grado di farlo, basti pensare che, come sempre accade, neppure i migliori esperti sono arrivati ad una opinione comune. Dovrà pertanto affidarsi agli altri, il cittadino comune, dovrà cioè aderire all’opinione del miglior imbonitore. Ed il migliore non è quello che dice la verità, ammesso che ce ne sia una sola, ma quello che a lui più conviene. Ad esempio l’equazione trivelle uguale inquinamento è facile, immediata e non necessita di grandi pensieri filosofici. E’ semplicemente alla portata di tutti insomma.

Qualunque uomo della strada che cerchi invece di usare il proprio cervello e superare l’equazione scopre che il referendum non è contro le trivelle, ma solo sulla proroga delle concessioni già esistenti per impianti entro le dodici miglia dalla costa, scopre che la maggior parte di quegli impianti non pompano petrolio ma gas e che sono pure inattivi, almeno al momento.

Si dice poi che il valore vero del referendum sarebbe quello di dare un segnale chiaro al governo sulle politiche energetiche che i cittadini vogliono per il paese. In altre parole se vincesse il sì la nuova equazione potrebbe diventare meno energia da fonti convenzionali e più rinnovabili.

A me pare però che per salvaguardare il pianeta dall’abuso delle risorse serva piuttosto cambiare il modello energetico di riferimento, serva eliminare gli sperperi razionalizzando i consumi, serva la coscienza comune e soprattutto l’impegno attivo dei singoli cittadini. Eliminare le trivelle per spostarle un po’ più in la serve invece a peggiorare la nostra bilancia commerciale, serve a comprare da altri lo stesso gas che avremmo estratto noi inquinando allo stesso modo. Mettere la testa sotto la sabbia insomma.

Lo stop alle trivelle è solo uno slogan politico. Per eliminarle bisogna invece eliminare il consumo. E’ la cultura che deve essere cambiata, agendo sugli sprechi non solo energetici ma anche alimentari, ad esempio, serve agire sul consumismo selvaggio che ci rende ciechi e non ci fa capire che, oltre una certa soglia, una maggiore quantità di cose e di energia non porta ad un miglioramento della qualità di vita. Anzi è forse il contrario l’equazione vera è più consumo più inquinamento.

Il fatto è che nel nostro paese la coscienza ecologia è pari a zero. Le aiuole delle città sono un immondezzaio, i fiumi, i torrenti, le spiagge, i boschi specialmente al Sud sono un immondezzaio, le strade e le piazzole di sosta sono un immondezzaio per non parlare poi della terra dei fuochi. La raccolta differenziata langue come i mezzi di locomozione alternativi. Le biciclette ad Amsterdam o Copenaghen sono diffusissime, rimane da capire perché questo non succede a Roma o Napoli dove peraltro il clima è nettamente più favorevole. Per il cittadino insomma è assai più facile abbracciare l’equazione trivelle uguale inquinamento che non impegnarsi personalmente in qualcosa di concreto.

Il fatto è che nel nostro paese la coscienza ecologia è pari a zero e l’unica vera leva è il portafoglio. Sorvegliare e punire insomma come la storia ci insegna. Perché quindi non pianificare una riduzione dei consumi ponendo un limite alle risorse procapite e chi li supera paga di più, anzi molto di più?

E se è giusto incentivare le forme di energia alternativa è altrettanto giusto premiare chi dimostra maturità e coscienza civile. Abbassare quindi le tasse dei comuni a seconda dei volumi di pattume prodotto, del numero di discariche abusive, del’inquinamento dell’aria e delle acque, a seconda del corretto uso del suolo e del livello di cementificazione. Giusto per fare qualche esempio.

E che dire poi del fatto che nel nostro paese paghiamo circa un miliardo di ore di cassa integrazione l’anno per incentivare il dolce far niente?. Mi chiedo perché non si possano usare queste persone come guardie ecologiche e come aiuto alla pulizia dell’ambiente.

La conclusione è che di idee ce ne sono molte, il problema vero è invece che nel nostro paese la coscienza ecologia è pari a zero e che proposte come queste porterebbero ai soliti piagnistei se non direttamente ad una sommossa popolare. Io però alle equazioni semplici non mi rassegno, mi piace la matematica superiore benché molto spesso sia un po’ ostica da digerire.

Claudio Donini

www.alfadixit.com

 

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