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Torino cine-car (seconda parte)

Torino in continua mutazione, Torino in cui le idee e l’arte e le avanguardie nascono e poi fuggono dimenticandola, Torino eterna città delle macchine.
Torino rimessa a nuovo per il centenario, per le olimpiadi, per il design, per il centocinquantenario. Torino, pare che ogni occasione sia buona per una riverniciata, per ripulirla dall’olio di motore di quella FIAT che ne ha decretato destino, costumi e abitudini per decenni.
Torino, che continua a emergere senza vergogna con il proprio carattere di città dalle idee nascenti, città delle macchine, nostrana Detroit senza amerikani e senza troppo rumore; un reportage, poche immagini per una lunga storia che attraversa quasi mezzo secolo di cambiamenti urbani: cantieri, degrado e rinascita, per dipingere una mutazione di esasperante lentezza, indipendente dal tentativo di globalizzazzione che non riesce a starle addosso più di tanto.

L’evoluzione più interessante e controcorrente della revisione degli spazi a Torino la troviamo nel design, nel decennio degli anni ’60.
Dalla seconda metà degli anni ’50 non esiste un solo specialista in questo settore: personaggi come Mollino e Gabetti, già noti sulla scena internazionale, realizzano prototipi contesi dai musei internazionali che non trovano un reale approdo commerciale e non saranno mai realizzati. Gabetti, Isola e Raineri disegnano qualche mobile per la Borsa Valori di Torino, così altri nomi di rilievo come Levi Montalcini e Becker progettano alcuni arredi, come Jaretti e Luzi per abitazioni private.
È dal ’65 in poi che si aggiungono altri artisti più giovani e prendono il via innovazioni influenzate dalle tendenze artistiche ed espressive di quegli anni; cambiamenti che si impongono per tutto il decennio seguente. Nel design, dalla seconda metà degli anni ’60, si sviluppa a Torino una tendenza che appartiene al movimento radicale internazionale: esperienze diverse, unite dal gusto per la trasgressione e un impegno politico, identificano nella cultura torinese una propensione ad accettare queste proposte.
L’ingresso della passerella olimpica che collega gli ex Mercati Generali con il Lingotto. Torino, 2006 (E.Miglino)

Ancora una volta, la città reagisce con istintiva immediatezza al nuovo che poi si diffonderà verso altri orizzonti dimenticandola e, in alcuni casi, ripudiandola. Il filone radicale del design torinese sconfina verso campi di espressione artistica come la Pop Art o l’Arte Concettuale e l’Arte Povera. L’affiorare dal resto d’Europa, al principio degli anni ‘70, del tema dell’antico, entra in gioco nel design come secondo elemento caratterizzante, in cui la ricerca progettuale, qui riferita alle "cose", agli oggetti di uso comune, segue anche un interesse critico.
Storia e Ambiente sono due parole chiave che ci permettono di identificare il senso dell’esperienza del ventennio dal 1950 al 1970 a Torino: un’architettura moderna perché del luogo, non contro il luogo, che valuta accuratamente il rapporto fra persone, spazi e progetti.
 
La capitale del design
L’area delle Acciaierie Teksid, oggi nuova sede dell’Arcivescovado. Torino, 2004 qualche mese prima che venisse rasa al suolo. (E.Miglino)

Siamo ai giorni nostri e Torino è riconosciuta in Europa e nel mondo, come la “capitale del design internazionale”. Dall’anno scorso, la città è addobbata da un’inconfondibile iconografia che la caratterizza in questo suo nuovo ruolo, mentre ancora gli operatori ecologici (gli spazzini degli anni ‘50) stanno ripulendo la città, delle scorie delle passate Olimpiadi.
Torino ancora una volta sembra di nuovo essere il paziente che la cultura, quella contemporanea ahimè impoverita di contenuti e idee, tenta di rianimare con una nuova scossa. Ma ciò che ha veramente origine dalla città, gli impulsi dell’innovazione artistica e culturale, i movimenti ideologici e le avanguardie, quando esistono realmente, non hanno bisogno di clamore. Anzi, nascono un po’ in penombra ed è proprio quando inizia una sorta di formalizzazione che prendono il via.
Strada sottostante il cavalcavia di Corso Mortara, abbandonata a totale degrado. Torino, 2002. (E.Miglino)

La scena del design “capitale” di fronte alla quale ci troviamo oggi, rumorosa e inquieta, ci mostra una Torino ospite, che alberga idee internazionali, piuttosto che un nuovo punto di partenza per ciò che si affaccia sul palcoscenico del nuovo. Con ciò, nessuna polemica e nulla da togliere all’iniziativa in sé, ma forse, analizzando il comportamento un po’ anomalo di questa metropoli almeno negli ultimi cinquanta o sessant’anni, sul fronte dell’arte e in genere della creatività, può sembrare un po’ una nota stonata, che non contempla l’elemento essenziale, quello del carattere interiore della città.
La rinascita forzosa di una situazione come quella che sta andando in scena quest’anno a Torino, seppure avviata con intenti positivi, corre il rischio di fornire una visibilità a termine, la rappresentazione di un evento a lungo termine in cui la città è teatro di realtà che non le si possono attribuire. E, come in tutte le rappresentazioni, una volta finito lo spettacolo si spengono le luci e il teatro si svuota. Resta un palcoscenico vuoto a luci spente.
 
