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Tre considerazioni sul rapporto "like" e vendite nei quotidiani

Secondo i dati di uno studio di Innova et Bella, in Italia ci sarebbe una grossa discrepanza tra il numero dei "like" ricevuti dalle copie dei quotidiani e il numero di copie vendute. Tre considerazioni partendo dai dati bruti, che interessano il pubblico e il contesto sociale dietro ai giornali.

Rubo il titolo parafrasando quello di un panel di Dig.it 2013 in cui interverranno sull'argomento Giovanni Boccia Artieri, Nicola Bruno, Vincenzo Cosenza, Mario Tedeschini Lalli e Pierluca Santoro.

Il ragionamento di cui si compone quanto scrivo, viene proprio da un post del Giornalaio - il blog di Santoro - in cui si parla di "like" in Facebook e vendite dei quotidiani, alla luce di due articoli apparsi in questi giorni: uno su Fanpage e uno sul Fatto Quotidiano in cui le due testate annunciavano il raggiungimento, rispettivamente, di 2 milioni 1 milione di "like".
 

Ranking I&B, focus sui quotidiani italiani

Sul post si riportano anche i risultati di uno studio Innova et Bella, in cui sono stati monitorati i 10 giornali più diffusi in 6 paesi (Italia, Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti) e le loro capacità strategiche su Facebook - è stata assegnata una votazione di rating simile a quella delle agenzie di controllo finanziario, da AAA a C. L'obbiettivo era individuare - attraverso l'applicazione dell'analisi di 12 best practices - le migliori testate per pratiche relazionali su Facebook.

L'aspetto interessante nell'analisi dei dati aggregati, riguarda il rapporto "Like" contro vendite in Italia: praticamente si raggiungono 4,7 milioni di "mi piace" contro gli "1,9" di copie diffuse. Ciò significa che per ogni copia di quotidiano acquistata, si registrano 2,5 "like" - contro l'1 di Spagna e Francia, lo 0,7 negli Stati Uniti, lo 0,38 in Inghilterra e lo 0,25 in Germania.

Il dato ovviamente non è buono per il settore economico della stampa, in quanto i "mi piace" non corrispondono a vendite, ma tuttavia l'engagement potrebbe portare comunque delle entrate con forme pubblicitarie on line - ma questo dato non è analizzato.

Più interessante, è il parametro che considera il rapporto "Likers/Circulation", su cui al di là delle questioni strettamente tecniche il discorso può ampliarsi - a mio avviso e sottolineo che si tratta di mie valutazioni - su una questione di carattere sociale, di consumi culturali, di società (del comportamento d'innesco dei "like" ne avevo già parlato, per una mia esperienza diretta). Proverò ad esprimere tre considerazioni in questo senso.

Classifica rapporto Lkers/Circulation


Dei primi dieci posti, cinque sono occupati da quotidiani italiani, con il Fatto Quotidiano al primo posto, l'Unità al secondo, la Gazzetta dello Sport e Repubblica, rispettivamente al quarto e quinto - il terzo è occupato dal quotidiano sportivo spagnolo Marca.

Innanzitutto, occorre escludere dal ragionamento che seguirà i quotidiani sportivi, che meritano un discorso a parte e che qui non affronterò.



Ovviamente, le mie considerazioni sono valide per l'Italia, di cui conosco leggermente meglio - leggermente perché noi italiani siamo una realtà molto complessa - il tessuto sociale e i substrati culturali, anche per certi versi storici, su cui ha trovato fondazione il nostro stato presente. Altra questione, metodologica diciamo, riguarda la generalizzazione: in argomentazioni del genere, non si può ovviamente tener conto delle singolarità, delle sfumature, si fa un discorso generico, di trend, di ordini di grandezza - magari tagliato con l'accetta, lo ammetto, ma necessariamente deve essere così.

Per prima cosa, valuterei un questione relativa alla differenza del pubblico che acquista il cartaceo e quello che utilizza i supporti digitali. Al di là di facili interpretazioni generazionali - che trovano comunque validità, per dire, il mio vicino ottantenne non legge GigaOm, tanto per capirci - c'è una questione di "fiducia", detto in senso ampio. Chi compra i quotidiani in forma cartacea, cerca l'acquisto di riferimenti assoluti. Difficilmente esce dai grandi nomi, storici, consolidati, immagine del classicismo dell'informazione nazionale. Per dare una spiegazione rapida, chi legge e mette il "like" su un articolo del Fatto online, non è estremamente interessato al pensiero che Galli della Loggia esprimerebbe su un suo editoriale, e viceversa. È diverso il consumo culturale tra le due entità, a mio avviso. E questo non presuppone che l'una sia meglio dell'altra: è una questione di scelta - ampia, grazie a Dio.

