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Traffico marittimo: le invasioni biologiche corrono sui mari

Nei prossimi trent'anni il traffico navale potrebbe aumentare drammaticamente la dispersione di specie esotiche. Ben più del cambiamento climatico.

di Davide Michielin

Ad aprire la strada furono le prime etichette “Made in China”. Poi arrivarono i pompelmi coltivati in Sudafrica, le calzature fabbricate in Cambogia e i computer assemblati a Taiwan. Trainata dalla crescita demografica planetaria e dalla diffusione dell’insostenibile stile di vita occidentale, la globalizzazione dei consumi è un fenomeno in costante espansione. Ciò si riflette sullo sviluppo rampante del trasporto navale: oltre l’80% del commercio mondiale dipende infatti dalle navi portacontainer.

Questi bestioni del mare non trasportano solo materie prime e prodotti ma scarrozzano da un capo del mondo all’altro, nelle acque di zavorra o aggrappata allo scafo, una varietà di organismicospicua eppure tremendamente difficile da quantificare. A seconda dell’approccio adottato, al giorno d’oggi il commercio marittimo è considerato responsabile di una percentuale compresa tra il 60% e il 90% delle invasioni biologiche da parte di organismi acquatici. E secondo uno studio condotto dai ricercatori della McGill University a Montréal, pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, nei prossimi trent’anni diverrà ancora più incisivo, tanto da surclassare perfino il contributo del cambiamento climatico.

Traffico navale e cambiamento climatico

“Per prevedere le dinamiche delle prossime invasioni biologiche dobbiamo innanzitutto delineare lo sviluppo del traffico marittimo globale” spiega in un comunicato Anthony Sardain, primo autore dello studio, ricordando come l’impresa, impensabile fino a pochi anni fa, sia oggi possibile grazie ai moderni sistemi di identificazione automatica delle imbarcazioni. Basandosi su oltre 50 milioni di traversate registrate tra il 2006 e il 2014 nonché sulla classe delle imbarcazioni, i ricercatori canadesi hanno sviluppato complessi modelli informatici, integrandoli con i quattro scenari di crescita socioeconomica delineati dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite.

Nonostante l’inevitabile approssimazione che si accompagna allo studio di fenomeni tanto imprevedibili quanto complessi, i risultati suggeriscono che la crescita del traffico navale supererà di gran lunga il cambiamento climatico nella diffusione delle specie esotiche. “I nostri modelli dimostrano che, da qui al 2050, lo sviluppo degli scambi marittimi potrebbe portare a un aumento del rischio di invasione compreso tra le tre e le venti volte” riassume Brian Leung, professore del Dipartimento di Biologia e coordinatore dello studio.

Le zone più calde

Tuttavia, la crescita non sarà uniforme. L’intensificazione del traffico navale sarà maggiore lungo le rotte che collegano le grandi economie in rapida crescita, interessando in particolar modo l’Asia Nord-orientale. Le connessioni tra i Paesi già industrializzati, per esempio quelle che attraversano il Mediterraneo, continueranno a svilupparsi secondo ritmi meno forsennati. Lo stesso andamento è previsto per le economie di Africa e America del Sud mentre gli scambi nella regione Indo-pacifica rimarranno modesti.

In termini di invasione biologica ciò non si riflette solamente nell’aumento del rischio ma anche nello stravolgimento delle dinamiche di dispersione: prendendo come riferimento l’Europa, la maggioranza delle specie esotiche nel prossimo futuro giungeranno dall’Asia e non più dall’America del Nord. Con i dovuti distinguo, questo schema è ricorrente per tutti gli scenari ipotizzati dall’ICCP. Paradossalmente, risulta più pronunciato nei due casi estremi: sia l’aumento del prodotto interno lordo che la riduzione delle disuguaglianze comporterebbero un aumento del traffico marittimo. In confronto, il cambiamento climatico avrà un effetto marginale sul rischio di invasione biologica e anzi, in alcune regioni potrebbe risultare perfino ridotto rispetto al tasso attuale.

Le previsioni

Come ammettono gli stessi autori, i risultati vanno però maneggiati con cautela. Innanzitutto, i modelli non tengono conto di imprevedibili mutamenti politici né di sostanziali innovazioni tecnologiche. Inoltre, i ricercatori hanno escluso volontariamente due eventi che potrebbero letteralmente cambiare pelle al traffico navale: l’apertura del Canale del Nicaragua e un Mar Glaciale Artico completamente libero dal ghiaccio. Sembra però utopistico ritenere che l’alternativa al canale di Panama veda la luce nei prossimi trent’anni: da decenni il governo del Nicaragua annuncia e quindi ritratta l’avvio di questa opera faraonica.

Più delicata appare la questione della banchisa artica: secondo gli autori, la sua fusione non dovrebbe sconvolgere le rotte commerciali prima della seconda metà del secolo. “Le invasioni biologiche rappresentano un importante elemento di perturbazione della biodiversità e causano ogni anno miliardi di dollari in danni economici” riprende Leung. Per fortuna, qualcosa si muove: la convenzione internazionale per il controllo e la gestione delle acque di zavorra, entrata in vigore nel settembre del 2017, obbliga le navi a dotarsi di sistemi di trattamento delle acque di zavorra. O comunque a liberarsene in mare aperto, un ambiente potenzialmente ostile per specie litoranee salite a bordo in porti lontani.

“Sebbene sia troppo presto per valutare l’efficacia della convenzione a livello globale, il nostro lavoro suggerisce che la direzione è quella giusta” conclude Leung.

Immagine: Julius Silver, Pixabay

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