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Trasparenza amministrativa, gli inutili criteri supplementari della giunta Raggi

Egregio Titolare, è molto agevole identificare la trasparenza con lo streaming, sistemando le telecamere al punto giusto, interpretando il ruolo più consono al momento, inscenando la rappresentazione che la (g)gente s’aspetta, che si tratti di un incontro istituzionale, della direzione di un partito o di qualunque altro spettacolo le si voglia dare in pasto. 

di Vitalba Azzollini

Ben più difficile, invece, è declinare la trasparenza in modo da riconoscere a chiunque, per qualunque fine e senza necessità di motivazioni, il diritto alla richiesta di dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

Questo sarebbe (il condizionale è d’obbligo) l’intento del Freedom of Information Act (FOIA) italiano. Numerose sono state le critiche che, su questo spazio web e altrove, ho nel tempo mosso al provvedimento, stigmatizzando in particolare la circostanza che – paradossalmente – il decreto intitolato alla trasparenza funziona in base a un meccanismo che è preordinato a limitarla: numerose, estese e interpretabili discrezionalmente sono le eccezioni che si frappongono alla più ampia disclosure.

La formulazione (non puntuale) del decreto ha reso necessarie le Linee Guida Anac e una circolare della Funzione Pubblica per definire le eccezioni stesse e a dare alle P.A. indicazioni più precise. Tuttavia, la moltiplicazione delle regole di riferimento produce spesso l’effetto collaterale di creare confusione e fraintendimenti. La recente vicenda inerente alla trasparenza della Giunta capitolina sembra esserne un palese esempio.

Iniziamo dai fatti. Il quotidiano Repubblica, in un articolo ripreso da altre testate, qualche giorno fa ha dato informazione circa una proposta di modifica del regolamento sulla trasparenza amministrativa del Campidoglio, affermando che tale proposta è finalizzata a “imbavagliare l’informazione”, limitando l’accesso agli atti comunali (tra l’altro) da parte di giornalisti. In particolare, il regolamento imporrà a chi istruisce istanze di accesso di tenere in considerazione “il rilievo pubblico, il potenziale uso strumentale e il danno all’immagine che le risposte dell’amministrazione possono generare attraverso la loro pubblicazione sui social network, sui blog o sulle piattaforme web realizzate per la promozione e la difesa del diritto dell’informazione”.

Il Campidoglio ha replicato alla notizia, precisando che Repubblica ha omesso “proprio la parte più significativa” della norma di prossima introduzione, vale a dire quella che “rappresenta la trasposizione pressoché integrale di quanto riportato nella recente circolare della Funzione Pubblica a firma della Ministra Madia”, e cioè: “l’Amministrazione tiene conto della particolare rilevanza delle istanze provenienti da organi di stampa o da organizzazioni non governative, verificando con la massima cura la veridicità e l’attualità dei dati e dei documenti rilasciati, onde evitare che il dibattito pubblico si fondi su informazioni non affidabili o non aggiornate”. Il 4 settembre scorso, infine, è stata resa pubblica la bozza del regolamento in questione.

Per analizzare i fatti sopra esposti serve tenere presente – come lei insegna, egregio Titolare – che il diavolo si nasconde nei dettagli. È vero quanto precisato dall’amministrazione romana, e cioè che Repubblica non ha riportato la parte della norma che riproduce in maniera “pressoché integrale” un passaggio della circolare ministeriale: ma è altresì vero che quella norma contiene, oltre a tale passaggio, precisazioni non di poco conto, che fanno una differenza sostanziale. Infatti, mentre la circolare finalizza “la veridicità e l’attualità dei dati e dei documenti rilasciati” esclusivamente alla esigenza che il dibattito pubblico non si fondi su “informazioni non affidabili o non aggiornate”, la norma regolamentare aggiunge a tale esigenza anche quella di evitare “il potenziale uso strumentale e il danno all’immagine” dell’amministrazione.

Cosa comporterà questa aggiunta? Comporterà che il funzionario incaricato di valutare l’istanza di accesso, prima di fare “trasparenza”, dovrà non solo verificare “con la massima cura” l’attendibilità delle informazioni oggetto della risposta, ma anche l’eventualità di un loro uso distorto (come potrà valutare le intenzioni d’uso del soggetto istante?) e il vulnus che potrebbe derivarne all’immagine del Campidoglio (ma la circolare citata esclude che l’accesso possa essere negato “perché la conoscibilità del dato o documento potrebbe provocare un generico danno all’amministrazione o alla professionalità delle persone coinvolte”)?

È ancora vero che quella previsione aggiuntiva “non è inserita tra le previsioni in tema di improcedibilità o inammissibilità delle istanze di accesso, le uniche su cui può legittimamente fondarsi un provvedimento di diniego da parte dell’Amministrazione”. Ma allora, se la previsione in discorso non intende dilatare oltre in via discrezionale le già ampie eccezioni normative alla disclosure, qual è il senso di introdurla nell’emanando regolamento? Il funzionario comunale di cui sopra quale peso dovrà attribuirle nell’ambito della “congrua e completa motivazione” (v. Linee Guida) cui è tenuto qualora respinga l’accesso? Nonostante le precisazioni fornite dalla titolare dell’assessorato denominato “Roma Semplice” della Giunta, i dubbi restano molti.

Mi perdoni l’autocitazione, egregio Titolare. In uno dei miei scritti in tema di FOIA (sul blog dell’Istituto Bruno Leoni) dicevo che sarebbe stata “una buona scelta regolatoria la previsione di un canale privilegiato per le domande inoltrate da parte di giornalisti, al fine di favorire il loro ruolo di watchdog del potere e di tramite verso la cittadinanza”. Aggiungevo, poi, che eventuali dinieghi pretestuosi avrebbero potuto trasformarsi in un boomerang per le P.A. interessate. Concludevo, infine, che il rifiuto dell’accesso avrebbe potuto costituire, in taluni casi, “una notizia di maggiore rilevanza rispetto a quella che, utilizzando il FOIA, si voleva ottenere”. Considerato che non posseggo doti di preveggenza, in quello scritto del 2016 mi limitavo a valutare uno degli impatti che sarebbero potuti scaturire da certi comportamenti. La realtà ha addirittura superato le mie previsioni: prima ancora di un eventuale rifiuto di trasparenza, già solo l’ipotesi di un’indicazione che è parsa “limitarla” si è rivoltata contro l’amministrazione proponente.

Azioni, opere e omissioni, dissimulate tra le pieghe di precisazioni oscure in tema di trasparenza, poste ai più svariati livelli della gerarchia delle fonti, sono atte a far sì che, alla fine, tutti possano dirsi – in senso lato – “assolti”. Per valutare la qualità della regolazione e le conseguenze a essa connesse non servono doti divinatorie, caro Titolare. Peccato che a molti ancora sfugga.

(Foto: Radomil/Wikimedia Commons)

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