Il secondo aspetto riguarda proprio l'offerta culturale, contenutistica diciamo. Il Fatto (è il dato da analizzare con più attenzione, in quanto il valore espresso supera per più di tre volte gli altri appena dietro) è il riferimento per un certo tipo di pensiero: ha spesso combattuto, per primo con decisione e costanza, contro i privilegi parlamentari, contro gli sprechi di denaro pubblico, contro l'impresentabilità elettorale dei politici condannati, contro corruzione e abusi nelle alte sfere, contro i lati oscuri del potere. Tematiche tutte appartenenti all'ancora (ahinoi!) attualissima retorica della Casta - anche se a tutti gli effetti il frame sarebbe partito dal CorSera, dove Stella e Rizzo scrivono. Il pubblico particolarmente interessato a certe tematiche, è più propenso alla ricerca di fonti informative al di fuori del mainstream, e internet è il posto ideale - forse l'unico - dove trovare materiali culturali di questo genere. Per certi aspetti, il Fatto rappresenta un'entità crossroad tra i due mondi - mainstream e "nicchia digitale" - e i lettori, assidui di internet e delle dinamiche proprie, interagiscono energicamente con il sito.

L'approccio editoriale, non riguarda soltanto le tematiche di politica interna, ma in genere tutto l'insieme dell'offerta del giornale - dagli articoli di cronaca, all'economia, fino ai blog scientifici. Il taglio è mirato ad un certo tipo di pubblico e il target è completamente centrato - parlano i dati. Quel tipo di pubblico è particolarmente attivo in internet e dunque risponde con dinamiche relazionali intense nei social network. Non c'è risposta diretta nelle vendite, perché il "pubblico" è formato essenzialmente da un gruppo socio-culturale, non interessato all'esclusività dell'informazione (un solo quotidiano, quello di riferimento come sopra), ma preferisce usufruire dell'eterogeneità disponibile, alla quale accede via internet; anche per ragioni economiche: è impensabile che ci siano molte persone che comprano mazzette di giornali e quotidiani ogni giorno (per alcuni aspetti, anche per Le Parisien potrebbe essere valido un discorso simile). 

La terza considerazione, si potrebbe allargare anche ad alcuni degli altri giornali nei primi dieci in classifica, anche se resteremo su quelli italiani. Si tratta, in tutti i casi di giornali di area progressista, diciamo "spostati a sinistra". UnitàRepubblicaGuardianIndependent, Le ParisienLe Monde - il discorso cade un po' con ilCorSera, ma resta uno su dieci; anche il capogruppo Fatto, prima vicino alle posizioni dell'Idv, poi adesso più spostato verso il M5S, trae comunque linfa da un terreno non di carattere conservatore. La questione è spigolosa, perché si corre il rischio di accedere alle tematiche della superiorità culturale, primato antropologico su cui s'è spesso giocata qui da noi la differenza tra gli elettori di destra, di quella destra berlusconiana, e quelli di sinistra - e che nel corso dei tempi ha prodotto danni irreparabili agli stessi partiti di sinistra. Dunque il ragionamento dovrà essere spostato su altri piani, che comprendono una sensibilità maggiore di un determinato pubblico - pubblico politico, anche - verso l'uso di certi strumenti informativi come i giornali online, verso la frequentazioni di posti come i social network e verso l'accesso ad un'informazione più dinamica come quella digitale.

Sarebbe meglio, senza correre rischi, identificare più che altro una maggiore attività di questo gruppo sociale - quelli di sinistra, i progressisti in genere - all'interno delle dinamiche digitali. I dati lo confermerebbero: c'è più propensione al consumo culturale online da parte di un certo tipo di lettori, e poiché dubito che i lettori abituali del Giornale corrano a vedere che si dice sull'Unità o su Repubblica, i presupposti per azzardare questa terza riflessione ci sono. D'altronde fu un deputato Pdl, l'On. Stracquadanio a sollevare una questione del genere, facendo un'analisi assurda quanto grossolana, sui motivi della poca risonanza in internet del suo fronte politico. Disse: "Perché su internet noi non vinciamo? Ma scusate, ragazzi: hanno (la sinistra. ndr) un esercito che alle 2 di pomeriggio va a casa e non fa un cazzo! Questi sono un esercito di 4 milioni di persone che già al lavoro smanettano anziché lavorare, figuriamoci quando tornano a casa!".

Le tre considerazioni, sono basate su una lettura dei dati bruti: su tutto, visto che non bisogna credersela e per certe analisi occorre mettersi continuamente in discussione - visto che quando si parla di società, di gente, di persone, e delle loro dinamiche, la roba è complessa - c'è un dato ulteriore. Secondo Blogmeter, nel mese di agosto appena concluso, il tasso massimo di engagement è stato quello del quotidiano Libero.

Appunto.

 

@danemblog

Foto: Jon S/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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