1861-1961
Fabbrica abbandonata adiacente alle ex acciaierie Texid, oggi in fase di recupero architettonico. Torino, 2004. (E.Miglino)

Mentre all’inizio degli anni ‘60 erano in atto profonde rivoluzioni culturali, con notevoli ricadute sul piano sociale e politico della città, Torino è stata teatro di un’altra serie di eventi di grande portata. Nuove strutture, città rimessa a nuovo, costruzione di opere di notevole rilievo; un’intera zona di Torino ha preso il nome di “Italia 61”. Torino commemora l’Unità d’Italia che l’ha vista capitale, attraverso la costruzione di una monorotaia, un laghetto artificiale, una funivia che attraversa il Po e tante altre iniziative. Negli anni successivi, tutte queste realizzazioni - strutture permanenti destinate a durare nel tempo - sono andate pian piano a morire, lasciando cadaveri di cemento e acciaio che per decenni sono stati l’unica vera imperitura memoria di quella celebrazione. Con gli anni, le strutture sono state demolite e altre realtà hanno in qualche modo “rattoppato” queste ferite; restano altre strutture di rilievo costruite in quegli anni, come il Palazzo a Vela progettato dall’ingegner Aldo Levi e dagli architetti Annibale e Giorgio Rigotti che nel corso degli anni hanno ospitato eventi di grande importanza. Poco distante, sempre nel quartiere di Italia ’61, progettato da Luigi Nervi, il Palazzo del Lavoro che oggi ospita realtà formative di livello internazionale.
Siamo all’alba del centocinquantenario dell’Unità d’Italia e Torino torna nuovamente alla ribalta, con altrettanti progetti che stanno preparando la città a un nuovo grande evento: il rifacimento della stazione di Torino Porta Nuova è il più significativo di essi, insieme alla rinascita di interi quartieri, il nuovo passante ferroviario, la stazione di Porta Susa e molto altro. Intorno a queste opere, che insieme alla metropolitana la cui costruzione prosegue in mezzo alle inevitabili polemiche politiche ed amministrative, la città sembra stia acquisendo un volto sempre più umano e internazionale, sempre più lontano dalla città delle macchine.
Cantieri dell’area di Via Livorno. Dopo aver spianato completamente la vecchia struttura industriale, ha preso il via la costruzione dell’Environment Park. Torino, 2002. (E.Miglino)

Eppure, qualcosa ancora non quadra. Tutte queste costruzioni e ricostruzioni, rifacimenti e messe a nuovo, di anno in anno non sono progetti che si limitano a rinnovare la città, renderla più vivibile, ma è come se facessero parte di un revisionismo storico-architettonico che cerca in tutti i modi di cancellare ogni traccia della storia recente, sostituendola ad una storia tutta orientata a un futuro senza troppa memoria. Mentre negli ultimi anni abbiamo assistito a una indubbia rinascita della città, è “sparita” la fabbrica di Corso Mortara, è “sparita” la struttura monumentale delle acciaierie Teksid. Non solo, ma, se prestiamo un po’ di attenzione, potremo notare anche un altro dettaglio: si tratta sempre di strutture in qualche modo legate ad un particolare tipo di passato, perché le altre invece vengono recuperate, rimaneggiate, salvaguardate con attenzione. È il caso dell’ex carcere delle Nuove in Corso Vittorio Emanuele, anch’esso ristrutturato secondo un progetto ambizioso nel piano delle opere di rinnovamento in vista del 2011, nuovo appuntamento con la storia. È questo il motivo che sta alla base della mia decisione di affiancare le immagini di un reportage che vado lentamente realizzando, proprio a Torino, nel corso degli anni. Si tratta di storie metropolitane, che forse avrebbero diritto di esistere non soltanto nei ricordi sempre più sfocati di quelli che hanno visto il cambiamento. E, forse, il cambiamento non è proprio qualcosa che fa rima con “rimpiazzo”; ma queste forse sono soltanto storie metropolitane, destinate presto a diventare leggenda.

Via Giordano Bruno, Area ex Mercati Generali. Nemmeno questa struttura è stata risparmiata. Periodo di inizio dei lavori di rifacimento. Torino, 2002-2003. (E.Miglino)
Via Giordano Bruno, Area ex Mercati Generali. Torino, 2002-2003. (E.Miglino)
Via Giordano Bruno, Area ex Mercati Generali. Torino, 2002-2003. (E.Miglino)
Via Giordano Bruno, Area ex Mercati Generali. Torino, 2002-2003. (E.Miglino)
Demolizione della struttura industriale di Via Livorno per la costruzione dell’Environment Park. 2002-2003. (E.Miglino)
Demolizione della struttura industriale di Via Livorno per la costruzione dell’Environment Park. 2002-2003. (E.Miglino)
Demolizione della struttura industriale di Via Livorno per la costruzione dell’Environment Park. 2002-2003. (E.Miglino)

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