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Tra antipolitica e antiparlamentarismo: il rischio della messa in mora della democrazia

L’attuale ondata di antipolitica spesso si esprime in contestazione indistinta e indistinguibile che accomuna diversi personaggi, tutti protesi all’inseguimento d’un consenso nell’area del dissenso o interessati a captare l’elettorato in libera uscita.

Naturalmente la portata della crisi economica che, per incapacità politica, cresce sempre di più e aumenta le disparità, favorisce questo clima avvelenato e il divario tra la rappresentanza e i (non più) rappresentati. Con l’aggravarsi delle tensioni politiche, che tracimano in ambito sociale, l’antipolitica sta assumendo, in molte occasioni, la veste dell’antiparlamentarismo. Un connotato che in Italia non è certo una novità. Ecco qual è l’aspetto terrifico di quel che sta maturando. Ci troviamo davanti ad una situazione che potrebbe degenerare in peggio.

L’odierno fronte antiparlamentarista si dice animato da e portatore di idee e ideali “rivoluzionari”, tesi a dar vita ad una democrazia diretta, più partecipativa. Si teorizzano, come detto in altre occasioni, referendum abrogativi e propositivi, svincolati da qualsiasi necessità di quorum. Il potere e la rappresentanza verranno così esercitati senza mediazioni. Sarai tu a decidere del tuo destino, senza delegare nessuno, tantomeno in bianco. Peccato che coloro che professano tutta questa antipolitica e questa (av)versione antiparlamentarista si rivelino, però, particolarmente smaniosi d’entrare in Parlamento.

In Italia, questo tipo di contestazione, ha sempre trovato terreno fertile. Ancor di più nel momento in cui riesce ad affondare le sue radici e costruire una sua maggior solidità sulla base di un degrado che ha fortemente leso e intaccato la dignità della politica. L’odierna matrice mi preoccupa perché, nel suo identificarsi con un agglomerato di umori e malumori di diversa provenienza, potrebbe rappresentare il focolaio di possibili controrivoluzioni. Spianare la strada, per esser chiari, ad una involuzione politica che potrebbe degenerare nella messa in mora della democrazia (rappresentativa).

L’obiezione di qualcuno potrebbe essere, a questo punto, di far notare che – ora come ora – gli assetti parlamentari sono già ampiamente delegittimati e incapaci di esprimere i mutati equilibri politici. Addirittura, per alcuni, l’eccessivo protrarsi di un governo tecnico (non la sua adozione, poichè siamo pur sempre una Repubblica parlamentare) potrebbe non rispecchiare piu la sovranità e la volontà popolare. Anzi l’ulteriore rischio che si corre, è una definitiva perdita di prestigio del ruolo di un Parlamento totalmente asservito al potere governativo. È vero. E proprio sulla scia di queste constatazioni diventa urgente l’adozione di una nuova legge elettorale e il conseguente immediato ricorso alle urne.

L’odierno antiprlamentarismo mi sembra distante da quello di matrice gramsciana e più affine e vicino a quello di Mosca e Pareto o D’Annunzio e Mussolini (per restare in ambito italiano). Senza inutili allarmismi, riconoscendo l’assoluta buona fede a coloro che con convinzione (speriamo non ingenua) hanno aderito a queste “nuove” offerte, col benefico dubbio che nutro circa la credibilità dei sostenitori del “direttismo” nella democrazia.

È innegabile che l’esito delle ultime amministrative, definito da un giornale estero come una “Complicanza intestinale politica“, ha evidenziato una massiccia provenienza di voto dalla destra (più volte eversiva rispetto alla Costituzione), dal leghismo in liquefazione e dall’Italia dei (porta)valori messa in crisi d’identità da fuoriuscite poco edificanti e dalle nuove nascenti e montanti 5 stelle.
Ecco perché non mi persuadono e non mi affascinano le lusinghe e i sogni di chi cerca di attrarre un indistinto indistinguibile.

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